Il ricco programma di Suoni Controvento – il festival itinerante umbro che si è ormai affermato come uno dei più importanti eventi green del panorama nazionale – è riuscito in un’impresa non impossibile ma ardua: ospitare “Isole sorelle”, una produzione originale che gli umbri Micrologus e i corsi A Filetta hanno eseguito, lo scorso 7 settembre, al parco archeologico di Carsulae, in provincia di Terni. L’assetto delle due storiche formazioni era quello della profonda consapevolezza: hanno eseguito un concerto unico (si spera non irripetibile), attraversando repertori di entrambe le “sponde” con un occhio alle affinità, facendo riferimento allo stesso modo alle tradizioni espressive colte e popolari; hanno verificato (cosa, probabilmente, già appurata a distanza negli anni) che la convergenza di molti tratti delle loro esecuzioni, e delle loro ricerche, può avvenire a un livello altissimo e assoluto; hanno avuto conferma, nelle risonanze delle loro stesse voci, che i fonemi atavici dei loro repertori si somigliamo e si incastrano, determinando uno spazio ampio, aperto, nuovo, multiforme. Insomma, hanno guardato in faccia – e noi, per quanto possibile, con loro – una dimensione piena di possibilità, in cui i suoni assumono una forma inedita, un profilo sfuggevole. La lunga esecuzione del super ensemble (composto
dalle sei voci di A Filetta e dai sei musicisti di Micrologus) è sembrata fin dalle prime note un clamore, un bagliore. Perché tutto appariva – e, di fatto, è proceduto – perfettamente allineato. E tutto (anche il più rapido suono) delle quasi due ore di svolgimento è stato eseguito con devozione assoluta, con tesa intensità. Micrologus (composto dai fondatori Patrizia Bovi, Gabriele Russo e Goffredo Degli Esposti, con Lorenzo Lolli, Enea Sorini e Federica Bocchini), una delle più importanti formazioni al mondo di ricerca e riproposizione di musiche medievali e rinascimentali, ha espresso un equilibrio più che perfetto (in barba alla pressante umidità della serata, che ha messo a dura prova l’intonazione degli strumenti a corda). L’affinità tra i membri dell’ensemble, formatosi esattamente quarant’anni fa (in questi giorni la ricorrenza è stata celebrata con due giornate di studi e musica a Palazzo Bonacquisti e alla Rocca Maggiore di Assisi), si è espressa con una naturalezza trascinante e, soprattutto, nel quadro di un’esecuzione libera e affatto formale. A Filetta (Jean-Claude Acquaviva, Paul Giansily, François Aragni, Stéphane Serra, Jean Sicurani, Maxime Vuillamier) ha incantato tutti a partire dal brano di apertura del concerto. Non tanto per la perfezione dell’esecuzione (sottolineata da Patrizia Bovi, che l’ha elegantemente ricondotta alle parole di Johannes Tinctoris, teorico musicale e compositore fiammingo del
Quattrocento, per il quale lo strumento perfetto per la polifonia e il contrappunto sono le voci a cappella), ma per la profonda partecipazione che ognuno dei sei cantanti ha dimostrato. Con queste premesse, il flusso del concerto si è addensato gradualmente, beneficiando non solo dell’equilibrio (scenico e musicale) delle due formazioni, ma anche degli intervalli esplicativi di Patrizia Bovi e, con tono e approccio diverso, Jean-Claude Acquaviva, voci principali e membri fondatori dei due ensemble. Se Acquaviva, a parte alcune eccezioni, ha privilegiato (in un italiano corso comprensibilissimo) una riflessione, molto emozionata, sulle prospettive seguite, fina dalla fine degli anni Settanta, dal sestetto vocale di Lumio (“abbiamo sempre pensato di dover dare un seguito alla tradizione”), Patrizia Bovi, a perfetto agio nella veste di mediatrice (tra il repertorio e il pubblico e tra Micrologus e A Filetta), è riuscita a ricondurre, nello spazio di interventi non di pausa ma di approfondimento, una buona parte della storia musicale popolare di questa vasta area (la Corsica e l’Italia centrale) alla scaletta del concerto. Nella sezione del dialogo dedicata ai canti paraliturgici, gli ensemble hanno eseguito lo “Stabat Mater” di Latera e il “Miserere” di Colfiorito, specificano come le espressioni culturali – e, nel caso specifico, il canto polivocale – travalichino facilmente, come sappiamo, i confini regionali. “Citiamo queste melodie
incredibili”, ci dicono Micrologus e A Filetta (e attenzione al verbo), proprio per condividere il rispetto nei confronti di questi repertori. Con questo andamento, i dialoghi-raccordi della Bovi sono divenuti delle confessioni musicali piene di fascino, sospese tra la passione artistica (la meditazione legata all’interpretazione) e lo studio musicologico (l’analisi delle forme, la loro decostruzione e ricomposizione): “non vogliamo imitare una tradizione, perché, come diceva Giovanna Marini, nel momento in cui si porta su un palcoscenico” diviene qualcos’altro. “Non c’è più la funzione”, anzi gli artisti, in casi come questo (e qui emerge la sensibilità straordinaria dei musicisti coinvolti), devono riconoscere nel loro operato la responsabilità della rappresentazione, assumendo l’obbligo di trovare a quelle espressioni un’altra funzione.
Daniele Cestellini
Foto e video di Salvatore Esposito
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