Per il direttore artistico Andrew Alamango, musicista e ricercatore, membro della band Etnika (suoneranno all’AlkantaraFest in Sicilia il prossimo 28 luglio), Ritmu Roots Festival si configura come una “piattaforma per le arti performative tradizionali, che intende promuovere programmi educativi, incontri tra artisti e connessioni tra i suoni del Mediterraneo”.
E le connessioni isolane hanno segnato la seconda edizione del Festival che si è svolta nell’isola di Malta dal 17 al 25 maggio, organizzato da Festivals Malta, maltabiennale.art e Visit Malta, con il contributo dell’Istituto Italiano di Cultura.
In una certa misura Ritmu Roots eredita l’idea di base del Għanafest, manifestazione che per lungo tempo ha messo al centro dell’attenzione l’għana (pronunciato /’a:na), canto di tradizione orale in lingua maltese. Tuttavia, l’intento del nuovo festival è di fare passi ulteriori verso un’idea di tradizione propositiva, sempre in evoluzione.
Tutt’oggi praticato, l’għana ha origini e sviluppi sono dibattuti, perché se da un lato molti studiosi lo ritengono una confluenza di elementi arabi ed europei, o avvertono, certo, l’influenza araba, altri propendono per l’ipotesi di una koiné vocale mediterranea.
Si tratta di un’espressione canora che almeno dalla metà del XVIII secolo è accompagnata da chitarre; è presente tanto sull’isola quanto nella diaspora maltese in Gran Bretagna, Canada e Australia, riconducibile a tre tipologie principali: l-għana “spirtu pront”, che è un canto estemporaneo in forma di contrasto verbale,
l-għana tal-fatt, che è in essenza un repertorio di ballate, e l-għana fil għoli o Bormliża, il canto sul registro sovracuto eseguito da uno o due cantori, costituito da formule melodiche ripetute e da linee melodiche improvvisate. Diffusa in una fascia marginale di persone, questa pratica di canto possiede un vasto pubblico di estimatori e cultori. A dirla tutta, esiste anche un altro genere di poesia tradizionale, che sono i “canti popolari al lavatoio”, sempre recitati e cantati in quartine. Per motivi di spazio, non è questa la sede per discutere gli sviluppi di questo genere nell’arco del Novecento, anche in rapporto ai mezzi di comunicazione di massa, alla storia dell’industria discografica maltese, all’incidenza dei musicologi.
Nel corso della manifestazione mi sono recato a Żejtun, non lontano dalla capitale, dove in un piccolo parco pubblico una serie di statue ricorda cantori e cantatrici locali che non ci sono più. Tra di loro Frans Baldacchino Il-Budaj (1943-2006), personalità composita di cantore, poeta e artista di ampia portata, di cui vita ed eredità musicale sono state celebrate in questa edizione del Festival. Difatti, allo Splendid di La Valletta (un ex hotel di quella che un tempo era la zona a luci rosse della città), oggi in procinto di essere riconverto in un centro artistico polifunzionale, è stata collocata un’installazione sonora immersiva (Il-Qagħda tal-Mument), curata dall’artista multimediale Sarah Chircop, che ha portato il pubblico nello spirito del għana e dell’arte di Il-Budaj. Tutto ciò in collaborazione con il progetto di Magna Żmien, di cui è parte lo stesso Alamango, che sta costruendo l’archivio sonoro di Baldacchino.
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