Un esponente fondamentale della canzone napoletana è stato senza ombra di dubbio Roberto Murolo e oggi abbiamo la possibilità di leggere un nuovo testo dal titolo “‘Na voce, ‘na chitarra… “. a cura di Enrico Careri e Giorgio Ruberti, edito da LIM, contenente un profilo biografico e sei saggi che non hanno lo scopo di celebrare l’artista, ma vogliono analizzarne lo stile, la personalità e le scelte estetiche. I primi due saggi intitolati “Stile di canto, interpretazione” e “La canzone napoletana e le sue interpretazioni”, che si devono rispettivamente a Enrico Careri e Giorgio Ruberti, contengono delle analisi sullo stile di canto di Murolo a confronto con altri stili interpretativi della canzone napoletana, soprattutto classica. La caratteristica interessante che emerge riguarda il fatto che Murolo aveva un modo di interpretare le canzoni davvero unico nel suo genere. Non aveva bisogno di tanti musicisti ad accompagnarlo. Per trasmettere emozioni e richiamare su di sé tutta l’attenzione del pubblico gli bastavano due cose: il cosiddetto “filo ‘e voce” e la sua inseparabile chitarra. C’è da dire che ne esistono tanti di cantanti che si esibiscono con l’accompagnamento di un solo strumento, ma il più delle volte lo strumento in questione è un pianoforte, soprattutto se il cantante vuole sfoggiare delle grandi abilità canore. Pensando alla canzone napoletana classica, uno dei primi grandi interpreti fu Enrico Caruso, il tenore per eccellenza. Una voce come quella di Caruso sicuramente non poteva essere accompagnata da una chitarra perché il volume dello strumento non avrebbe raggiunto quelle altezze. Lo stile canoro di Murolo, invece, si adattava perfettamente alle sonorità della chitarra classica e c’erano degli elementi fondamentali che lo avrebbero reso inconfondibile: il lavoro di cesello sulla parola, la chiarezza della dizione, il “recitar cantando”, l’economia di mezzi, delle piccole variazioni d’agogica, delle minime escursioni dinamiche, un vibrato sempre sobrio e una musicalità insolitamente intima, come viene riportato all’interno del primo saggio.
Per comprendere meglio ciascuna delle caratteristiche elencate, si può usare come riferimento un brano famosissimo: “Tammurriata nera”. La canzone risale al 1944, si deve a E. A. Mario e Nicolardi e l’interpretazione di Murolo è contenuta nell’antologia “Napoletana”, un’immensa raccolta di villanelle e canzoni rielaborate secondo un approfondito studio a partire dai testi originali o da altre esecuzioni. Nel caso di “Tammurriata nera” Murolo sembra rispettare una precisa volontà del compositore, cioè un’esecuzione in piano, indicata in notazione musicale da una semplice lettera “p”. Queste indicazioni si possono trovare in tante partiture e spartiti e servono all’esecutore per colorare il brano e renderlo variegato, perciò andrebbero rispettate. Da sottolineare “andrebbero” perché quella di Murolo è ancora oggi la sola interpretazione che rispetta quella determinata volontà del compositore. Se oggi in una scaletta di un concerto c’è “Tammurriata nera”, verrà sempre riproposta seguendo lo stile di Peppe Barra e della Nuova Compagnia di Canto Popolare, quindi particolarmente ritmata e coinvolgente. Si potrebbe discutere a lungo sulle ragioni che spingono un interprete a rispettare o a non rispettare determinate indicazioni. Per ciò che ci interessa, l’interpretazione di Murolo è la base per capire anche le sue versioni di pezzi come, ad esempio, “Era de maggio”. Nel saggio Giorgio Ruberti la definisce una delle canzoni più storpiate di tutto il repertorio napoletano e sostiene che lo stile di Murolo, invece, si addica perfettamente al messaggio del testo: il ricordo di un amore interrotto che il protagonista spera di poter rivivere un giorno. Murolo racconta questa storia con un canto sussurrato, senza sbalzi dinamici, e così riesce a far cogliere l’essenza reale del brano. A lui interessa il racconto, creare un’atmosfera molto intima, far capire perfettamente il testo e il relativo sottotesto. Da qui si capisce anche il significato dell’espressione “economia dei mezzi”, cioè attribuire un valore estetico alla semplicità senza “sporcarla” con particolari artifici che avrebbero potuto distrarre l’ascoltatore.
Parlando di semplicità, il terzo saggio dal titolo “La chitarra, l’accompagnamento” è particolarmente interessante per i chitarristi. Se pensiamo ai tempi attuali, su Internet ci sono tantissimi musicisti, tra amatoriali e professionisti, che spiegano come eseguire alla chitarra determinate canzoni o anche solo alcune parti di esse, come improvvisazioni o arpeggi. Ma, nel caso in cui ci fosse qualche chitarrista interessato a suonare le canzoni napoletane alla maniera di Roberto Murolo e avesse bisogno di una guida, il saggio in questione potrebbe fare al caso suo, perché si deve a Maurizio Pica, l’ultimo chitarrista che ha accompagnato Murolo, dopo Alberto Continisio ed Eduardo Caliendo, dagli anni ’90 fino alla morte del cantante. Nel saggio l’autore, avendo avuto modo di conoscere in maniera diretta il rapporto tra Murolo e la chitarra racconta che l’artista possedeva tante chitarre, alcune delle quali di gran pregio che si devono a liutai come Guadagnini, Vinaccia, Gallinotti e Calace. I primi rudimenti di tecnica gli furono impartiti da Ernesto Quagliuolo, ma l’apprendimento vero e proprio probabilmente avvenne autonomamente imitando chitarristi più bravi, come spesso accade. Murolo aveva un’impostazione molto simile a quella del chitarrista classico: usava il poggiapiede per sollevare la chitarra a sinistra e avere un’utile inclinazione della tastiera. Non utilizzava il plettro, la mano destra era usata in modo tale da alternare bassi e accordi con le dita. In più, gli accordi che sceglieva per accompagnare erano quasi sempre allo stato fondamentale, raramente si sentivano dei rivolti. Stando a quanto riportato da Maurizio Pica, Murolo arrivava a identificare come "sbagliato" un accordo quando conteneva degli arricchimenti tecnici più ricercati. La verità è che l'accordo non era sbagliato, ma poteva essere distraente per il pubblico e a lui interessava, ricordiamo, soprattutto il racconto. Ecco che torna il concetto di economia dei mezzi. Inoltre, dal punto di vista della tonalità, Murolo possedeva dei registri di petto e di testa davvero equilibrati in volume e non era facile distinguere il passaggio dall'uno all'altro. Come estensione vocale, per le note alte non andava mai oltre il re2.
