Alcuni potrebbero storcere il naso nel leggere che la musica di The Henry Girls, ovverosia Karen, Lorna e Joleen McLaughin, viene da loro stesse definita pop-folk, così come potrebbe rimanere perplessi apprendendo che, insieme ai Clannad, i principali riferimenti artistici del trio sono i Beach Boys. Sarebbe però un errore, perché a un ascolto non distratto “A time to grow” si rivela un ottimo album, in equilibrio tra la tradizione, il cui carattere è mantenuto in maniera chiara, e tutti gli stimoli e suggestioni, altrettanto ben esplicitati, che arrivano da altri generi e aree geografico-culturali. Sulle solide radici di un folk alla Chieftains (evidenti nei brani lenti in cui l’arpa è protagonista) il gruppo innesta arrangiamenti alla maniera dei Planxty o dei Clannad, fino a inoltrarsi lungo i sentieri elettronici tracciati da Enja. A ciò si uniscono suggestioni pop-rock, rimandi a repertori da crooner di metà Novecento e, soprattutto, modelli compositivi e interpretativi della folk music nordamericana, intesa nel senso più ampio del termine. Quest’ultimo riferimento non deve però indurre a pensare alla semplice adesione a un modello imperante e vincente, ma più correttamente a un ritrovare i legami tra la cultura originaria di Irlanda e quanto di essa è stato esportato in America. Che l’approccio del gruppo alla propria tradizione musicale sia libero da schemi e preconcetti ci sembra chiaro anche notando che tutti i brani cantati sono in inglese, e che il gaelico è utilizzato solo per i titoli di due strumentali. Ed anche questo non ci sembra frutto del caso: sono infatti di pezzi dedicati all’Irlanda: “Inghinidhe na hÉireann” (“Figlie d’Irlanda”) è un omaggio alle donne che hanno lottato per l’indipendenza dal Regno Unito, per la giustizia, l’eguaglianza sociale e la conservazione della propria cultura. Ha un inizio di pianoforte, delicato e quasi onirico, per poi assumere toni da danza, via via più vivaci fino a un finale dagli echi nordici. “Ag Taisteal” è invece nato negli Stati Uniti, ed è in bilico tra il piacere di essere in tour e di suonare e la nostalgia per la propria casa e la propria terra. I paesaggi e la natura del Donegal (contea in cui le McLaughlin sono nate e vivono) sono peraltro protagonisti di molti brani: “Clouds”; la piacevole “Colours in the sky”; la frizzante “Winter’s day”, la cui base di note accentate ricorda alcuni ariosi ed elettronici pezzi della già citata Enja; la riuscitissima “Honeybee/Hard Border”, in cui a un delicato inizio evocante i prati dell’isola di smeraldo segue il ronzante volo delle api, dapprima solo suggerito da violino e flauto, ma ben udibile in fine di brano. Di argomenti diversi si occupano invece canzoni come la title-track, che con leggerezza ed eleganza racconta del lockdown dovuto al Covid, e di come sia stato anche l’occasione per riflettere. In “Breathe” un’arpa e un canto poco più che sussurrato parlano della resilienza necessaria per affrontare le incertezze e le incognite della vita, e di come in questo il semplice gesto di prendere fiato sia d’aiuto. Corale, ricca di echi che si aprono a toni di speranza è “Leaving Dublin”, canzone sull’abbandono e la perdita, che però preludono ad un nuovo inizio, “Where we are now”, sulla genitorialità negata, è un pezzo dal tono elettronico, che rinvia a un progressive rock mischiato al folk. Dal punto di vista testuale la canzone più importante dell’album è “Not Your Fight”, che parla del sentirsi indifesi testimoni di fronte a un mondo “fatto a pezzi da incessanti conflitti e da violenze”. Co-arrangiatore del brano (oltre che voce e falutista) è Rioghnach Connoly, recentemente nominato dalla BBC "cantante folk dell’anno". In chiusura “Don’t fear the night” ha un piacevole tocco anni ’40, in cui le voci dialogano con il clarinetto e gli altri fiati. Oltre che cantanti, le tre sorelle McLaughlin suonano rispettivamente: Joleen arpa e pianoforte; Lorna pianoforte, tin whistle, fisarmonica e ukulele; Karen violino e ukulele. A loro si affiancano Tommy McLaughlin alle chitarre e sintetizzatore (oltre a essere co-arrangiatore); Donald McGuinnes al trombone; Kevin Murphy al clarinetto; Matthew Jennings al sax; Robert Goodman al flicorno e tromba; Dennis Boyle, violino in “Inghinidhe na hÉireann”. Un cenno anche alla grafica dell’album: coerente con i contenuti musicali, è nel contempo moderna nel tratto, con rimandi alla tradizione, come ad esempio nei colori e nella composizione del ritratto fotografico delle sorelle MacLaughlin.
Marco G. La Viola
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