Eleonora Bordonaro – Roda (Finisterre/Just Entertainment, 2024)

#BF-CHOICE

Eleonora Bordonaro supera le migliori aspettative con un album che ricompone una parte del paesaggio sonoro della comunità di San Fratello, nei pressi di Messina, dove è fieramente in uso un dialetto galloitalico - derivante da frammenti di diversi idiomi del nord Italia, innestati a partire dall’XI secolo – che  permea anche le rappresentazioni rituali legate al periodo pasquale. Lei lo ha scoperto seguendo la sua innata attrazione per le minoranze linguistiche e – una  volta assorbita la dimensione estetica e sociale del luogo e delle sue espressioni musicali – si è convinta a convogliare parte della sua esperienza in “Roda”, un album elegiaco più che documentale. Sì, perché proprio questo approccio poetico – allo stesso tempo tenue, delicato e prorompente, proprio come richiede l’esuberanza del tempo rituale – rappresenta l’elemento centrale, il riferimento più forte e irriducibile, intorno al quale si avviluppa lo stupore di noi ascoltatori. Che comprendiamo, entrando gradualmente in contatto con tutti gli elementi che caratterizzano l’album, la trama di un racconto “semplicemente” partecipato, compreso ed espresso: sorretto, prima di tutto, dalla profondità dell’esperienza, del contatto. L’ insieme dei fenomeni e degli eventi che ne è alla base ha denotato il profilo di nove brani compatti, ancorché slacciati da ogni formalità, la cui indipendenza di fondo diffonde mistero, fascino, passione. I nostri lettori sanno che la Bordonaro – cantautrice  siciliana finalista alle Targhe Tenco 2020 con lo splendido “Moviti Ferma”, cantante solista dell’Orchestra Popolare Italiana dell’Auditorium Parco della Musica di Roma e Cavaliere al Merito della Repubblica, per le sue composizioni in siciliano e la ricerca sul galloitalico – è
fortemente legata al racconto del popolare, con una dichiarata attenzione alla poetica dei cantastorie (ricordiamo che è la fondatrice della Casa Museo del Cantastorie di Paternò), del sacro e, soprattutto, del mondo femminile. Ecco, se possibile, “Roda” rappresenta l’esempio più chiaro di questo suo caparbio interesse. Dentro c’è consapevolezza: la capacità di calibrare e mischiare i suoni contemporanei ed elettronici con quelli non temperati e fruscianti delle trombe di San Fratello, così come la volontà di deformare il proprio canto per raggiungere una dimensione in cui voce e contesto sonoro possano risuonare in un unisono nuovo, informale, informe. A comporre il profilo sonoro dell’album – arrangiato da Puccio Castrogiovanni e Michele Musarra – partecipano gli esecutori delle musiche pasquali di San Fratello (con le trombe ottocentesche a un solo pistone), che intessono un suono e un timbro densissimi, dialogando, oltre che con la voce di Eleonora e con I Lautari, con chitarre, mandolino, mandola, marranzano, fiati (corno, sax, tromba, trombone ed eufonio), batteria, basso e pianoforte. Del lungo percorso di ricerca e creazione di “Roda” abbiamo parlato con Eleonora Bordonaro.

“Roda” è un album originale per più ragioni. Iniziamo dalla prima, cioè la lingua: dove siamo, di cosa si tratta e chi è che parla?
Si tratta del galloitalico di San Fratello, in provincia di Messina, il cosiddetto Lombardo di Sicilia, un dialetto composto da frammenti di varie parlate del nord Italia formatosi in seguito all’arrivo nell’isola di
soldati e coloni a partire dall’XI secolo, durante la reggenza di Adelasia del Vasto della dinastia Normanna, che appunto era originaria del Monferrato. Assolutamente incomprensibile per i non nativi, è rimasto pressoché intatto nei secoli, anche a causa del relativo isolamento geografico del paese, e ancora oggi è quotidianamente utilizzato da tutte le generazioni e da tutte le classi sociali. Insomma, un dialetto “resistente“ che si è trasmesso per via orale nei secoli in quel borgo tra il bosco dei Nebrodi alle spalle e il mare con le isole Eolie di fronte, gelosamente protetto dai sanfratellani. 

Hai lavorato, in passato, anche su altre “isole linguistiche”. Puoi parlarne brevemente e descrivere quali spunti musicali e, in generale, artistici emergono da queste "frequentazioni”?
Nel percorso di ricerca del repertorio di poesia popolare ho incontrato l’arbëreshë di Piana degli Albanesi, così come raccolto da Lionardo Vigo a metà ‘800, e quello di Chieuti, in Puglia, ai confini con il Molise. Sono inoltre affascinata dal griko salentino che ho scoperto attraverso l'Orchestra Popolare Italiana. L’incanto del suono è la prima fascinazione, seguita dalla scoperta delle possibilità ritmiche nascoste in una lingua seconda. Vivo il dualismo tra la necessità di cantare l’autenticità della mia lingua madre, cioè il siciliano, e il gusto di esperire suoni non quotidiani. Di sentire risuonare la mia voce a delle frequenze diverse. Il piacere di imitare i suoni nel canto mi permette di interpretare atmosfere e frequenze differenti, credo che ci sia il teatro e la recitazione dietro questo desiderio di sperimentami con le lingue, cioè diventare ogni volta il testo interpreto attivando delle frequenze sonore diverse, che sono paesaggi emotivi 
ogni volta coerenti. 

