Le recenti pubblicazioni discografiche ufficiali di un paio di vecchie esibizioni del 1974 degli Steeleye Span (luglio, New York e novembre, Londra) offrono occasione di ripercorrere a grandi linee la gloriosa storia di quel loro primo fondamentale decennio di vita. La folk-rock band inglese, a distanza di cinquantacinque anni dalla creazione è, ancora viva e vegeta. Era nata dall’avversione di Ashley “Tiger” Hutchings per quella che risultava una consolidata, confortevole e pacata tradizione dei folk club e pub londinesi dove, già dalla fine degli anni Cinquanta, giovani musicisti si riunivano e, lontani da circuiti accademici, proponevano, strumenti acustici alla mano, una rivalutazione del proprio patrimonio folkloristico nazionale. Cecil Sharp e Francis James Child avevano da tempo tracciato pionieristicamente la via di questa direzione europea, la prima nel suo genere, ma i contorni di un recupero pluri-secolare non erano ancora del tutto codificati. Serviva più coraggio, secondo il bassista, nel trattare quelle archeologiche ballate anche se era giusto star lontano dalla consueta derivazione blues americana del rock. Aveva già elettrificato la sua prima creatura, Fairport Convention, ravvivando l’indolente arcaicità con tecniche strumentali e orchestrali moderne e innovative ma non era ancora sufficiente. L’idea del nuovo ensemble balenò durante una discussione nella campagna dello Staffordshire, nei pressi di Stoke-on-Trent, nel giugno di quello stesso anno durante il Keele Folk Festival, tra Hutchings, Maddy Prior, Tim Hart, Dave e Toni Arthur. Il nome venne preso a prestito da quello del personaggio di un carrettiere presente nelle righe della ballata ottocentesca del Lincolnshire “Horkstow Grange”. Lo suggerì Martin Carthy all’amico Tim Hart e vinse il ballottaggio con “Lyubidan Waits” (dal nome di un dio irlandese) e “Middlemarch Wait” (da quello della città di fantasia di un romanzo di Eliot). Ad Ashley si unirono due coppie: Tim Hart/Maddy Prior, Gay e Terry Woods.
I motivi tradizionali contenuti nell’esordio primaverile "Hark! The Village Wait!" (1970) vengono esplorati con strumentazione elettrica senza concessioni rockistiche, la presenza della batteria (seppur non in formazione) risulta un po’ condizionante ma gli impasti corali rasentano già l’estasi. L’oscura ballata scozzese “Twa Corbies” (la cui melodia deriva dalla bretone “Al Alar’ch”) medita sulla natura umana e sulla transitorietà della vita, premonendo tragicamente che i venti del tempo spazzeranno via le tracce di ogni esistenza. I corvi sono simboli ricorrenti in varie mitologie, in quella norrena Odin è anche chiamato “Il Dio dei Corvi”, questo kenning è dovuto a Huginn (Pensiero) e Muninn (Memoria) che stanno accovacciati sulle sue spalle. Al sorgere di ogni giorno i due neri pennuti volano intorno alla Terra a raccogliere le notizie che poi riferiranno all’orecchio del loro dio. Questo dice il XX canto del poema eddico Grímnismál, monologo tratto dal manoscritto medioevale islandese del XII secolo Codex Regius, nel quale Odin svela i misteri del mondo divino. Le differenze notevoli tra le due voci femminili, la coppia di metalliche chitarre elettriche lontane tra loro, la limpidezza espressiva delle parti di violino, gli interventi di mandolino, dulcimer, autoarpa, concertina fanno sì che le atmosfere dei temi melodici (a predominanza irlandese) del disco risultino patinate di nostalgia ma anche espressioni elettriche di inedita contemporaneità. La prima formazione degli Steeleye Span esiste solamente per un disco e senza neppure un concerto dal vivo: i coniugi Woods se ne tornano nella nativa Irlanda. Tim Hart e Maddy Prior continuano ad esibirsi in duo e Ashley raggiunge Bob e Carole Pegg. Ma Hart in piena autonomia contatta il folk-singer Martin Carthy invitandolo a unirsi alla band, Martin (che ha appena registrato “Landfall” per la Philips) non esita troppo, si reca a Londra, i due provano insieme alcune armonie vocali e la cosa funziona subito a meraviglia. Ashley propone allora di aggiungere il violino di Peter Knight che ha da poco ascoltato esibirsi in coppia con il chitarrista Bob Johnson. Knight è un musicista tecnicamente preparato anche se sta lavorando come venditore alle Edizioni Musicali Boosey & Hawkes, molla tutto e il gruppo rinasce subito! La batteria sparisce definitivamente. L’esordio dal vivo avviene nel settembre di quel 1970 all’Università di Salford, seguono poi altri college, il Cambridge Folk Festival, la BBC Radio One, lo Stuart Henry Show, il mitico Top Gear di John Peel, la BBC TV, fino alla primavera dell’anno seguente. Le registrazioni di quei magici concerti consegnano all’ascolto un affascinante ensemble sperimentale, fusione equilibrata di musica sofisticata e primitiva al tempo stesso, dove gli impasti vocali toccano armonici prometeici.
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