Lino Cannavacciuolo – Formae (Autoprodotto, 2021)

25 luglio 2002. Penultima serata del glorioso e mai dimenticato Leuciana Festival che, per diversi anni si è tenuto nel bellissimo e suggestivo Real Sito di San Leucio a Caserta. Headliner della serata era Elvis Costello e i suoi Imposters che portavano sul palco “When I Was Cruel” allora appena arrivato nei negozi, mentre l’apertura era affidata a Lino Cannavacciuolo. In quella serata piena di sorprese, tra cui un inaspettato set acustico del cantautore inglese sotto la pioggia, fu proprio il violinista flegreo a stupire il pubblico, prima che un violento temporale si abbattesse sul cortile reale. Poco più di mezz’ora basto a schiudere le porte su un universo sonoro che allora era ancora tutto da scoprire, ancor più una rivelazione fu l’ascolto di “Segesta”, acquistato dopo il concerto. Allo stesso modo, lo sono stati anche i dischi successivi “Ca’ Na’” e “Pausilypon” in cui l’archetto fatato del violinista partenopeo ci ha condotto alla scoperta di 
intersezioni sonore sempre differenti, muovendosi tra musica classica e contemporanea, tradizione musicale napoletana e world music. Negli anni più recenti, Cannavacciuolo si è misurato brillantemente con la scrittura di colonne sonore per il cinema e la televisione e ci ha regalato due album “Insight” e “Lino Cannavacciuolo #6” in cui più intensa si è fatta la sperimentazione con l’elettronica. A distanza di un anno da quest’ultimo, inciso durante i giorni del lockdown, lo ritroviamo con “Formae”, album che lo vede ritrovare le radici barocche e classiche della tradizione musicale napoletana accompagnato da una insolita formazione cameristica, composta da Alessandro D'Alessandro (organetto), Damiano Davide (pianoforte) e Gabriella Grossi (sax). 
Abbiamo intervistato il violinista e compositore campano per ripercorrere con lui il percorso di ricerca musicale compiuto negli ultimi vent’anni e soffermarci sulla genesi di questo nuovo lavoro.
 
Dal superbo "Segesta" del 2002 ad oggi come si è evoluto il tuo percorso di ricerca musicale e compositivo?
Ho continuato a vivere la musica nello stesso modo. Con la curiosità di sempre e lo stesso interesse di conoscere, gradualmente, ho imboccato le mie strade.
 
Cosa è cambiato dal punto di vista tecnico nel tuo approccio al violino, tuo strumento di elezione?
In generale la tecnica non è mai stata per me una priorità, anzi… Io non ho mai veramente studiato questo strumento. L’ho sempre suonato. E nulla è cambiato in questo mio approccio.
 
Hai lavorato a diverse produzioni artistiche in questi anni, su tutte svetta certamente "Amargura" di Elena Ledda, con cui hai successivamente incrociato in varie occasioni il tuo percorso artistico. Ci puoi raccontare quell'esperienza?
Lavoravo con Peppe Barra quando ci esibimmo al Piccolo di Milano in occasione dell’omaggio a De Andrè e al suo disco “Canti Randagi”. Lì conobbi Elena e anche dopo, negli anni successivi, rimasi sempre molto colpito dalla sua voce, da come cantava. Così l’ho voluta ospite di “Segesta” e sono seguite altre importanti collaborazioni.
 
Negli ultimi anni hai dato alle stampe dischi di impostazione differente come "Insight" e "Cannavacciuolo #6" oltre a diverse colonne sonore. Come sei approdato a "Formae"?
Non faccio distinzioni tra i lavori e le ispirazioni. Sono dell’idea che capitino i momenti per le cose ed in quei momenti viene fuori quello che già si aveva dentro. Di sicuro non faccio qualcosa che non so o non sento ed è proprio questo che accomuna tutte le fasi della mia produzione. “Formae” è diverso da “Lino Cannavacciuolo #6”. 
Nasce dalla necessità personale di dare appunto una forma che fosse mia senza tradire gli originali. Ho frequentato il mondo colto, quello della tradizione e anche il resto. Non disdegno qualcosa e sentivo il bisogno di mettere insieme secondo il mio sguardo, per come lo vedo io oggi.
 