Il quarto saggio intitolato “Roberto Murolo tra riso e sorriso” si deve a Massimo Privitera e racconta come Murolo abbia contribuito a far conoscere il lato comico delle canzoni napoletane. In molte canzoni è possibile cogliere un lato ironico se si esegue il brano in un certo modo. Per spiegarlo meglio possiamo tornare a “Tammurriata nera”: il brano è una perfetta fusione di tragedia e commedia. Murolo, cantandola senza particolare enfasi, riesce a farci sorridere nonostante si racconti di una situazione molto difficile per la città di Napoli nell'immediato dopoguerra. Questa forma di ironia è tipica anche delle opere di Eduardo De Filippo. Il senso del saggio è che il suo modo di cantare senza enfasi fa sì che possa adattarsi a più generi diversi, come il sentimentale e il grottesco.
Il quinto saggio dal titolo “La «dizione perfetta»: sondaggi su Murolo, napoletano fra i napoletani” deve a Cristina Di Bonito e si concentra su un aspetto fondamentale già accennato prima: la dizione perfetta. Viene riportato il fatto che Murolo fosse considerato nel mondo della canzone napoletana un esempio di eleganza e raffinatezza anche grazie alla sua pronuncia ben articolata. Il lavoro di cesello sulla parola è frutto degli incontri con Libero Bovio e si deve anche al fatto di essere figlio del poeta Ernesto Murolo. Questo è un saggio interamente indirizzato a chi vuole approfondire conoscenze nell'ambito della linguistica e l'espressione "dizione perfetta" va spiegata tenendo presenti alcuni aspetti. Prima di tutto, un dialetto per essere capito anche al di fuori di una regione dev'essere pronunciato in maniera ineccepibile. Ma allo stesso tempo bisogna ricordare che non esiste un solo tipo di napoletano, dipende dal registro che si vuole usare per comunicare. Se si pensa alle “Poesie” di Salvatore Di Giacomo, ci sono delle scelte stilistiche orientate verso un registro letterario alto. È quindi molto probabile che le scelte di Murolo vadano verso un registro alto. Per spiegarlo si può usare come esempio la pronuncia della “d” come “r” nel napoletano, elemento tipico di un parlato definito "plebeo" che nelle interpretazioni di Murolo non accade mai.
L'ultimo saggio, intitolato “Gennaro Pasquariello, un ritratto del divo della ‘piccola scena’”, si deve a Simona Frasca ed è interamente dedicato alla figura di Gennaro Pasquariello, un punto di riferimento per Roberto Murolo nel definire il proprio stile. Vengono riportate parole di Murolo stesso secondo le quali Pasquariello si può considerare un confidenziale ante litteram ed è in quel modo di trasmettere le canzoni che Murolo ha trovato la chiave per il proprio stile. Senza dimenticare chiaramente anche l'avvicinamento allo stile confidenziale dei crooners come Frank Sinatra. Ecco, dal saggio si capisce chiaramente che i crooners e Pasquariello hanno plasmato Roberto Murolo.
La canzone napoletana è da sempre oggetto di ricerche da parte di etnomusicologi e di musicologi. Ѐ un fenomeno talmente radicato nel territorio da darci l’impressione di essere sempre esistito: non c’è persona al mondo che non abbia nella mente l’immagine di una Napoli che canta. Chiaramente lo straniero e altri ascoltatori hanno un’idea della canzone napoletana molto superficiale, che si limita a pochi elementi, come il mandolino e le ritmiche tipiche della tarantella. Ma la canzone napoletana non è solo questo, c’è molto di più in gioco. Per orientarci meglio si potrebbe usare come riferimento il Rock & Roll, perché è un genere musicale che ha tante forme espressive e ancora oggi è in continua evoluzione: del Rock fanno parte il Blues Rock, il Pop Rock, il Soft Rock, l’Hard Rock, e ognuno di questi sottogeneri ha avuto degli importanti esponenti, come Elvis Presley, i Beatles, gli Aerosmith, i Guns N’ Roses, i Dire Straits, i Police etc. Nella canzone napoletana non sono presenti sottogeneri con una nomenclatura precisa, ma nel corso della storia ci sono stati tanti artisti che hanno trasmesso diverse interpretazioni di brani che facevano parte del repertorio comunemente definito popolare, quindi tramandato oralmente, o di brani del cosiddetto periodo classico della canzone napoletana, iniziato nel 1880 con “Funiculì Funiculà” di Giuseppe Turco e Luigi Denza.
La raccolta di saggi è un'opera davvero interessante per la cura editoriale con la quale è stata realizzata e per comprendere tutti gli aspetti della figura artistica di Roberto Murolo.
Francesco Tommasino