Malutempu – Mala termpora currunt (Skenè Cultura, 2024)

Antonio Olivo è un musicista che vanta una grande esperienza nel campo della musica rock e metal (più di venti album pubblicati) e importanti collaborazioni come quella con Pat Mastellotto dei King Crimson. “Mala tempora currunt” è il titolo un po’ ironico e un po’ provocatorio, che ricorda anche il nome del gruppo “Malutempu”, composto, oltre che dallo stesso Olivo alla chitarra e alle percussioni ma anche ideatore e autore del progetto, da eccellenti strumentisti come Domenico Ierardi (fisarmonica), Davide Schipani (basso) e Illias De Sutter Ntavlidis (violino e lira). Di spicco anche il produttore che ha creduto fin dall’inizio nel disco e lo ha pubblicato con Skenè Cultura, ovvero Franco Eco, nome ormai internazionale nel campo della composizione di musica da film. Oltre alla formazione stabile già citata, il progetto si è avvalso della collaborazione a vari titoli di, Salvatore Megna, Carlo Caporizzuto, Antonello Lamanna, Stefania Malerba, Domenico Manico, Antonio Martino, Domenico Calanchi del Marchesato, Francesco Turrà, Antonio Lucente. Fondamentale è stato il lavoro di missaggio e masterizzazione, vissuto in compagnia di Max Mungari come minuzioso lavoro di ri-composizione, selezionando le tracce e svolgendo al mixer un lavoro certosino che si è tradotto nella cura di ogni singolo suono. All’ormai vasto panorama di riproposta della musica popolare calabrese, soprattutto cantata, Olivo risponde con questo lavoro che pone l’attenzione soprattutto sull’aspetto strumentale, utilizzando sia strumenti della tradizione calabrese, sia strumenti elettronici di cui Olivo ha una profonda competenza. Si crea così un ponte tra il mitologico e il moderno che sicuramente sarà apprezzato anche dagli ascoltatori più attenti e raffinati. Ecco come in sintesi Olivo sintetizza la sua operazione: “È un tentativo di rivalorizzare la tradizione orale calabrese all’interno di un contesto di world music, prendendo le distanze dalla retorica e dai luoghi comuni che spesso caratterizzano la Calabria. In questo disco, i cliché vengono abbandonati per rivelare il cuore della tradizione orale, ciò che io definisco ‘elementare’, ovvero la ricerca dell'essenza orale. Questo, infatti, è un disco ‘elementare’ perché, nella sua profondità culturale, riflette una certa ricerca che è quasi accademica, musicologica”. In generale, vengono usate delle tecniche musicali tipiche della musica greca antica e del Mediterraneo anche moderno contaminate con l’ausilio dell’elettronica. Nella traccia iniziale “Vestigia Hominis” e nella settima traccia “Rosa di fest”, ad esempio, dal punto di vista ritmico si usa, il metro trocaico della poesia greca (una lunga e una breve), prestato al terzinato della tarantella. Ai ritmi divisivi, tipici dell'occidente, si preferiscono quindi i ritmi additivi caratteristici del mondo arabo e balcanico; in “Vestigia hominis” viene utilizzato un canto augurale e di questua tradizionale di Mesoraca (“A Strina”), riprendendo una versione originariamente cantata dalle mitiche sorelle Brizzi e accompagnato in maggiore (modo ionio) dalla zampogna e dal tipico membranofono a frizione (zuchi zuchi). Nella elaborazione viene contrappuntato dalla chitarra battente che suona la tipica tarantella in minore (modo dorico): questa sovrapposizione modale crea nell’ascoltatore un piacevole e suggestivo spaesamento. La seconda traccia, “Fest e Malutiempu” potrebbe sembrare diviso in un tactus di 3 ma a un ascolto attento risulta essere dato da un 6/8 + 3/4, un procedimento che si ritrova anche nei compàs del flamenco. Nel lavoro infatti si ritrovano molte atmosfere musicali che evocano i secoli di dominazione spagnola del Sud d’Italia. Così come “Askos”, la quinta traccia, evoca i preziosi vasi funerei in bronzo a forma di uccello, da una parte, e dall’altra di testa di donna che servivano per contenere degli unguenti e datati al 540-530 a.C. ritrovati nel territorio di Crotone (Capo Colonna, Cutro, Strongoli). L'impugnatura è un kouros (giovane) e rappresenta un defunto trasportato dalla sirena. Quello ritrovato a Petelia, la Strongoli greca, dopo numerose vicissitudini, è oggi visitabile nel nutrito museo archeologico di Crotone. L’omaggio musicale dei ‘Malutempu’ a questo oggetto risulta essere una sorta di maqam di 4+2 e dal punto di vista melodico-armonico, più che alla tradizione tonale, si rimanda ai sistemi modali del mondo greco e delle culture orientali. “Sciarada” e “A luna” (quarta e sesta traccia) sono basati su un principio passacaglio che prevede la ripetizione di un basso discendente, un riff formato da un tetracordo che si sposta in altezza dando per effetto cambi di prospettiva sonora, più che di vere e proprie modulazioni proprio come si faceva nella musica dell’antica Grecia. Nella cultura popolare la luna è un’interlocutrice continua, al punto che si stabilisce con essa un accordo, detto “a patta da luna”: alla luna si rivolge il pastore, il contadino, l'innamorato, le donne che invocano una grazia, persino stabilisce quando è il tempo giusto tagliare i capelli. Da segnalare nella terza traccia, “Hera Lacinia”, l’uso della lira che è un chiaro rimando timbrico agli orizzonti epici. Il brano è infatti la suggestione musicale del promontorio di Capo Colonna in cui sorgeva il tempio di Hera Lacinia e di cui è visibile ancora una colonna dorica, meta di tanti turisti e studiosi e che rimase sogno incompiuto per lo scrittore vittoriano inglese George Gissing che poté ammirarla solo da lontano con il binocolo. Rimandi alla Grecia moderna invece si ritrovano invece nel bouzouki simulato dalla chitarra in “Rosa di Fest”. Tutti i brani sono sostenti dal groove delle percussioni e dalla nuance creata dagli archi. “Kroton”, l’ultima traccia è un brano che esalta i fasti di una grande civiltà che fu del filosofo Pitagora, del medico Alcmeone e dell’atleta Milone, del guerriero Faillo. Un tempo Kroton, poi Cotrone e oggi Crotone, fu fondata nel 700 A.C. dagli achei. Il mito racconta che Kroton, figlio di Re Lacinio, ucciso per errore da Ercole, fu seppellito con gli tutti onori dove nacque la città che prese il suo nome. La forma dei brani è data dalla ripetitività ciclica, come succede nel ciclo della vita e delle stagioni, da una invarianza che con la ripetizione ostinata crea delle continue micro-variazioni. Insomma, il tutto è teso alla restituzione di quel carattere mitico e storico che è la cornice significante di ogni brano di questo affascinante progetto. Un lavoro che omaggia una Terra, la Magna Grecia del territorio crotonese e la sua storia umana e sociale, da parte di un artista che ha scelto di ritornarvi dando un senso nobile alla sua ‘restanza’. Un disco ben studiato dove niente è lasciato al caso, sicuramente da ascoltare viaggiando tra una civiltà antica e una moderna che la recupera guardando al futuro. 


Francesco Stumpo

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