“Roda” è, poi, la connessione all'universo femminile in un contesto isolato, di resistenza. Ma, sulla base di questo, riconduce anche a uno scenario più ampio, in cui la musica esprime un'appartenenza e, allo stesso tempo, determina una posizione. Quanto è reale ciò che si può raccontare in questo senso e quanto è simbolico?
Roda racconta un rito basato sull’amicizia e la condivisione. Racconta poeticamente pratiche rituali condivise da una comunità fortemente consapevole della propria appartenenza ad un luogo, ma soprattutto illustra un modo possibile per vincere la malinconia. I Giudei in questo contesto incarnano il villaggio di affetti in cui si cerca conforto nel momento della fragilità. Sono l'uno per l’altro una spalla, un compagno di dileggio, un dileggiante e un dileggiato. Un sodale. Sono l’abbraccio di una comunità, di una rete sociale che resiste a dispetto dello spopolamento dei borghi e che è soprattutto un antidoto contro la solitudine.

Alla figura femminile si accosta quella maschile, più "societaria" e, anche per questo, più protagonista. Sembra di riflettersi, anche nel caso di questo luogo, in una dinamica che incardina le società tradizionali a elementi comuni.
Roda, cioè Lei, è uno sguardo femminile su un rito apparentemente solo maschile. Le donne stanno sul fondo, silenti protagoniste, galvanizzano la vanità dei Giudei e ne costruiscono la convivialità. Ma sono le
vere tessitrici della trama della festa. Orgogliosamente cuciono i costumi, ricamano i decori, preparano pranzi, spuntini e merende e nessuna reclama un ruolo differente rispetto a quello che ricopre. Il disco fotografa in effetti questa organizzazione senza giudizio, perché ogni giudizio esterno sarebbe inappropriato rispetto ad una comunità così in equilibrio. 

Traspare una profonda partecipazione, dovuta probabilmente al fascino della resistenza – linguistica e identitaria. Puoi parlarci di come hai incontrato, documentato e studiato, prima di elaborare musicalmente “Roda”?
Nel 2009 ho trovato per caso un frammento poetico in galloitalico leggendo le raccolte dei demologi dell’800. Da lì è partito un vortice di curiosità che mi ha portata a San Fratello da visitatrice prima, da improbabile intervistatrice dopo. Molte impressioni sono state colte al bar, nei pranzi casalinghi, alle feste. È stato un lavoro collettivo in cui frammenti e spunti, vocaboli, modi di dire, punti di vista sono stati inconsapevolmente suggeriti da interlocutori talvolta casuali. Nel disco mi è piaciuto collezionare frammenti sonori originali delle voci dei Sanfratellani.  C’è un intero villaggio nella costruzione dei nove brani.

Sul piano musicale, in che modo hai deciso di trasportare tutte le suggestioni di questo incontro?
Incorporando il suono aspro delle trombe del Giudei al contesto sonoro contemporaneo. Si parte dal
mondo musicale dei Giudei per costruire le melodie al servizio della storia che raccontiamo. Le trombe che “sgrignano” urlano, ridono e pregano insieme, mentre il marranzano sostiene ritmicamente il racconto, in un panorama che è meditativo e concretissimo.

La complessità dello scenario che hai voluto presentare è riflessa anche nella struttura dell'album. Puoi parlarci di come è organizzato, in riferimento soprattutto ai diversi "capitoli”?
La struttura complessa di un mondo semplice, ricostruita da un occhio estraneo. “Roda” è costruito come un percorso. I brani progressivamente aprono alla conoscenza poetica di vari aspetti di San Fratello e dei Giudei visti con l’occhio del viaggiatore, di chi si stupisce e interpreta le visioni e gli stimoli che riceve, ricostruendone le ragioni. Come fosse un Grand Tour. Nessun intento etnomusicologico né scientifico, ma solo stupore, empatia e curiosità. “Iermanimei” è la poetica apertura verso la natura e l’istinto, in un territorio misterioso. È la prima cosa che colpisce il viaggiatore. Con “Pinsier” conosciamo i Giudei tramite il documento autentico del loro mondo sonoro. Chi sono i Giudei?  Sono “Amisg”, Amici, alla fine sono semplicemente amici che si scelgono e decidono di sostenersi l’un l’altro anche dismessi gli abiti della Festa. Le ragioni della Festa sono ironicamente esposte in “Giuriei”, in cui goliardia e afflato spirituale prendono la forma dello scherzo. Gli abiti appunto, il costume, descritto minuziosamente in “Culaur Sgargient” mentre l’attitudine da disturbatori, antagonisti, sopravvissuti è protagonista di “Umbra Vaganti”. “Ciro Zzrirìan” è ispirato ad un episodio reale, colto durante la festa, in cui l’umanità semplice e prudente viene al servizio della conservazione del rito prezioso. Le donne vengono omaggiate con “La duntanänza”, una poesia d’amore della più grande poetessa sanfratellana vissuta nell’800, al tempo delle raccolte dei grandi demologi. La cronaca degli ultimi anni irrompe a chiudere l’album con il racconto di un episodio di dolore e resistenza. “Airàm Uoi” è una preghiera carica di speranza e sofferenza per la frana che ha devastato il paese nel 2010, mentre gli uomini si stringono forte per darsi coraggio. 



