Olcay Bayir – Tu Gulî (ARC Music, 2024)

Originaria di Antep, nel sud-est della Turchia, non lontano dal confine siriano, Olcay Bayir proviene da una famiglia curdo-alevita. Suo padre era un maestro suonatore di saz. Trasferitasi a Londra da adolescente, ha intrapreso studi di canto lirico, rendendosi conto che la sua identità artistica doveva rivolgersi alla musica della sua terra natia piuttosto che alla musica classica occidentale. Pubblica “Neva - Harmony” (Riverboat/World Music, 2014), un album cantato in diverse lingue dell’area anatolica, cui seguono “Rüya - Dream” (ARC Music, 2019) e “İçerde/Inside” (2022), un EP di quattro brani prodotto durante la pandemia. L'artista curdo-londinese ha realizzato per la ARC Music l'album “Tu Gulî” (Sei una Rosa), in cui la sua voce è stata registrata a Londra, mentre le altre parti strumentali sono state incise tra Atene, Istanbul e Yerevan. Si tratta di un lavoro composto da dieci tracce che affonda le radici nelle culture anatoliche e, soprattutto, nelle origini curdo-alevite di Olcay, ma che inevitabilmente riflette anche le esperienze multiculturali della cantante e le influenze musicali provenienti dal suo vivere oltremanica. I brani sono tutti tradizionali, cantati in curdo, turco e armeno. La direzione musicale e la coproduzione sono affidate al chitarrista argentino Ignacio Lusardi Monteverde. Partecipano Huw Marc Bennett (contrabbasso), Kostas Kopanaris (percussioni), Doğu Ekin (kopuz, saz divan, chitarra fretless e üç telli), Haig Yazdjian (oud), Erdi Arslan (zurna), Juan Mauro (chitarra basso) e Arsen Petrosyan (duduk). La compresenza di timbri tradizionali anatolici e di chitarre e contrabbasso crea ambientazioni che partono dalle strutture folkloriche per aprirsi a influenze contemporanee. Tuttavia, la voce resta elegantemente protagonista della narrazione, come nel toccante brano d’apertura “Husna”, un lamento curdo basato su una storia vera di violenza cantatole dalla nonna. Questo tema riguarda le vessazioni vissute non solo dalla sua stessa parente, ma anche da molte altre giovani donne anatoliche costrette a matrimoni combinati. La traccia successiva, “Edlê”, è una vivace danza nuziale curda. Sono ispirate alla poetica curdo-alevita “Ötme Bülbül” (Non Cantare, Usignolo), nefes alla cui la versione cantata e suonata al saz da Aşik Feyzullah Tchinar su uno storico disco dell’etichetta Ocora (“Turquie: Chants Sacrés D'Anatolie”) è pesantemente tributaria “Mégu Mégun” di Pagani e De André, e “Daha Senden Gayri Aşık Mi Yoktur?” (C’è qualcun altro innamorato oltre a te?), segnata dagli intarsi dei liuti a manico lungo. Oltre, “Tal Tala” (Dai, Dai) e “Nare Nare” sono melodie armene aperte a umori jazzati, con protagonista l’oud di Yazdjian. Anche “Adana”, in cui si ascolta il duduk di Petrosyan, ruota intorno alla memoria armena, evocando il Medz Yeghern (Il Grande Crimine) perpetrato dalla Turchia nei confronti degli armeni all'inizio del XX secolo. Riprendendo lo stile dei cantori e cantastorie tradizionali dengbêj, “Ay Bilberë” (Oh Bella) è un lamento d’amore del poeta popolare Feqiyê Teyran, popolarizzato dal musicista curdo-armeno Aram Tigran, in cui Lusardi Monteverde disegna personali digressioni chitarristiche. Quanto a “Ağ Elime Mor Kınalar Yaktılar”, la composizione affronta ancora la questione femminile, dando voce a un’adolescente costretta al matrimonio e ad abbandonare il vero amato. Non meno toccante è la riflessione sulla guerra nella conclusiva “Setero”, cantata in curdo-zarzaki della regione di Dersim. Un florilegio leggero ma denso, che ci conduce dentro vicende rilevanti della storia e delle culture dell’Anatolia. 


Ciro De Rosa

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