Circa un anno fa, Playing for Change aveva condiviso uno dei semi da cui sarebbe germogliato l’album “Viva Tu”, il disco che, a settembre 2024, ha rotto un lungo digiuno discografico: per molti anni Manu Chao aveva preferito la musica dal vivo e l’occasionale messa a disposizione di singoli brani dal suo sito alla produzione di album: l’ultimo (dal vivo) è di 15 anni fa, l’ultimo in studio di 17 anni fa, il periodo in cui ha smesso anche di dare interviste, privilegiando un modo sano e diretto di vivere la musica, i viaggi, l’impegno civile. E l’ascolto, la capacità di sintonizzare mente e cuore sulle lunghezze d’onda di chi affronta le contraddizioni sempre più profonde dell’imperante modello privatistico, estrattivista, bellicista. Il brano offerto a Playing for Change partiva proprio dalla tensione del riuscire a far convivere “tanti folli in un folle (…) tanto rumore nella mia testa” senza intaccare lo spirito di ribellione e di speranza. “Tantas Tierras” metteva insieme tutto questo cominciando dal suo canto appassionato accompagnato dalle sei corde del requinto per poi viaggiare e connettere mezzo mondo, dal Burkina Faso al Congo al Messico a Los Angeles, al Barcellona, dove ha la sua base, nel quartiere Poblenou. La versione inclusa in “Viva Tu” di “Tantas Tierras” lascia che la prima voce a dar corpo ai versi della canzone sia quella di Carina Díaz Moreno, dell’assemblea autogestita Famatina della provincia argentina La Rioja: “Agua que mata la muerte y no se compra con nada” (Non c’è modo di comprare l’acqua che uccide la morte) dice. E soprattutto: “No estamos solos” (non siamo soli). Sono due fili conduttori che legano le tredici tracce e le quattro lingue (spagnolo, francese, inglese, portoghese) che compongono l’album, a volte scarno negli arrangiamenti, a volte più corposo, per esempio proprio nello sviluppare le armonie e le linee melodiche di “Tantas Tierras” ricorrendo anche ai “campanellini” elettronici che oggi suonano quasi come un marchio di fabbrica. Una fabbrica attenta all’accessibilità di questa musica, autoprodotta e disponibile sia attraverso Bandcamp, sia direttamente dalla sezione Free New Songs del sito dell’artista.
L’occhio e il cuore di Manu Chao continuano a prestare attenzione a chi soffre l’espropriazione delle terre, della casa, del lavoro, come racconta anche da un altro singolo che ha preceduto l’uscita dell’album, “San Paolo Motoboy” (che riprende la base di “Bongo bong” del 1998), testimone dei suoi viaggi in Brasile: “São Paulo è un mostro vivente. E i rider sono il sangue che scorre dentro e fuori dalle sue vene e lo fa funzionare”.
Sono molto distanti fra loro ed ugualmente riuscite due collaborazioni di spicco, col country di Willie Nelson in “Heaven's Bad Day” (con l’organetto catalano di Joan Garriga e Mickey Raphael all’armonica) e con Laeti in "Tu Te Vas" (già protagonista di una cover di “Je ne t’aime plus”).
Le diverse facce degli arrangiamenti, nel complesso, sanno dar voce, e esorcizzare, anche le riflessioni tristi (“Cuatro Calles”), mettendo in tensione positiva anime reggae e flamenco (“Viva Tu”), ma soprattutto narrando e celebrando l’importanza della dimensione collettiva e delle relazioni quotidiane, non a caso protagoniste del brano, con Lucky Salvadori alla chitarra, che apre l’album, “Vecinos En El Mar”, occhi e orecchie a scrutare e restituire l’umanità che rende viva Poblenou, a un passo dal mare.
Alessio Surian
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