Eleonora Bordonaro – Roda (Finisterre/Just Entertainment, 2024)
Sebbene la tentazione di definirlo tale sia forte, “Roda” non è (ancora) un resoconto etnografico. Anzi, non crediamo che sia un caso che le categorie che Eleonora Bordonaro – cantautrice indomita, musicalità innata, voce profonda e potentissima - oppone a questa definizione (con tutto ciò che circoscrive sul piano concettuale e, in un certo senso, politico) siano proprio quelle del trasporto e della partecipazione “con stupore”. Perché sono categorie che trattengono gli elementi basilari di una vicinanza necessaria, di quell’esperienza graduale e diagonale che può - poi, una volta incorporata - sgorgare attraverso la voce: attraverso quel corpo che la Bordonaro pone implicitamente al centro del suo canto, a filtrare i movimenti più irruenti di una musicalità insopprimibile. E perché, probabilmente, l’idea di una ricostruzione etnografica del contesto culturale e musicale di San Fratello – erroneamente tradotto così dal termine San Filadelfio, a sua volta derivante dal dialetto galloitalico San Frareau – non ricondurrebbe alle articolazioni più “naturali” delle dinamiche intraviste e partecipate in questa piccolissima comunità resistente. Non tanto per la rigidità che un resoconto scritto, sulla base di un’analisi disciplinata e inevitabilmente attorniata dai criteri della buona vecchia antropologia, porterebbe con sé. Molti degli elementi che connotano l’assedio da parte della disciplina sono, infatti, presenti nel metodo di lavoro attraverso cui la Bordonaro ha realizzato l’album (abbiamo cercato – non del tutto immotivatamente – di farli emergere in alcuni passi dell’intervista): organizzazione del racconto, svolgimento graduale di un testo in grado di raccontare il contesto e aprirlo a una rappresentazione, selezione dei temi e delle “immagini” che meglio ne traducano lo spirito. Non tanto per le implicazioni che una rappresentazione saggistica avrebbe sulla dimensione sociale di questa isola linguistica di circa 70 chilometri quadrati - felicemente protetta nell’orizzonte bidimensionale del bosco dei Nebrodi e delle isole Eolie. Quanto per il fatto che il resoconto musicale - di certo arrangiato e prodotto con i mezzi del professionismo che, in ultima istanza, ingenerano qualche consapevole filtro - è co-cantato, co-suonato con le fonti locali (mordiamoci la lingua), nel quadro complessivo di un avvicinamento passionale, della scoperta di una musicalità che ha, in fondo, qualcosa a che fare con la visione musicale dell’autrice. Lei stessa argina la sua esperienza per difenderla da quelle capsule interpretative che non danno scampo, se le si applica come un metodo, come un antidoto all’imperfezione o all’approssimazione, come una tendenza a motivare per favorire l’intelligibilità: ciò che sorregge l’album è, in ultima istanza, l’immagine di “un viaggio sgangherato e lussuoso dentro un desiderio”. In altre parole, la volontà di assorbire ciò che, nell’arco di un tempo lungo (il primo “contatto” è avvenuto più di dieci anni fa), si riconosce, si conosce in qualche andito della coscienza. Infatti, “Roda” è “un villaggio nel cuore, abitato da personaggi seduttivi, solidali, grati, fuori luogo, devoti, folli, orgogliosi e sgraziati, ognuno dei quali è parte e balsamo della mia malinconia”. E il suo profilo si tratteggia non tanto attraverso la musica, ma attraverso l’interpretazione sonora di un (piccolo) grado della socialità locale: “uno squillo, una frustata e un trillo, uno schioccare di fruste e cavalli al galoppo, un urlo gridato in faccia alla morte, alla malinconia, alla solitudine”. La bellezza irresistibile di questo album è la sua capacità di trafiggere chi ascolta proprio con quelle irregolarità sonore che, ricondotte alla seduzione e alla forza della voce della Bordonaro, lasciano intatta un’attrazione “etnografica” (adesso ci vuole): l’irresistibile disorientamento di una narrazione appesa alla mistica di un ignoto molto prossimo.


Daniele Cestellini

Foto di Gianluca Perniciaro

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