Soma. Peppe Frana, Ciro Montanari, Masih Karimi – Soma (Felmay, 2023)

Con il primo album il Soma trio si è già guadagnato l’attenzione di alcuni palchi prestigiosi e le prossime tappe li vedranno protagonisti dei concerti all’Espai Ku di Barcellona e a Cardedeu per l’edizione catalana dei seminari Labyrinth il 23 e 24 marzo, per poi fare sosta a Firenze all’interno della rassegna Mixité il 7 aprile. Nelle scritture vediche, il Soma è la bevanda della salute e dell’immortalità, indispensabile per chi voglia prepararsi ad affrontare le sfide importanti. È parte di uno sguardo che legge nei cicli di vita l’intrecciarsi di distruzione e rinnovamento, il divenire nutrimento dell'atto creativo di tutto quanto venga incorporato. E ora che avete letto questa frase, potete tornare ad osservare la splendida ed evocativa immagine di copertina dipinta da Masih Karimi che con Peppe Frana e Ciro Montanari, ha tradotto il Soma nello studio dei repertori musicali e dei linguaggi dell'area indo-persiana. A sua volta, questo studio ha generato le composizioni e le estese improvvisazioni a partire dai modi melodici che fanno da matrice alle composizioni e che danno forma al loro primo album, in tutto nove brani fra i 5 e i quattordici minuti. Accanto al già vasto ventaglio di strumenti del trio, troviamo in un brano (“Amuri”) la dilruba, strumento ad arco con quattro corde principale e una dozzina di simpatetiche, suonato da Renata Frana e in “Chaos”, che apre l’album, la ghironda di Efrén López Sanz. Così i tre membri del trio raccontano il loro rapporto con gli strumenti che suonano, quando e perché li hanno scelti, i loro maestri e in che modo questi strumenti permettono di esprimere la loro musicalità: “Peppe studia le tradizioni musicali extra-europee dal 2006, anno in cui ha inaugurato l’apprendimento dell’oud sull’isola di Creta presso Labyrinth, la scuola fondata da Ross Daly. Di lì a poco avrebbe appeso l’amata chitarra elettrica al chiodo per imparare a suonare più o meno qualsiasi cordofono a plettro gli capitasse per le mani, specialmente i due strumenti che suona in SOMA, l’oud che ha approfondito con Yurdal Tokcan e il robab afghano che ha studiato con Daud Khan Sadozai. Masih ha studiato il tanbur e il suo repertorio proprio con Heidar Kaki e specialmente Ali Akbar Moradi, massimo virtuoso dello strumento e autore della prima registrazione integrale del suo repertorio rituale, fino a quel momento non divulgato al di fuori della cerchia dei seguaci dello Yarsanesimo, la religione esoterica che considera sacro il tanbur. Il tanbur e il daf (che ha studiato con Sara Fotros e Nabil Yousof) per hanno affascinato Masih in principio per la loro funzione mistico-tradizionale, ora sono gli strumenti espressivi per un approccio musicale più contemporaneo. Ciro è stato folgorato dalla raffinatezza e dalla complessità del tabla a vent’anni e ha studiato con gli italiani Matteo Scaioli e Federico Sanesi, quest’ultimo docente al conservatorio di Vicenza che ha frequentato, perfezionandosi con Sankha Chatterjee, grande tablista e didatta allievo dei leggendari Keramatulla Khan e Alla Rakha”. Sorge spontanea, a questo punto, la curiosità rispetto a come si siano incontrati e come sia nato il nome del trio e questo album, oltre a capire dove e come l’abbiano registrato: “Ciro e Peppe si sono conosciuti nel 2010 ad un seminario di robab afghano che ospitava Daud Khan Sadozai. Da quell'incontro è nata una grande amicizia e un lungo sodalizio artistico che ha prodotto anche un disco in duo (‘Distant Mirror’, 2018, autoprodotto). L’arrivo in Italia di Masih è stato annunciato da un comune amico svizzero esperto di tradizioni musicali persiane e centrasiatiche, Mathieu Clavel, e quando ci siamo incontrati per suonare è stato subito amore: sia il nostro suono che le nostre sensibilità musicali si sono fuse alla perfezione. L’album è stato registrato al Duna Studio di Russi (Ra) suonato praticamente live, dopodiché abbiamo affidato il lavoro di mixaggio e mastering alle sapienti mani di Efrén López. La parola "Soma, che in greco vuol dire notoriamente "corpo", nelle scritture vediche indica la bevanda che conferisce salute e immortalità, che l'eroe assume per prepararsi all'impresa. Abbiamo trovato interessante il parallelo con le adunate mistiche dello yarsanesimo, che comprendono un rituale di ingestione di cibo sacro, una sorta di comunione, e più in generale con quel simbolismo universale a tutte le culture umane che rivela la concezione della vita come ciclo di distruzione e rinnovamento: ciò che viene divorato va a costituire il nutrimento necessario all'atto creativo”. Entrando nel merito dell’album, quattro brani sono riferiti a territori piuttosto vasti, Afghanistan, India, Kurdistan. Su come sono stati scelti e arrangiati rispondono ancora i musicisti: “Il repertorio tradizionale è stato scelto per mettere in risalto