Non ha bisogno di molte presentazioni Clara Graziano, tra le più raffinate musiciste del nostro panorama musicale. Organettista in forza nella OPI, l’Orchestra Popolare Italiana, e nel leggendario Circolo Diatonico, la Graziano si presenta questa volta nella veste (parzialmente nuova) di autrice di “Al ritmo della luna”, un album splendido per compostezza, delicatezza e timbro, il suo primo da solista. Chi segue il fluido delle musiche popolari italiane - un fluido che si rigenera in mille rivoli, nella maggior parte dei casi originali e piacevolmente sorprendenti - ha avuto modo di incontrarla anche in diverse collaborazioni, in progetti di varia gradazione sonora. Collaborazioni e compresenze che ritornano nei dieci brani che compongono l’album. E che, in un certo senso, ricompongono un percorso musicale avviluppato a relazioni solide, a un insieme di sguardi obliqui, che guardano selettivamente alla narrativa dell’organetto e al suo carattere deciso, insieme antico, tradizionale e nuovo, al folk ritmico, all’etnojazz e, in generale, alla tradizione cantautorale italiana. L’atmosfera che si definisce, fin dal primo brano (“Rosa dei venti”), è quella sognante e vagamente sfuggevole - ancorché presente e netta - che deriva dalle frasi di un organetto sincopato e morbido, il cui suono ligneo riflette un insieme di riflessi circolari (a cui contribuisce l’oud sinuoso di Ziad Trabelsi): il brano è un’apertura perfetta della lirica impostata dalla Graziano, stratificata su brevi incursioni di percussioni semplici ma fondamentali, frasi melodiche risolute e compostamente sospese. Da qui si sorvola, lungo una traiettoria sicura, un mondo dai contorni sfumati, un insieme di forme varie e smussate, senza vincoli di nessun tipo. D’altronde, il percorso della Graziano è veritiero, il suo occhio è preziosamente incantato ma sufficientemente disincantato da riportare tutte le suggestioni che incontra dentro il suo strumento e la sua visione. Quello sguardo obliquo di cui sopra, che abbraccia le sottotracce di un racconto inclusivo, cita, già nel secondo brano, il concetto dell’insieme, il fenomeno del riconoscimento, delle affinità, con la poesia di Raffaele Viviani “Amicizia”. Il brano è arrangiato con cura e cautela, dondolato dalla “complicità” di Gabriele Coen. Alla tradizione napoletana si ritorna alla fine dell’album, con il brano “Preferisco il ‘900” di Enzo Fusco e Vincenzo Valente. Lo scorrere del brano ricompone l’immagine di una grande lirica, in cui confluiscono la precisione metrica, l’ordine di un ritmo delicatissimo ma cadenzato - a cui concorrono corde, fiati e voce - e un’atmosfera di libertà piena, onesta e fiera. Tutto questo è incluso nell’ironia trascinante del testo, che recita la rivelazione (impudica al tempo: siamo nel 1937) dell’indipendenza femminile. “Luna tu sei” riconduce la narrazione dell’autrice a una contemplazione malinconica che, nell’idea generale di un sentiero multiforme e sospeso tra il reale e l’onirico, sembra affacciarsi in uno spazio più dilatato. Uno spazio che racchiude immagini composite, che assumono forme via via più nette dentro il processo della scrittura e l’individuazione del suono. Per questo, come si indica nelle note di presentazione dell’album, l’ascolto dell’album è anche una prima prova, un primo tentativo di figurare la forma che i brani assumeranno nella dimensione live, gestita da un quintetto equilibratissimo, composto, oltre che dalla Graziano, da Gabriele Coen, Sasa Flauto, Alessia Salvucci e Rosario Liberti. A questi nomi, nello spazio dell’album, si sono affiancati quelli di Raffaello Simeoni, Tony Esposito, Lucilla Galeazzi, Gabriella Aiello e Arnaldo Vacca.
Daniele Cestellini
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