Arthuan Rebis – Canti di Helughèa (Black Widow Records/Eterea Edizioni, 2023)

Abbiamo seguito con grande attenzione il percorso compiuto in questi anni da Alessandro Arturo Cucurnia meglio noto come Arthuan Rebis, eclettico polistrumentista e compositore con alle spalle un articolato percorso artistico che lo ha visto incrociare il proprio cammino con la band medieval-folk In Vino Veritas per poi dedicarsi al progetto The Magic Door con Vincenzo Zitello e Giada Colagrande per giungere nel 2018 all’album omonimo, a cui sono seguito il fiabesco “Primavera del Piccolo Popolo” nel 2020 e il pregevole “Sacred Woods” nel 2021. Nel suo background artistico, c’è una intensa formazione che lo ha condotto dagli studi di musica medioevale e barocca alla world music, a cui ha unito un rigoroso approfondimento delle tecniche esecutive per strumenti tradizionali come arpa celtica, nyckelharpa, esraj, hulusi, bouzouki, flauti, cornamuse e percussioni. Tutto questo si è tradotto in uno stile originale che lo vede muoversi con abilità attraverso latitudini e longitudini sonore differenti, incrociando la sua profonda conoscenza della world music con le passioni per la tradizione iniziatica ed esoterica e il mondo del fantasy. A due anni di distanza dal suo ultimo album lo ritroviamo con “Canti di Helughèa” in cui ha raccolto nove brani originali che rappresentano la colonna sonora del suo romanzo “Helughèa – Il Racconto di una Stella Foglia”, edito da Eterea Edizioni. Abbiamo intervistato Arthuan Rebis per farci raccontare questo nuovo progetto che incrocia narrativa fantasy e world music dando vita ad un viaggio unico nel quale immergersi e lasciarsi catturare.

"Canti di Helughèa", il tuo nuovo album nasce come colonna sonora del tuo romanzo fantasy “Helughèa. Il Racconto di una Stella Foglia”. Cosa ha ispirato questo progetto che si muove attraverso livelli espressivi differenti, la prosa, la musica e le immagini?
Il seme dell’opera è maturato fulmineamente; impiantato in un sogno in cui oltrepassavo la soglia tra il nostro mondo e un altro. Dall’altra parte la luce filtrava attraverso il Velo, e veniva raccolta da stelle che stelle non erano, in un cielo che cielo non era, per essere poi ridistribuita, più tenue, in ogni direzione, così da permettere un’anarchia di ombre che danzavano libere e imprevedibili. Stavo seguendo quello che da dietro sembrava mio nonno, in un sentiero avvolto da arbusti e rovi. Quando si è girato verso di me aveva un volto di fango, oro e foglie. Guardandolo negli occhi ho ricevuto come una trasmissione. Così mi sono svegliato e ho iniziato a scrivere in maniera automatica, per ore ed ore. Poi per mesi mi sono messo al servizio del libro, forgiando la forma più chiara che potessi concedere all’intricatissima storia. Ci sono diversi brani cantati dai personaggi, sono punti focali nella narrazione e permettono al lettore di entrare a fondo nel libro, interattivamente. Ma la musica è protagonista di un’ulteriore chiave: per entrare nel regno di Helu i visitatori devono produrre vibrazioni armoniose cariche di certe qualità, solo così la Custode della Soglia può aprire i sei portali permettendo l’accesso. 

Quali sono le sostanziali differenze tra questo album e i tuoi lavori precedenti?
Di solito scrivo dei concept album gravidi di riferimenti simbolici, mitologici, folklorici, spirituali, letterari. Quindi c’è sempre una dimensione metamusicale. In Helughèa è l’opposto: la musica è una dimensione metaletteraria contenuta nello scritto. L’ascoltatore incontra un suono complessivo molto etereo, con momenti particolarmente vivaci, epici e carichi di emozioni. L’arpa e il canto sono i capitani del viaggio. Attorno a questi c’è un amalgama di nyckelharpa, fiati, santur, cornamusa, esraj, percussioni, chitarre, soundscapes… Ho cercato di creare un Fantasy Folk che potesse evocare le atmosfere del romanzo, amplificarne l’emotività accompagnando i lettori nell’immersione. I brani sono in italiano, ad eccezione dell’ultimo, “Katahelu” (in lingua Heludin), e di due pezzi in inglese.