Sotto il profilo concettuale, "Formae" è un viaggio nelle radici della musica napoletana dal Cinquecento in poi, ma allo stesso tempo è anche uno sguardo retrospettivo sul tuo background musicale. Ci puoi raccontare la genesi e le ispirazioni di questo nuovo album?
L’esigenza era quella di completare un percorso e mi sono guardato indietro. Volevo reinterpretare la forma della nostra cultura con un organico più minimalista. Le radici le porti dentro e, dopo “#6” ho trovato divertente questo ritorno. Seguo molto il mio istinto, è lui ad ispirarmi.
 
Al tuo fianco c'è una insolita formazione da camera composta da Alessandro D'Alessandro all'organetto, Damiano Davide al pianoforte e Gabriella Grossi al sax. Quanto è stato determinante il loro contributo nella definizione del suono?
Moltissimo. Trovo particolarmente versatili gli strumenti a fiato perché possono sostituire molte cose e coprire più esigenze, in fondo ho iniziato con la banda. Non ho scelto i musicisti in base alla mia idea di opera ma mi sono fatto guidare dalle loro potenzialità che conosco molto bene. 
Ho sfruttato l’organico ed il resto è venuto da sé.
 
Dopo esserti misurato con l'elettronica nel disco precedente, con "Formae" sei tornato ai suoni acustici. Come hai lavorato agli arrangiamenti?
Con la naturalezza di sempre e senza avere un piano preciso predefinito.
 
Dal punto di vista compositivo quali sono le suggestioni e gli addentellati musicali vanno ricercati nella musica cinquecentesca e barocca. Come hai lavorato nel proiettarla verso il futuro?
Quando eseguo un pezzo barocco lo faccio, come sempre con tutto, rispettandolo, ma con la mia visione e tensione personale. Con il mio modo di essere. È una questione di identità!
 
Con quale criterio hai scelto i brani da rileggere/riscrivere ed in particolare faccio riferimento a “Gagliarda napoletana” di Antonio Valente, la “Tarantella di Masaniello” e la “Sinfonia dalla Partenope", ispirata a Leonardo Vinci?
Ho fatto chiaramente una ricerca e la scelta è caduta su brani che potessero avere una coerenza con il mio percorso. Quindi “La Tarantella” perché l’ho amata sin da ragazzino, “La Sinfonia della Partenope” mi ha colpito subito per il titolo oltre che per l’autore… Mi piaceva che si trattasse delle origini di questa terra,
di cose esistenti e straordinarie, riferite, però, in un modo diverso.
 
Con la lenta, e si spera progressiva, ripresa dei live. Come porterai in tour questo disco?
Torno il 18 settembre in quartetto con Gigi De Rienzo al basso elettronico, Piero De Asmundis alle tastiere e Vittorio Riva alla batteria a Villa Avellino, nella mia terra flegrea per la rassegna “Antichi Scenari”. È fondamentale riprendere con fame ed emozione.
 
Concludendo. Quali sono i tuoi progetti attualmente in cantiere??
Tra pochissimo ritorno in studio con un altro disco completamente differente, frutto di un lungo lavoro di anni, nulla di improvvisato. Lavori in corso. Mi sto organizzando…
 

