Arthuan Rebis – Sacred Woods (Black Widow Records, 2021)

Alessandro Cucurnia, meglio noto come Arthuan Rebis, sfugge a qualsiasi etichetta artistica si tenti di applicargli e questo non solo per la varietà di strumenti (arpa celtica, nyckelharpa, esraj, chitarra classica, acustica e elettrica, irish whistles, bawu, gaita, tamburi a corncie, percussioni, sintetizzatori, sound bed, sequencers, basso) tra cui si destreggia con abilità ma anche per la capacità di muoversi attraverso latitudini e longitudini sonore differenti, incrociando le sue ricerche musicali con una profonda conoscenza della tradizione esoterica e sapienziale. Questo articolato immaginario artistico si percepisce ascoltando i dischi con la band medieval-folk In Vino Veritas, ma soprattutto immergendosi nelle misteriche fascinazioni di “The Magic Door” inciso con Giada Colagrande e Vincenzo Zitello e nella sognante atmosfera di “Primavera del Piccolo Popolo”, registrato lo scorso anno durante i giorni del lockdown. A distanza di poco più di un anno da quest’ultimo lo ritroviamo con “Sacred Woods”, concept album in cui ha raccolto nove brani, di cui otto originali e una rilettura che, nel loro insieme, compongono un racconto in musica in cui al centro vi è l’archetipo dell’albero sacro in cui si intrecciano antichi riti, miti e visioni numinose. Registrato tra La Loggia Studios e i Telenn Studios di Vincenzo Zitello, il disco vede Rebis affiancato da Nicola Caleo Timer Shine (bodhrán, sequencer, cimbali e percussioni) e Emanuele Ysmail Milletti (fretless bass) a cui si aggiungono gli ospiti Vincenzo Zitello (arpa bardica, fujara e santoor), Gabriele Gasparotti (synth), Glen Velez (bodhrán), Federico Sanesi (tablas) e le voci di Paolo Tofani Krsna Prema Das (voce narrante), Giada Colagrande e Mia Guldhammer. Se la struttura concettuale del disco rimanda al precedente, dal punto di vista prettamente musicale si coglie una più ampia estensione delle esplorazioni sonore di Rebis con il folk-rock di matrice celtica che si apre ad influenze molteplici dall’elettronica alla world music per toccare la musica contemporanea. Ad introdurci al disco è la voce narrante di Paolo Tofani che si staglia intensa e affabulativa in “Albero Sacro” il cui arrangiamento notturno è tutto giocato in crescendo sulle percussioni di Celao e l’elettronica in cui si inseriscono il synth di Gasparotti e la chitarra elettrica distorta di Rebis. Si prosegue con l’epico prog-rock di “Driade”, in cui viene evocato il Dio dei Boschi a cui si levano i canti da Est, e la suggestiva “Kernunnos” nella quale Rebis rimette in musica il tradizionale danese “Den bagvendte vise”, affidato alla voce di Mia Guldhammer ed impreziosito dall’intervento al santoor di Zitello che aggiunge un fascino orientale alla linea melodica. In “Runar” in cui sono incastonati i versi di “Hávamál” un testo anonimo del XIII Secolo, assistiamo ad un rituale sciamanico in cui, tra le percussioni, si leva il suono inconfondibile del fujara, suonato da Zitello. Se “Elbereth” ci riporta all’omonimo inno elfico della saga de “Il Signore degli Anelli” di J.R.R. Tolkien a cui dà voce Paolo Tofani, la successiva “Come Foglie Sospese” incrocia il folk-prog con la canzone d’autore regalandoci uno dei momenti più lirici del disco. La gustosa danza di matrice irish “Fairy Dance” ci schiude le porte al finale con la superba “Danzatrice del Cielo” in cui la brilla la voce di Giada Colagrande incorniciata dall’incanto acustico tra arpa e corde, e la rilettura di “Diana” di Colin Pearson che suggella un disco dalla grande potenza immaginifica che non mancherà di riservare sorprese all’ascoltatore. 


Salvatore Esposito  

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