Strumentisti di prim'ordine, gli egiziani di Alessandria ma residenti in Francia, Tarek Abdallah all’oud arabo a sette corde e alla voce, e Adel Shams El Din al riqq, il tamburello a sonagli, incidono “Ousoul”, un lavoro consistente in cinque suite concepite su cinque diversi maqām, per una durata di quasi settanta minuti di musica. Appartenenti a due diverse generazioni, Tarek Abdallah (1975) è un fine solista, formatosi con alcuni tra i più grandi maestri di musica irachena, egiziana e iraniana; è anche musicologo, ricercatore e didatta. Da parte sua, Shams El Din (classe 1950) è un maestro rinomato, solista eccellente con trascorsi nell’Orchestra dell’Opera alessandrina, ed è stato uno dei pilastri dell’Ensemble Al-Kindi, fondato dal compianto Julien Jâlal Eddine Weiss. Nella sua lunga carriera, ha accompagnato innumerevoli musicisti di fama internazionale e inciso una miriade di dischi.
Il terreno comune coltivato dal duo è la wasla, sorta di equivalente della nuba maghrebina. Proprio “Wasla” era intitolato il loro disco per Buda Musique (2015), in cui convivevano memoria storica dei capisaldi compositivi della fioritura musicale di fine XIX e inizio XX secolo, un approccio personale a questa forma di suite di matrice colta. Adesso, rinnovano la loro ricerca estetica in “Ousoul”, forma francese della parola araba “usûl” (plurale di “asl”), il cui significato è riconducibile a “origini”, “radici”, “fondamento” ma indica anche i “cicli ritmici” della musica modale del mondo mediorientale. L’album è pubblicato dalla medesima etichetta e contiene un libretto con approfondite note di presentazione bilingue francese/inglese vergate da Jean Lambert.
I due affiatati artisti concepiscono la loro musica come un costante dialogo, lavorano con perizia nell’interazione e ci consegnano delle suite composte secondo le regole dei modi (“Nahâwand”, “Higâzkâr”, “Râst”, “Bayyâti” e “Sikáh”); i cicli ritmici sono tradizionali anche se non sempre molto utilizzati, e i due musicisti ne creano di nuovi. Si apprezza l’idea di accostare, nella suite in “Nahâwand” con cui aprono il lavoro, due cicli ritmici inventati dal compositore e teorico egiziano Kâmil al-Khula’i (1875-1938) in 17/4 e 12/8, aggiungendo un nuovo ciclo ritmico a 20 tempi derivato dal ciclo in 17/8 (il “Khush Rank”). Inoltre, l’esperto violinista Christian Fromentin si unisce alla coppia nel preludio improvvisativo (“Agib”, ossia “Sorprendente” o “Stupefacente”) e nel terzo brano (“Nour”, che significa “Luce”). Lo spessore del duo, la capacità di intersecare i loro strumenti affiorano in “Bahga” (Gioia), tema che riprende il 12/8 di Al-Khula’i, e nelle sequenze briose e danzanti di “Raqsa”. Interessante lo sviluppo della wasla “Higâzkâr” (tracce 7 e 8), che si compone di un taqsim metricamente libero, seguito da una composizione “Selsal”, imperniata sul “zangîr”, che si configura come una sequenza di tre cicli ritmici, dal ciclo più lungo a quello più corto (9/8, 7/8 e 5/8). Segue un secondo taqsim misurato. Nella successiva wasla in modo “Rast” (tracce 9, 10, 11), i due strumentisti impiegano un “bahsraf” di stile ottomano composto da Abdallah, i cui cicli raggruppati formano 45 tempi, ossia l’età dell’oudista alessandrino-marsigliese. Altrettanto intensa è l’esperienza sonora nell’ascoltare l’”isthilâl”, forma improvvisativa che presenta una frase conclusiva. La wasla “Bayyâti” (tracce da 12 a 16) parte con la title-track, fondata su due cicli ritmici dispari, disposti uno accanto all’altro (darbayn) che sono ricomposti per produrre la sensazione di un ciclo pari. Segue il preludio, omaggio alla cantante libanese Laure Dakkash (1917-2005), molto amata in Egitto, che in una sua composizione “Laylar al-Harami” utilizzava un ciclo di 18 battiti (diviso in 7+6+5). Seguono un taqsim ritmato, dove è esaltato il timbro dei bassi dell’oud, e le magistrali “Hanine” (Nostalgia) e “Mandira Masri”. Il secondo motivo, che allude al mandira turco, conclude questa suite dotata di una certa solennità, con un ciclo ritmico dispari di 7 tempi, sconosciuto in Egitto. Si giunge, quindi, all’ultima suite, “Sîkâh” (tracce 17 e 18), in cui è presente una “muwashshah”, la forma canora poetica strofica con ritornello di origine medievale (“Yal Qalbahu”), cantata da Tarek, il cui ritmo è un 7/8 composto da Adel.
Abdallah e Shams El Din, artisti dotati di estro e tecnica, privilegiano un suono compatto e raffinato, ma sanno essere comunicativi e concreti. Sono amanti delle sfumature ma pure rigorosi nello scegliere le variazioni, i cambi di fraseggio, i solismi e gli sviluppi ritmici. Possiedono nitidezza formale, ma scavano anche nel non consueto dei repertori tradizionali del passato e creano nuove composizioni, tracciando nuove vie.
Ciro De Rosa
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