Salvatore Esposito
Intervista raccolta da Gabriella Diliberto
 
Lino Cannavacciuolo – Formae (Autoprodotto, 2021)
Nell’articolato universo sonoro delle composizioni di Lino Cannavacciuolo la tradizione musicale napoletana, sia colta che popolare, ha giocato sempre un ruolo centrale, tanto nella sua essenza, quanto negli attraversamenti sonori con i suoni del Mediterraneo e della musica contemporanea. Una fonte inesauribile a cui si è costantemente abbeverato e alla quale è spesso ritornato per proseguire poi le sue esplorazioni sonore. Accade, così, che in un momento storico in cui sembra si sia smarrito il senso e la forma delle cose, il violinista flegreo ritorni alle radici della sua formazione classica, regalandoci “Formae”, pregevole album nel quale ha raccolto dieci brani, tra composizioni originali e riscritture di partiture classiche, che compongono le tappe di un itinerario sonoro spazio/tempo, attraverso i suoni di Partenope, che dal passato ci conduce al presente per proiettarci al futuro. Significativa in questo senso è la scelta della copertina in cui spicca la suggestiva scultura “Sirena - 2021” di Lello Esposito e che raffigura la sirena Partenope, simbolo archetipale di quella sapienza antica racchiusa nel Ventre di Napoli, a Piazzetta Nilo dove approdarono gli Alessandrini provenendo dall’Egitto. È proprio da quel tempo che non ha mai smarrito le sue forme che Lino Cannavacciuolo ci invita a seguirlo. Ad affiancarlo in questa nuova avventura sonora è una formazione insolita e nel contempo brillantissima composta da Alessandro D'Alessandro all'organetto, Damiano Davide al pianoforte e Gabriella Grossi al sax baritono. Ascoltando i brani in successione, senza soluzione di continuità, si vive una vera e propria esperienza immersiva che esalta la potenza immaginifica della scrittura del violinista flegreo. Tutto ciò è frutto di un intenso lavoro in fase compositiva e di arrangiamento da cui hanno preso vita architetture sonore, ora affascinanti ora ardite, in cui le corde del violino si intrecciano con quelle del mandoloncello e si intersecano con organetto, pianoforte e sax, dando vita a quadri sonori di grande potenza evocativa. Come nella migliore tradizione classica, ad aprire il disco è l’”Ouverture” che anticipa e sintetizza i temi del disco in una progressione armonica in crescendo guidata dal violino di Cannavacciuolo nelle cui trame sonore si inseriscono i mantici di Alessandro D’Alessandro. La trascinante e sinuosa “Danza” in cui è il pianoforte a sostenere la melodia intessuta dal violino, ci accompagna all’elegante struttura di matrice classica di “Notturno” nel quale l’archetto di Cannavacciuolo regala uno dei vertici lirici di tutto il disco. Maestosa è poi “Partenope Sinfonia” in cui il violinista riscrive e declina al futuro “Sinfonia dalla Partenope” di Leonardo Vinci (1452-1519), a cui segue l’avvolgente invito al ballo di “Tammurriata Mediterranea” la cui melodia dagli echi arabo andalusi è guidata dagli archi ed arricchita dagli interventi di sax della Grossi. Se “Moto perpetuo” spicca per la struttura concentrica della linea melodica nella quale archi e corde dialogano il sax, “Serenata”, primo singolo estratto dal disco, è uno dei vertici compositivi del disco con il susseguirsi continuo dei temi e delle variazioni melodiche. La “Tarantella Seicentesca”, introdotta dal pianoforte, ci conduce nella Napoli barocca del Seicento con violino, sax e organetto che si inseriscono in successione componendo un climax travolgente che sfocia nella personale e raffinatissima versione di “Aria Amorosa” di Nicola Matteis (1650-1713) con il perfetto interplay tra le due voci strumentali. La chiusura del disco è affidata alla composizione cinquecentesca “Gagliarda Napoletana” di Antonio Valente (1520-1601) che Lino Cannavacciulo rilegge attraverso la sua originale cifra stilistica con l’organetto ad aprire le danze e violino ed archi a giganteggiare fino al finale. “Formae” è, dunque, non solo l’ennesimo pregevole capitolo della corposa discografia del virtuoso violinista flegreo, ma è soprattutto un appassionato atto d’amore verso la tradizione musicale partenopea. www.linocannavacciuolo.it


Salvatore Esposito

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