A.G.A. Trio – Araxes (Riverboat, 2024)

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Fra Mar Nero e Mar Caspio, si sono voluti identificare la catena montuosa del Caucaso o la depressione del Kuma-Manyč come possibili confini fra Europa e Asia, là dove le cime separano la Russia da Georgia, Azerbaigian e Armenia. Insieme a parti dell'Iran e della Turchia, questa regione è chiamata Caucaso del Sud o Transcaucasia. È stata e resta fra le aree più militarizzate e politicamente più instabili con un passato di genocidio e di territori contesi, l'Abcasia, l'Ossezia del Sud, il Nagorno Karabakh. A.G.A. indica Anatolia, Georgia e Armenia e questo trio ha già registrato per la Naxos un ottimo primo lavoro, significativamente intitolato “Meeting”, capace di guardare alla storia, alle danze, alle tradizioni e alle nuove tessiture musicali della regione con uno spirito di pace. Il titolo del nuovo album, “Araxes”, rimanda al fiume che attraversa i territori di origine dei tre musicisti (Armenia, Georgia e Anatolia), un corso d’acqua vitale e serpeggiante, conosciuto per la sua straordinaria bellezza. Imbarcarsi in un viaggio lungo questo fiume è anche un’occasione per incontrare da vicino le comunità che vivono lungo le sue sponde, eredi di melodie antiche e di narrazioni che si intrecciano fra loro. Come nel precedente album, anche per il nuovo disco ogni membro del trio ha contribuito con le proprie composizioni alla riuscita dell’opera complessiva. Il duduk di Arsen Petrosyan introduce, solitario, la melodia del brano di apertura che fotografa lo spirito dei tre musicisti: “On The Road” muove senza soluzione di continuità dalla narrazione introspettiva al crescendo dell’ensemble che
offre il ritmo e gli accenti giusti per accompagnare passi di danza. Il testimone passa quindi alla fisarmonica di Mikail Yakut che propone “Dark Elf”, brano energico e dolente al tempo stesso, dedicato a chi viene emarginato e oppresso: “Il tema ricorrente degli ‘altri’ soggetti a demolizione nella storia dell'Anatolia e del Caucaso meridionale fa da sfondo a ‘Dark Elf’, e cerca di dare voce alle loro esperienze, lotte e resilienza”. Pur essendo un versatile polistrumentista, in “Araxes” Deniz Mahir Kartal privilegia il kaval anatolico con cui guida le tre composizioni inserite in sequenza nella parte centrale della scaletta. Si comincia con “Dancing Horses” che dipinge letteralmente l’incontro con una mandria di cavalli e il loro diverso incedere. È poi la volta del brano più esteso dell’album, “Wind Of Araxes” a raccogliere e sviluppare con maestria le impressioni generate dalla visita alle rovine di Ani, nella provincia di Kars, inno ad un mondo senza confini, impreziosito dalla trama tessuta dalle corde dell’oud che poi lasciano spazio alla fisarmonica di Mikail Yakut per rievocare l’esperienza della festa per un matrimonio ospitato dalla comunità georgiana di Machakheli, sul confine tra Turchia e Georgia: “Ho dovuto passare una notte nel pittoresco villaggio immerso tra le montagne perché la mia auto si è rotta. 
Quella sera c'era un matrimonio nella piazza del villaggio e quella notte indimenticabile è rimasta nella mia immaginazione mentre componevo questa canzone”
. L’incedere solenne della fisarmonica permette al duduk di Arsen Petrosyan di cantare in “Hayrikis” tutta la sua stima ed il suo affetto per il padre, morto quando aveva quindici anni, la persona che l’ha ispirato a votarsi alla musica. Altrettanto ispirato ed espressivo è il solo di Deniz Mahir Kartal. I tre brani finali sono insieme una specie di manifesto dello spirito che anima il trio: Mikail Yakut dedica “Salkım Sögüt (Salice piangente)” al poeta Nazım Hikmet, mentre “Kavkasiuri” (che significa “caucasico”) presenta una suite di danze in sintonia col brano conclusivo, la danza tradizionale conosciuta con nomi diversi, “Shalakho/Kintauri/Karabağ”, arrangiata a sei mani, monumento sonoro ai ponti culturali capaci di connettere le diverse comunità dell'Anatolia e del Caucaso meridionale. 


Alessio Surian

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