Henri Texier – An Indian’s Life (Label Bleu/L’Autre Distribution/I.R.D. 2023)

Contrabbassista e compositore francese, Henri Texier vanta un lungo percorso artistico intrapreso all’età di quattordici anni, quando mosse i suoi primi passi nel mondo della musica suonando il pianoforte in una orchestra dixieland. Avvicinatosi al jazz, vi si dedicò con grande trasporto, imparando a suonare da autodidatta il contrabbasso, trovando nello stile di Wilbur Ware un importante riferimento formativo ed ispirativo. Dopo aver maturato diverse esperienze al fianco di diversi musicisti jazz americani come Johnny Griffin, Phil Woods, Bill Coleman, Chet Baker, Kenny Drew, Donald Byrd e Bud Powell con i quali divise il palco durante i loro concerti nei club parigini, Texier fu tra i primi in Europa a sperimentare il free jazz di Ornette Coleman, arrivando negli anni Sessanta a suonare con Don Cherry. Nel decennio successivo, seguirono ulteriori collaborazioni di prestigio con musicisti del calibro di Gordon Beck, John Abercrombie e Didier Lockwood e in parallelo il contrabbassista francese cominciò ad esplorare le possibili intersezioni tra jazz e musiche del mondo, sperimentando negli anni successivi l’incontro con le sonorità balkan, mediorientali, africane e latin. Negli anni Ottanta, diede vita al Transatlantik Quartet con Joe Lovano, Steve Swallow e Aldo Romano, diventando uno degli artisti di punta della Label Bleu di Michel Crier, e da allora la sua carriera è proseguita tra concerti in tutto il mondo, e una regolare produzione discografica. Giunto alla soglia degli ottant’anni, Henri Texier ha dato alle stampe lo scorso anno lo splendido “An Indian’s Life”, album che completa idealmente una trilogia dedicata alla cultura dei nativi americani e le tragiche vicende che condussero al loro genocidio, iniziata con “An Indian's Week” nel 1993 e proseguita con “Sky Dancers” nel 2016. Composto da otto brani di cui sette autografi, il disco è stato inciso nel giugno del 2023 presso lo Studio Gil Evans di Amiens, e vede la partecipazione del suo quartetto composto da Sébastien Texier (sassofono contralto e clarinetti), Manu Codjia (chitarra) e Gautier Garrigue (batteria) a cui si sono aggiunti, per l’occasione, Carlo Nardozza (tromba e flicorno), Sylvain Rifflet (sassofono tenore e clarinetto) e la voce di Himiko Paganotti. Rispetto ai precedenti, questo nuovo album presenta un taglio meno sperimentale, ma nel quale si coglie tutta la cura risposta nell’esaltazione della coralità dell’organico e della cantabilità delle melodie, trampolino di lancio per l’improvvisazione e gli assoli delle singole voci strumentali che si ritagliano i giusti spazi ad impreziosire le architetture sonore dei singoli brani. L’ascolto svela un disco che suona come un inno alla libertà, alla resistenza e alla lotta per rivendicare le proprie radici e per comprenderlo basta ascoltare il tamburo marziale di Garrigue che ci introduce all’iniziale “Apache Woman” il cui groove trascinante ci ricollega a “An Indian's Week” e nella quale spicca il brillante spaccato dialogico tra la batteria, il contrabbasso e la chitarra di Codjia a cui seguono gli interventi della tromba di Nardozza e quello dei due sassofoni di Sébastien Texier e Sylvain Rifflet. Arriva poi il blues di “Black Indians” con gli ottoni in grande evidenza e i continui cambi di tempo dettati dal contrabbasso di Henri Texier. Se “Miss Canthus” spicca per i soli di Codjia alla chitarra, Rifflet al sax tenore e quello di Nardozza alla tromba, la successiva "Black and Blue" di Fats Waller e Harry Brooks, dal songbook di Louis Armstrong, è certamente il vertice del disco con la magistrale interpretazione vocale di Himiko Paganotti, talento cristallino di cui sentiremo parlare ancora in futuro. Si prosegue con l’omaggio a Charles Mingus con “Mingus love call” in cui gli ottoni danno vita ad una improvvisazione collettiva con la complicità della chitarra. La sei corde di Codjia è protagonista ancora di “No Fear song” il cui tema è giocato sul ritmo iterativo della batteria di Garrigue ed impreziosita dal flicorno. L’atmosfera orientaleggiante di “Hopi Hippie” con la batteria ad evocare le musiche dei nativi americani e gli ottoni scatenati che si immergono in una vivace improvvisazione, ci introduce alla conclusiva “Steve e Carla”, un omaggio alla coppia Steve Swallow e Carla Bley, una composizione densa di lirismo con il tema avvolgente ed evocativo tracciato dagli ottoni e dal flicorno. “An Indian’s Life” è, dunque, un album intenso ed affascinante che non mancherà di toccare il cuore degli ascoltatori più attenti, ma soprattutto siamo certi che stimolerà al riascolto e alla riscoperta delle precedenti produzioni di Henri Texier.  


Salvatore Esposito

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