Come si è evoluta in questi anni la tua ricerca musicale?
Adesso cerco soprattutto di migliorarmi tecnicamente ed espressivamente. Mi concentro dunque sugli strumenti che suono dal vivo, ma anche sulla voce. Migliorare la tecnica è importante, specialmente quando si ha qualcosa da dire, perché un artista in fin dei conti fa solo ciò che riesce a fare. Certe idee sorgono da stati emotivi che vengono sublimati, o a volte temporaneamente sostituiti da utopie di galassie simboliche - muse di un daimon che fa da medium - per dirla socraticamente e fellinianamente. Credo che anche David Lynch sarebbe d’accordo: all’idea giusta manca una “i”, è una dea. A quel punto entra in campo il mestiere, ma si continua a cercare di regalare il diavolo all’anima, per sbiancarne le ali.

Come si è indirizzato il tuo lavoro in fase compositiva? Quali elementi musicali consentono l'integrazione con la narrazione?
Una volta terminate la stesura del romanzo mi sono dedicato alla composizione. I testi erano già presenti nelle bozze del libro, ed avevo già alcune idee musicali. Così mi sono chiuso in studio e in tre mesi ho elaborato le composizioni, le ho registrate, arrangiate, mixate, editate. Parallelamente ho completato le mie illustrazioni e, con la casa editrice (Eterea Edizioni), ci siamo occupati della revisione delle bozze, della copertina, dei paratesti… Ho lavorato spesso per dodici o quindici ore al giorno/notte, senza sosta, con totale dedizione. È stato un periodo molto intenso, di profondo isolamento, anticipato da un mio calo psicofisico. Il completamento di Helughèa ha dato un senso a quei giorni e mi ha ridato linfa vitale. Mi sono messo al servizio in maniera molto disciplinata. Sono molto certosino, autocritico e selettivo, soprattutto perché ho molto rispetto per ascoltatori e lettori. L’opera è uscita a metà maggio. Da allora l’abbiamo presentata al Salone del Libro di Torino, al Tolkien Studies Days di Sarzana, a Murabilia e Lucca Comics, al convegno Animali Fantastici a Genzano, a Mythoslogos, a Fahrenheit di Rai Radio 3, a Rai 4 (Wonderland, puntata che andrà presto in onda), alla Nave dei Folli di Contatto Radio, e in altre occasioni; ma la risposta inaspettata è arrivata dai concerti che non prevedevano alcuna conferenza ausiliare: sono bastate poche parole ed alcuni brani dal romanzo, e a fine live le copie del libro andavano a ruba, come accaduto alla rassegna Folk Est ad esempio.  Ho avuto un prezioso riscontro da molte persone, alcune hanno letto il libro più volte. Esistono già diverse illustrazioni da parte di alcune ispiratissime fans di Helughèa (in parte visibili nelle mie storie archiviate su Instagram).

Dal punto di vista musicale quali sono le influenze che caratterizzano il suono del disco?
Musiche antiche e moderne che presentano la qualità dell’incantesimo, che stimolano la fantasia, che è sempre una buona stella.  Apro una parentesi: a volte mi chiedono “Perché il Fantastico?” Perché nell’immaginazione creativa c’è una potenziale magia omeopatica, che invita a svelare la vera magia potentemente “bassa” che infesta l’esistenza: l’incantesimo che spinge la nostra mente ad aggrapparsi al modo in cui percepiamo ciò che chiamiamo “reale”. “La magia è con voi da quando siete nati. È l’attaccamento” diceva Lama Yeshe. Siamo perciò tutti allucinati e incatenati da quell’unico anello, ogni istante convinti che un tavolo sia intrinsecamente un tavolo, che un dolore o una colpa siano assolute e indipendenti. Allora forse è un buon esercizio giocare attivamente con la fantasia. In tal modo, a mio avviso, quando pensiamo di evadere sulle sue ali ci stiamo in realtà sollevando un poco da un’allucinazione terrena che incanta il vivere quotidiano, che ci chiude gli occhi, e ci toglie il vero respiro. Con il potere di una fervida fantasia la terra si rivela cielo e il cielo diventa una preziosa terra. Ho appena visto l’ultimo film di Miyazaki: “Il Ragazzo e l’Airone”, meraviglioso esempio di quanto appena descritto e di molto altro. Tornando alle influenze. Ci sono linguaggi di musiche che ho introiettato nel corso del tempo, come la medievale e la bretone, il prog in chiave folk, il folk pagano, certa wave eterica.  Il primo brano è in 7, e il pattern ritmico è chiaramente “frippiano” (King Crimson). Ci sono brani più vicini a musiche nordiche e tribali come “Katahelu”, con i suoi cori gutturali, che presenta un tempo in 9; oppure echi di Battiato e Camisasca (“Il Canto di Fogyal”). Troviamo poi momenti più celtici, come “Samonios”, ed altri più precisamente “stivelliani” come “Heluanan”. Sono tutte composizioni originali a parte “Carnac”, che è una mia rielaborazione nata da un brano di Myrdhin, e che quindi porta anche la sua firma.

