Il secondo titolo della band Gordan, prodotto da Glitterbeat Records, è un disco inusuale e intrigante che salta all’occhio anche nel ricco e variegato palinsesto dell'etichetta. La cantante serba Svetlana Spajić (Marina Abramovic, Robert Wilson) intona melodie ammalianti basate sulle musiche tradizionali dei Balcani, costruite sopra alle improvvisazioni del batterista austriaco Andi Stacher (STECHER, Billy Bultheel, Orchestre Les Mangelepa) e alle tese linee e sonorità orchestrate dal bassista tedesco Guido Möbius. Il mix che ne risulta è un’imprevedibile mescolanza di diversi stili, che vanno dalle musiche noise e avantgarde, alle interpretazioni più astratte delle musiche tradizionali balcaniche. Arrangiamenti minimalisti che si basano sulla ripetizione ritmica con variazioni e sull’improvvisazione, combinati con espressività vocale e un profondo studio delle atmosfere elettroniche creano il sound della band: etereo, scuro, quasi ipnotico nell'intenzione. Su questo sfondo musicale il trio tesse le trame dei miti e delle leggende dei paesi balcanici. Il disco è in tutti i sensi l’incontro tra due mondi, da un lato vi è la vasta conoscenza delle tradizioni balcaniche della Spajić, dall’altro il mondo della sperimentazione e del sound design dei musicisti. “Šara” è la perfetta esemplificazione di questa sintesi, un brano tradizionale intonato su un tappeto di distorsioni (dal basso in sé ai vari feedback creati da Möbius), sorretti da un incalzante e rassegnato ripetersi del ritmo in sette scandito dalla batteria. Il pezzo è un tributo a Bora Spužić Kvaka, cantante jugoslavo che rese il brano popolare negli anni ’70 inserendolo di fatto nel repertorio canonico che animava i kafana, taverne tipiche dove storicamente venivano serviti alcolici. L’improvvisazione batteristica eccelle soprattutto in “Selo Moje”, dove Stacher stabilisce in primo luogo l’umore che pervade il brano, per poi perdersi in un’esplorazione libera e caotica dello strumento, accentuata dal fervore crepitante dei rumori controllati dal bassista. Il brano è un vero e proprio collage sonoro che raccoglie impressioni di persone e luoghi incontrati dalla Spajić nelle sue visite al paese di Žegar, in Dalmazia. Il portamento stoner rock e la moderazione nell’utilizzo di effettistica e dissonanza rendono il singolo “The Bell is Buzzying” il brano più facilmente digeribile del disco. L’attenzione è tutta sulla voce e presumibilmente sul testo, quello di una canzone tradizionale che propone il tema popolare dell’infatuazione tra una donna ed un pastore che finisce in tradimento, ma in questo caso rivisitata per concludersi in nozze.
In questo titolo omonimo Gordan propone una sintesi unica di linguaggi tradizionali ed underground. Intonate su uno sfondo oscuro, le melodie e i testi delle tradizioni dei Balcani assumono caratteristiche assolutamente uniche, quasi ad invocare un fantasma passato che zoppica inesorabilmente bloccato in un loop tetro. Il sound è davvero difficile da inquadrare. Volendo fare paragoni italiani – senza chiaramente illuderci che ci siano influenze dirette o causalità – si possono fare dei paralleli con alcuni brani degli Area, in particolare per quanto riguarda l’approccio free di Capiozzo alla batteria, anche se la sonorità scura del basso è più vicina alla personalità degli Zu. Il tutto arricchito dalla componente tradizionale. Questa mescolanza rende “Gordan” un disco per pochi, difficile da digerire ma con un’incredibile gamma di sapori da esplorare, un pasto sperimentale e diverso e senza dubbio un’interpretazione fresca ed originale. gordanband.bandcamp.com/album/gordan
Edoardo Marcarini
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