Paolo Benvegnù – È inutile parlare d’amore (Woodworm/Universal Music 2024)

A quattro anni dal validissimo “Dell'odio dell'innocenza” e anticipato dall'EP “Solo Fiori”, Paolo Benvegnù si riaffaccia con un nuovo lavoro intitolato “È inutile parlare d'amore”. Il disco contiene dodici tracce e come spiega il cantautore: È un vero e proprio romanzo di formazione, la sceneggiatura di un film che nessuno girerà e di cui nessuno sentiva il bisogno. Andiamo a scoprirlo nel dettaglio. In apertura troviamo “Tecnica e simbolica” (“Restate a terra, c'è un uomo in mare, l'orizzonte è perduto, chi ci viene a salvare? Polvere della storia, tutti in fila ad urlare: ‘Row barconi, row, mayday, mayday!’ L'infinito a memoria come il sonno dei vinti, osservate le stelle, osservate le stelle, osservate le stelle”) con un pianoforte ossessivo a cui si aggiungono chitarre elettriche e archi nel finale. La voce di Benvegnù incontra quella di Brunori Sas nella successiva “L’oceano” (“Da sempre dentro di te, esiste l'innocenza della costruzione, la vita e il gioco, i respiri imperfetti, nell'estro il fuoco della tua e la mia illusione e nelle mani, nelle mie mani, rosso sangue che si trasforma in rosa e la fine di ogni cosa, sarà l'inizio di ogni cosa”) con pianoforte e fraseggi di elettrica. Atmosfera delicata in “Pescatori di perle” (“Per continuare ad imparare e a lacrimare da un occhio solo, per non farvi capire quanto è difficile immaginare, l'amore a volte sopravanza il sole, non lo riuscite a sentire, non vi piacciono i sogni, forse vi piace naufragare senza nessuna dignità evi nutrite di paure e di banalità, diventate incoscienti, come onde del mare”) tutta cullata da archi e pianoforte. Ritmica più serrata con basso e tastiere in “Marlene Dietrich” (“Come Marlene Dietrich dovrei liberarti, dovrei liberarti? Dovrei liberarti, come de Lempicka? Dovrei liberarti, oppure abbandonarti, oppure allontanarti? Venere che guarda il cielo rimirando il cielo interrogandosi, sei Giovanna D'Arco, potrei illuminarti, oppure liberarti, oppure vendicarti”). Arpeggi di chitarra elettrica, sostenuti dagli archi tratteggiano “Il nostro amore indifferente” (“E allora ti cercherò tra le fronde degli alberi, costruendovi un nido se dovessi tornare, poi, seminerò con i libri, le fabbriche, chiederò alle ginestre di venirti a parlare. L'assenza e il suo contrario, io chiamerò il tuo nome, per farti divertire, perché non so più aspettare e vorrei bere dalle tue mani come fanno i bambini, ma è tornata la notte, io ti vengo a cercare, come fanno gli assassini”). Un bell'innesto di chitarra acustica e pianoforte colora “27/12” (“C'è un ponte fra gli argini dell'inconsistenza, la fede non ha ragioni e crede all'incoerenza e il fiume mi parla di te, natura e perfezione, così credo all'impossibile, credo solamente all'immaginazione”), impreziosita dalla partecipazione di Neri Marcorè. Ritmi incandescenti per la travolgente “Our love song” (“Si spalanca l'oceano, il mio nome è Ismaele, un oceano perduto e di miele e la violenza e l'amore, sogno di anfetamina, il mattino e il risveglio ci avvicina”) che lascia spazio all'orecchiabile “Canzoni brutte” (“Vorrei potere stabilire con certezza la domanda e l'offerta, prendermi quello che resta, tra bieca semplificazione e volontà di seduzione, così mi sono procurato delle frasi che non c'entrano niente, ma piaccion tanto alla gente, che ci si può identificare, scaricare e poi comprare”) infarcita di chitarre elettriche e synth. “In der nicht sein” (“Sono mare, strumento, un incontro imperfetto, sono un plenilunio delle penne a sfera, il delirio, il container, l'assoluto ed un revolver, la finestra e il cortile dove brucia l'estate”) ha un'atmosfera più claustrofobica con archi ostinati ed elettronica, mentre “Libero” (“Tu che chiedi a un fiore se sa far rumore, chiedi anche un sorriso per vestire il nostro amore, chiedi alla rugiada cosa le dà vita, chiedile soltanto se tra noi non è finita, chiedi a quella rosa di ascoltarti ancora, chiedi alle sue spine di svegliarti se si vola, chiedile se è bianca o rossa di vergogna, chiedile se è giunto quel momento in cui si sogna”) ha un tappeto di Hammond con arpeggi di chitarra acustica e contrappunti di archi e fati. Una tempesta di chitarre elettriche e archi sostiene “L’origine del mondo” (“Ti voglio come un Dio violento, dentro all'inferno degli uomini, noi siamo il nostro Dio violento, dentro al deserto degli uomini e insieme sconfiggeremo il tempo, tu sei l'incendio impossibile che salverà tutto il mondo, il mio coltello invisibile che salverà tutto il mondo, siamo l'incendio impossibile che salverà tutto il mondo, dalla sua gioia impossibile, impossibile”). Chiude “Alla disobbedienza” (“In tutto quello che è perso, in tutto ciò che non c'è, in tutto quello che vedi, in tutto ciò che vedo in te, sei nell'ombra come la rugiada che si forma al buio, l'incoscienza, il desiderio, fiori stretti nell'acciaio”) con una forte dose di elettronica, ammorbidita da una lunga coda strumentale quasi cinematografica. Benvegnù è tornato con un lavoro che lo valorizza al massimo. Dentro c'è tutta la sua poetica, con una scrittura sempre attenta, dove i versi si intersecano tra loro creando bellissime immagini, accompagnati da un vestito sonoro sempre elegante, minuzioso e affascinante. In un paese giusto meriterebbe molto di più, ma sappiamo benissimo come girano le cose. Quindi approfittiamo della bravura di questo fuoriclasse della canzone d'autore italiana per nutrire la nostra anima di tanta bellezza. 


Marco Sonaglia

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