i linguaggi musicali di cui i nostri strumenti sono portatori nel loro ‘habitat’ sonoro, sia dal punto di vista della musica vera e propria che da quello della struttura della performance. Khanamiri è un arrangiamento originale di un maqām del Kurdistan iraniano, dalla struttura bipartita in cui lo stesso materiale modale viene presentato in due diverse strutture ritmiche, Amaturi è una melodia tradizionale di Herat dall’impressionante somiglianza con alcuni temi popolari (dhun) di Varanasi e vede la partecipazione di Renata Frana alla dilruba. Jeloshahi è un arrangiamento di uno tra i più celebri ed eseguiti maqām per tanbur: il maqām nella tradizione musicale del Kurdistan iraniano non si limita ad essere una scala modale ma corrisponde sempre ad almeno una composizione strutturata che ne rappresenta il contenuto melodico fondamentale. Infine, Vrtti è un’improvvisazione basata sul raga hindustano Rageshree sul ciclo ritmico Teental (16 tempi) nella sua versione più lenta (vilambit). Nell’induismo yogico Vrtti sono le continue perturbazioni del pensiero che ancorano la coscienza alla dimensione contingente, ritenuta illusoria”. Quali sono i processi compositivi e di arrangiamento da cui nascono i brani originali di Frana e Karimi? “Dipende dal brano. Le composizioni di matrice più mediorientale o persiana sono basate su frasi composte a partire da un certo modo melodico di derivazione tradizionale realizzata su un ciclo ritmico di riferimento. Altri brani come “Caos” utilizzano la classica struttura modulare della musica per tanbur kurdo dove una certa melodia si ripete a più riprese ogni volta con una diversa estensione. “Vrtti” invece ha la libertà improvvisativa propria della performance della musica indostana, dove la melodia che abbiamo composto è soltanto un riferimento per l'improvvisazione ritmica e melodica. Al di là di questo tutti e tre abbiamo un passato (ma anche un presente) da voraci ascoltatori di rock e heavy metal e la cosa ci sembra emergere anche al di là delle nostre intenzioni nelle nostre composizioni. Ci teniamo molto a ribadire questo aspetto, anche per emancipare i linguaggi musicali che frequentiamo dal cliché coloniale che vuole sempre connotarli come antichissimi e indissolubili dal loro contesto culturale tradizionale. La musica extraeuropea vive molte identità contemporanee che non sono solo quelle del mercato ‘world’ e noi ci teniamo a ribadirlo”. Sui modi esplorati nelle improvvisazioni e sulle caratteristiche di queste parti improvvisate, dicono: “Le tradizioni musicali che affidano la costruzione melodica ad un sistema di modi lo fanno in modi (appunto!) diversi. Nella musica mediorientale e persiana, per sintetizzare, si può dire che i modi siano sequenze di formule melodiche che diverse tradizioni musicali raccolgono in diversi sistemi teorici. Nella musica indostana, specialmente quella strumentale, l'enfasi ricade sull'abilità del musicista di improvvisare rispettando le regole melodiche, e quindi l'atmosfera musicale di un dato raga, laddove in altre tradizioni come quella del Kurdistan iraniano i maqām sono delle vere e proprie composizioni fatte e finite. In tutti i casi però, la pratica improvvisativa della modale consiste innanzitutto nel consegnare a chi ascolta una certa atmosfera melodica e poi condurla/o in un viaggio musicale che è l'itinerario melodico del modo. Si improvvisa insomma, ma sempre riferendosi ad una certa gerarchia tra le note e ad un certo repertorio di soluzioni melodiche”. Quali spazi per insegnare questi strumenti e con quali risposte? Come funziona Labyrinth a livello internazionale e in Italia in particolare? “Insegniamo tutti privatamente e ospitati in seminari e masterclass. Quest'anno Peppe, inoltre, insegna musiche tradizionali nel dipartimento pop del conservatorio di Brescia. Peppe e Ciro sono i promotori dei seminari di Labyrinth Italia, il ramo italiano dell'ormai quarantennale istituzione Labyrinth Music Workshop, la scuola fondata da Ross Daly con sede a Creta. Lo scopo di Labyrinth è promuovere lo studio dei linguaggi musicali extraeuropei in una prospettiva transnazionale e comparativa, cercando di bilanciare tanto la considerazione delle specificità regionali di queste musiche quanto la necessità di emanciparle dai tentativi moderni di ridurle a identità nazionali o etniche. Inoltre, cerchiamo di promuovere l'uso creativo e contemporaneo dei suddetti linguaggi: in questo senso la principale iniziativa di Labyrinth Italia è il ciclo di seminari Reshaping The Tradition che viene ospitato ogni anno ad ottobre dall'Accademia Chigiana di Siena. Si tratta di seminari orientati soprattutto a musicisti di formazione occidentale che desiderano approcciarsi in maniera pratica e creativa alla musica modale”. felmayrecordsmiddleeast.bandcamp.com/album/soma


Alessio Surian

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