Lakvar – Fiction and Folklore (CLP-Music, 2023)

Band sconfinante e non convenzionale, i Lakvar ci hanno abituato a titoli che non lasciano dubbi sulla’eterodossia della loro concezione musicale: nel 2020, è arrivato “Sabotage and Tradition” nel 2023 è stata la volta di “Fiction and Folklore”. Il polistrumentista e compositore georgiano Zura Dzagnidze e la cantante ungherese-bulgara Hajnalka Péter, di residenza tedesca, sono la coppia fondatrice a cui si aggregano il bassista ungherese Péter Papesch, il violinista tedesco Florian Vogel, il fisarmonicista lituano Aleksejs Maslakovs, il percussionista magiaro Mogyoró Kornél, il percussionista e batterista di origine italiana Santino Scavelli; ospiti in un brano la voce del georgiano Alexander Bokolishvili (nella prima traccia) e il tambura di Áron Eredics degli strabilianti Söndörgö (nel settimo brano). L’album ben si inserisce in quella corrente avventurosa di nuovo suono folk-world ammantato di elettronica, dal tratto talvolta corrosivo, di cui l’etichetta tedesca CPL-Music si fa proponitrice presentando artisti nordici e dell’Europa orientale. Lakvar presentano la loro seconda opera con uno scritto della regista romena-ungherese Réka Kincses che vale la pena di riportare tutto: “Sono tutti ribelli, persone che mettono in discussione l'autorità, che non tollerano di essere trattati con condiscendenza. L’orgogliosa Europa centrale incontra i famigerati Balcani, incontra il Caucaso, attraendosi e respingendosi a vicenda, per l'eternità. Si rifiutano di accettare il loro destino comune, senza mai appartenere del tutto all'Europa e rimanendo sempre ai margini. Un mezzo continente che si scontra con il suo viaggio. Questa è l'Europa orientale. Il Caucaso. Non sappiamo più con certezza quando e dove. Forse in Austria, o altrove, a ovest dei Carpazi. In una curva stretta e pericolosa, un tuffo nell'abisso. Chi lascia la propria patria è destinato a soffrire all'infinito. Chi lascia la propria patria è libero. La cacciata dal paradiso è l'inizio della storia. Prima di allora, non c’è nulla da raccontare. Anche all'inferno ci si può sentire a casa. Le esperienze si radicano nella carne e nel sangue, si tramandano di generazione in generazione. Il folklore è un'esperienza intergenerazionale. La patria è solo un costrutto. La pensiamo, la mettiamo insieme nella nostra mente. Nulla esiste al di fuori del momento. Tutto ciò che pensiamo è finzione. Non c'è patria, non c'è sicurezza, non c’è amore eternamente felice. Gli alberi di Natale vengono mangiati dagli elefanti. Il folklore è il contrario del kitsch. È la dedizione alla vita, con tutto il suo dolore e senza avvertimenti di pericolo. Ungherese. Bulgaro. Georgiano. Tutto. Mi sono tagliato il dito, ma non fa male". Siamo scossi e stimolati alle lacrime, che, già troppo mature, cadono dai nostri occhi. Le lacrime sono reali. E anche le risate”. Field recordings, stilemi canori dell’Est Europa, spinta rock e noise, sequenze evocative e strumenti acustici ed elettronica alimentano questo album, sviluppato in otto brani in cui si mettono in comunicazione differenti linguaggi ed elementi sonori. Si inizia con “Malina” è un turbinoso tema ispirato dal grido di richiamo di una venditrice di lamponi al mercato di Tìblisi in Georgia. “Koga” è un canto funebre moldavo al quale è dato un inusitato, dirompente e denso groove. Il mood elettronico infonde anche “Daniova mama-Balkanum reliquit”, una canzone tradizionale bulgara in cui una donna racconta al figlio di come il padre li abbia abbandonati per andarsene in montagna, cui segue la tenera “Ilona's Lullaby”, in cui la voce di Hajnalka è accompagnata dal drone della viola e dal pizzicato del cordofono georgiano panduri. Di nuovo, il ritmo si fa incalzante in un canto dalla Moldavia, “Ki-Bë (Ki nyirësbe, bé nyirësbe)”, musicato da Péter e Dzagnidze, in cui si impone la fisarmonica di Maslakovs. Non meno energetica, con le sue venature rock, si rivela la title track, che conserva un incedere danzante, e in cui la voce si muove tra il sussurrato, il recitato e il cantato; nel testo una delle chiavi di lettura dei Lakvar: “Senza un passato non andrai da nessuna parte. Svetta “Moknili”, la settima traccia, uno strumentale che fa incontrare timbri di Ungheria e Georgia, con il tambura di Eredics e il panduri di Dzagnidze. Si finisce con “Akkor Szép az Erdő”, liriche moldave su un tema originale della coppia Péter- Dzagnidze. Si tratta del lamento di una sposa: è un’altra gemma acustica in cui il canto di Hajnalka, sostenuto da arpeggi di chitarra, è poi raggiunto dalla voce di Zura e da corde e archi e percussioni. Convincente ed efficace eclettismo. besteunterhaltung.bandcamp.com/album/lakvar-fiction-and-folklore


Ciro De Rosa

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