Hai registrato il disco in gran parte in solitaria con l'eccezione dei contributi di Paul Roland, Nicola Caleo e Daniele Dubbini, suonando numerosi strumenti provenienti da tradizioni musicali differenti. Quali aspetti timbrici hai cercato di esaltare in ognuno?
Nicola Caleo, in arte Timer Shine, è un musicista che mi accompagna in quasi ogni album e in molti concerti. Al punto che Arthuan Rebis non è più solamente il mio nome d’arte da solista, ma è anche un Duo di cui egli fa parte. Suona con me anche negli In Vino Veritas. 
Daniele Dubbini è un polistrumentista con cui ho condiviso varie esperienze musicali, il suo strumento principale è il flauto indiano bansuri, ma nel brano “Una Scala per il Cielo” ha suonato la lama sonora, la quale, dialogando con il mio whistle, ha evocato il senso di ascesa verso piani superiori. Nel primo pezzo “A Song Beyond the Veil” l’amico Paul Roland interpreta uno dei tanti umani che hanno varcato la Soglia nel corso dei millenni. Il suo album “A Cabinet of Curiosities” mi accompagna senza stancarmi sin dall’adolescenza.

Come hai lavorato agli arrangiamenti dei brani?
Nelle stesure sono partito dall’arpa, dal canto, o da un ritmo particolare. Talvolta ci sono flussi di santur che colorano il suono come cascate in retroscena, riverberando gli arpeggi dell’arpa. Ai fiati e alla nyckelharpa ho affidato dosatissimi ruoli melodici e contrappuntistici, mentre delicatamente si affacciano qua e là paesaggi sonori evocativi, generati con dei sintetizzatori. Le percussioni mescolano tamburi a cornice, timpani, tablas e suoni di batteria.La fase più importante quando lavoro agli arrangiamenti riguarda la pulizia: togliere, cestinare, raggiungere l’essenziale. 

Tu nel disco impersoni la voce del protagonista del romanzo, Carlo Foglia. Quanto c'è di autobiografico in questo personaggio?
Qualcosa. Ma il punto è che l’intero romanzo è costellato dalla presenza dei miei antenati, dei loro nomi, dei nostri luoghi e di alcune loro vicende. Tutto è stato mescolato e rielaborato in un vasto crogiolo in cui l’inconscio si è espresso liberamente. E ci sono davvero tratti dei miei antenati, ma dietro queste figure si affacciano parti dell’anima (direbbe Hillman) condivisa, che si uniscono a ciò che trovano nella nostra memoria. Il Sogno poi fa ciò che vuole. Dunque, non mi identifico discriminatamente con Carlo Foglia, nel quale vedo semmai un mio antenato. In questo senso l’opera è vicina alla Metagenealogia psicomagica di Jodorowsky e a tante cose che l’hanno preceduta. Oggi si parla molto di Costellazioni Familiari, ma in certi riti di guarigione sciamanici, individuali o comunitari, da sempre gli antenati si mescolano con i simboli, con il linguaggio condiviso, ovvero quello del mito; e così tali antenati diventano personaggi potenziati: sono animati dai Simboli e mettono in scena una catarsi guaritrice. 
Questo processo riguardava in parte anche l’origine della Tragedia greca. In questo scenario il concetto di Antenati può essere gradualmente esteso a tutti coloro con cui abbiamo una relazione karmica in fermento; perché questa è ciò che fa la temporanea differenza, essendo stati tutti gli esseri nostre madri un tempo.
Le vicende di Helughèa trattano dunque di scioglimenti di nodi karmici che si presentano vita dopo vita, che intrecciano coscienze, e le spingono a fare un salto di ottava.
L’unico personaggio che assomiglia davvero a una persona che conosco è il Dottor Yon: mi sono ispirato a un amico, che è anche il mio medico omeopata, Claudio Colombo. Il sistema che ha elaborato si è manifestato nella geometria sacra presente nella mappa del Regno di Helu. Non è certo un caso.

Quali sono i brani a cui ti senti più legato?
“Il Canto di Fogyal” e “Katahelu”. La prima perché è un componimento chiave della vicenda, scritto dal sovrano degli Heludin. Parla di una malinconia antica, profonda e transdimensionale.
In “Katahelu” ho dato voce a un coro di personaggi che intonano dei versi apotropaici per dominare la paura in un momento epico della vicenda. È una scena molto emozionante, che si svolge negli abissi del Sottomondo, dove c’è una resa dei conti, tra guerra, paura, compassione e superamento delle visioni dualistiche.

