Paolo Presta – Ibridanze (Dodicilune, 2024)

“Ibridanze” è il nuovo disco di Paolo Presta, compositore, virtuoso fisarmonicista e organettista calabrese, prodotto da Dodicilune, e distribuito in Italia e all’estero da IRD e nei principali store online da Believe Digital. L’approccio alla musica di Paolo è stato di tipo audiotattile e in breve tempo è riuscito a intessere numerose collaborazioni con importanti artisti della scena musicale. L’approccio ‘accademico’ è stato un momento successivo, grazie alla nuova tendenza di studiare in conservatorio anche le musiche di tradizione orale, che personalmente trovo sacrosanta, sia eticamente che metodologicamente. L’incontro con la cantante Federica Greco lo ha spinto sempre più alla ricerca delle ‘vere’ tradizioni musicali calabresi e a maturare quindi anche questo progetto discografico, in cui la voce di Federica è spesso presente, insieme con Gianluca Bennardo al trombone, Antonio De Paoli al violino, Massimo Garritano alla chitarra elettrica, Dario Della Rossa al pianoforte, Francesco Magarò ai tamburi a cornice. Il titolo delle nove tracce da sé fornisce il senso del lavoro: partendo dal sostantivo femminile ‘ibridazione’ che di solito si usa in campo scientifico, si crea il neologismo composto plurale “ibri-danze”, dando così il doppio significato di contaminazione musicale, ma anche culturale e politico, e di danze del mondo coerentemente selezionate e unificate. Scorrendo il programma troviamo “Amore e rabbia”, dove l’espressione dicotomica del titolo è chiaramente ispirata al festival etnico di Verzino (Kr) a cui Paolo è molto legato. Nel brano si riportano sentimenti opposti ma connessi, espressi con il pacifico arpeggio della chitarra contrastato dalla fisarmonica suonata in modo graffiante. Segue “Ibridanza N. 2.”, che si collega idealmente alla traccia n. 8 “Ibridanza”, dove sul tema strutturalmente semplice ma incisivo, si passa disinvoltamente da una tarantella calabrese, a una pizzica, a una tammurriata, (dal calabro terzinato, al saltello in due della danza salentina, al marcato binario della danza campana. Si rievoca la freschezza di quando nelle serate tra amici, si suona spesso inconsapevoli di compiere delle interessanti sincresi ritmiche. Qui invece la consapevolezza dell'ibridazione c'è e dà origine a quel complesso fenomeno ritmico fatto da poliritmie ed 'emiole'. L’ibridazione può avvenire richiamando nella struttura musicale, suoni del paesaggio sonoro, secondo l’accezione di Murray–Schafer, della natura (vento), contemporaneo (smartphone) o della tradizione popolari (tamburi processionali). “Giochi di ninfe” è l’unica traccia del disco ad essere suonata con l’organetto diatonico, il motivo conduce nell’atmosfera fiabesca di un bosco incantato, che nel nostro immaginario collettivo potrebbe essere quello della Sila ma anche del Nord Europa. Strutturalmente una tarantella ma che grazie al suo ritmo additivo evoca la tradizione musicale Arbëreshë. Di “Tammurriata de Buenos Aires” l’autore scrive che è un brano nato quasi per caso, ma poiché niente nasce per caso, si trova in esso una profonda giustificazione innanzitutto geo-culturale, pensiamo ai rapporti tra il Sud Italia e l’Argentina e ai grandi meridionali che hanno contribuito alla nascita del tango e che lo hanno rinnovato e fatto conoscere al mondo intero come, Pugliese Piazzolla, D’Arienzo. Vi è poi una giustificazione più strettamente musicale, infatti entrambi gli stili musicali sono in tempo pari e si passa senza soluzione di continuità dal ritmo scandito in due della tammorrista a quello in quattro di una cellula idiomatica tanghera da bandoneon. Ne “Il bosco del corvo” troviamo una vera drammaturgia sonora del bosco. Il messaggio etico e ecologico arriva chiaramente e in un clima, mi si passi il paragone, di un certo repertorio di Prokofiev. La forza etica e la bellezza della natura si sente nelle onomatopee a partire da quella del corvo e sembra dire: ‘abbiate cura della nostra casa comune’. Il titolo “Fun G.” è un gioco di parole di genesiana memoria. Ci dice Paolo: “Un inglese lo pronuncerebbe “fan g”, ma io, che all’inglese preferisco la ricerca dei funghi, una delle mie attività preferite, dico “fungi”, come si dice dalle mie parti. Dietro questo titolo è celata la ricerca, di un amore, di un mazzo di chiavi, di un punto ben preciso. Insomma questo brano è un omaggio alla ricerca, spesso più prolifica del risultato stesso”. In pratica quel cercare che è già un trovare, qualcuno direbbe. “Alacrisio” tratta il tema scottante della controra, dall’ ‘otium’ latino alla canzone vincitrice di Sanremo, quello appunto della noia. Essa è musicalmente espressa attraverso un basso discendente ripetuto, uno dei topos universali della musica che ritroviamo da Monteverdi, al tango argentino al fado portoghese, evidenzia il senso di vuoto di alcuni momenti, a cui si reagisce, come si dice oggi, in modo resiliente. Nell’ultima traccia, “Marzo 2020”, si sente tutta l'atmosfera sospesa e ostinata vissuta durante il lockdown, significata dalla parossistica ripetizione della cellula anapesta incastrata nel 3/4. Un disco di grande godibilità ma anche di elevato spessore culturale, espresso da un artista ormai in piena maturità, figlio di una Terra che da decenni sta partorendo interessanti sperimentazioni moderne che però affondano le radici un passato ormai arcaico ma che rivive nei segni del presente. 


Francesco Stumpo

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