Concludendo quali progetti hai in cantiere per il prossimo futuro?
È appena uscito (solo in digitale) un doppio singolo: “Engalos/Yule”. Prima di questo è stata pubblicata una collaborazione con Warg (il singolo “Runes in the Snow”).  Presto usciranno altri miei brani, poi finalmente “Canti di Helughèa” vedrà la luce anche in LP (Black Widow Records), e conterrà anche la bonus track “Engalos”. Con Paul Roland abbiamo terminato metà di un’opera gotica molto particolare. Inoltre, sto lavorando a nuove produzioni con In Vino Veritas.



Arthuan Rebis – Canti di Helughèa (Black Widow Records/Eterea Edizioni, 2023)
Pubblicato parallelamente al romanzo “Helughèa – Il racconto di una Stella Foglia”, uscito per i tipi di Eterea Edizioni, “Canti di Helughèa” è qualcosa di più di un semplice nuovo disco per Arthuan Rebis, ma piuttosto è il perfetto compendio al suo affascinante romanzo, una colonna sonora che avvolge l’intreccio narrativo, costituendone la perfetta ambientazione. Il racconto ruota intorno alle vicende del regno degli umani, Ghèa e quello degli Heludin, Helu, a cui per accedervi esistono sei vie, vigilate dagli Alberi della Soglia, Baudril e solo una creatura può portare qualcuno nell’altra dimensione e solo quando la musica arriva a toccare nel profondo. Le due dimensioni arrivano ad incrociarsi nel momento in cui la loro esistenza è a rischio. La Terra, infatti, si è ammalata mentre gli uomini combattono due Guerre Mondiali e nello stesso tempo gli Heludin sono alle prese con una crisi politica, ecologica e spirituale. Prende il via, così, il viaggio di Carlo Foglia, caduto accidentalmente nel Regno di Helu, e nel corso del quale arriva ad incontrare personaggi storici, ma soprattutto trova il suo grande amore e giunge alla sua trasmutazione alchemica. Quasi stesse compiendo un viaggio iniziatico, agli occhi del lettore si svela un messaggio di profonda spiritualità, un invito a riscoprire l’interiorità come forma di guarigione personale e momento cardine per ritrovare l’armonia con sé stessi e la natura. A scandire ogni fase del romanzo, sono le nove canzoni del disco che giocano un ruolo chiave nelle sue varie fasi ora evocando, ora profetizzando, ora ancora rimandando a dei simboli. Laddove Arthuan Rebis dà voce al protagonista Carlo Foglia, in altri casi; invece, sono i personaggi stessi a cantarli come nel caso di Paul Roland che interpreta invece uno dei tanti altri esseri umani che, oltrepassando uno dei sei Portali, sono entrati nel regno di Helu. 
Dividendosi tra canto, arpa celtica, nyckelharpa, flauti, santur, esraj, taburi a corncie, percussioni, cornamuse, chitarre acustiche ed elettriche, basso e synth, Arthuan Rebis ci conduce alla scoperta di una storia densa di fascino e profondamente toccante sotto il profilo del messaggio che ci consegna. Ad aprire il disco è la splendida “A Song beyond the Veil” un brano dal grande lirismo e dalla struttura che rimanda a certi episodi dei King Crimson e nel quale spicca l’intensa prova vocale di Paul Roland. Si prosegue con la malinconica “Il Canto di Fogyal”, brano centrale del disco che dà voce al sovrano degli Heludin e nella cui melodia si scorgono echi di Franco Battiato e Juri Camisasca. In sequenza ascoltiamo, la cantilenante “Lo Stagno della Soglia” che si evolve in una giga guidata dalla cornamusa e l’eterea “Una Scala per il Cielo” in cui spicca la lama sonora suonata da Daniele Dubbini, ma uno dei vertici del disco arriva con la poetica “Heluanan” in cui protagonista è l’arpa celtica nelle cui corde si intravede la lezione di Alan Stivell. La raffinata “Ritratto di Tindril” ci introduce alle atmosfere celtiche di “Samonios” con la batteria di Nicola Caleo, per giungere a “Carnac”, intrigante rielaborazione di “Gavrinis” di Myrdhin. Chiude il disco “Katahelu” un brano dalle atmosfere nordiche e tribali in cui Rebis dà voce ad un coro di personaggi che cantano versi apotropaici mentre negli abissi del Sottomondo va in scena un epica resa dei conti. Non resta, dunque, che immergersi nella lettura e nell’ascolto di questa splendida storia che non mancherà di toccare il cuore e l’anima. arthuanrebis.bandcamp.com/album/canti-di-helugh-a


Salvatore Esposito

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