Dagli esordi con Piccola Orchestra La Viola alla fortunata esperienza con Orchestra Bottoni di cui è direttore artistico per giungere alla Targa Tenco vinta con “Canti, Ballate e Ipocondrie d’Ammore” in duo con Canio Loguercio, il percorso artistico di Alessandro D’Alessandro è stato un crescendo continuo, costellato da collaborazioni prestigiose e tanti concerti, ma soprattutto scandito da una personale ricerca sonora e timbrica sull’organetto, alla ricerca di nuove capacità espressive nel dialogo con altri ritmi ed armonie dal blues al jazz, fino a toccare la forma canzone. Mancava ancora un disco come solista e a colmare questo vuoto è “Canzoni”, personale viaggio attraverso la canzone d’autore, declinata attraverso i mantici e i bottoni del suo Castagnari “preparato” e gli incontri con compagni di strada, amici e artisti con cui ha condiviso studi di registrazione e palco. Abbiamo intervistato l’organettista di Coreno Ausionio per farci raccontare dalla sua viva voce questa sua opera prima.
Hai mosso i tuoi primi passi all'interno di Piccola Orchestra La Viola, esperienza che si è evoluta in OrchestraBottoni alla cui guida hai raccolto grande successo. Ci puoi raccontare il percorso che ti ha condotto pian piano alla tua attività come solista?
L’Orchestra è stata fondamentale nella mia crescita artistica ma anche umana. Da molti anni ne sono anche coordinatore e cerco sempre, nonostante il periodo difficile per i gruppi numerosi, di portare avanti il progetto Orchestra Bottoni. Negli anni ci siamo presi tantissime soddisfazioni con l’orchestra. Il nostro disco live uscito nel 2014 è stato accolto con grande entusiasmo, ed ora portiamo avanti nuovi progetti, alcuni insieme ad ospiti importanti come Neri Marcorè e Flaco Biondini.
Abbiamo già in cantiere un secondo disco come Orchestra Bottoni, i pezzi ci sono, toccherà lavorarci… piano piano. Ho voluto aggiungere nel disco come bonus track la nostra versione live di “Campagna” di Napoli Centrale, brano con cui apriamo tutti i nostri concerti, sia per sancire lo stretto legame che ho con l’orchestra, sia per affermare una mia collocazione geografica, visto che è l’unico cantato in dialetto da Antonella Costanzo (napoletano in questo caso). Sia io che i musicisti dell’ensemble proveniamo dal Basso Lazio. Negli anni ho sentito il bisogno di ‘uscire’ come solista, costruendo progetti attorno a me, per dare spazio al mio suono e alla mia idea di musica. Ho sempre pensato che il mio lavoro consistesse nel progettare in maniera del tutto artigianale un percorso ed una crescita. Così, ho fatto in questi anni, aprendomi a nuovi spazi e nuovi linguaggi. Ovviamente il progetto “in solo” nasce anche da un bisogno estremamente pratico oltre che artistico, dovuto alla facilità che un musicista solista ha di proporsi e lavorare.
In questi anni non sei mai stato fermo, ma anzi hai messo in fila numerose collaborazioni tra cui quelle più recenti con Sergio Cammariere e Lino Cannavacciuolo. Quanto ti hanno arricchito?
Moltissimo. Le collaborazioni mi ha arricchito moltissimo, per lo più in bene. Soprattutto sono parte dello stimolo che è sempre stato al centro del mio lavoro, ovvero pensare l’organetto, il mio suono, le mie competenze come musicista a servizio della musica in generale, senza steccati ne preconcetti sui vai generi. Ho collaborato con tanti artisti, in molti ambiti artistici e musicali, e ognuno ha forgiato e stimolato il mio spirito di adattamento ai vari ruoli. Ho suonato classica, contemporanea, musica da film, teatro e tanto altro… Lino Cannavacciuolo è stato un incontro che è avvenuto parecchi anni fa con l’orchestra. Mi ha chiamato in autunno dicendomi che aveva bisogno di me e del mio organetto all’interno di questo suo ultimo stimolante lavoro legato alle forme della musica tradizionale, classica e contemporanea. Con Sergio Cammariere, invece, ci siamo conosciuti nel 2017, durante una jam session al dopoTenco. Suonavamo un blues con il mitico Jimmy Villotti, con Bobo Rondelli e altri… Il giorno dopo sull’aereo per Roma mi disse che era rimasto colpito dal suono e delle possibilità che aveva avvertito dall’organetto utilizzato così.
E da allora mi ha coinvolto in molti dischi e live… e lui ovviamente non poteva che essere ospite del mio album.
Veniamo alla peculiarità del tuo approccio all'organetto. “Organetto preparato ed elettronica” significa un upgrade dello strumento?
Negli anni ho costruito questo sistema. L’idea di rendere il mio strumento il più duttile possibile mi ha spinto circa quindici anni fa ad acquistare una loop station. È rimasta chiusa in cantina per un paio di anni. Poi ho iniziato a smanettare con lei e altri pedali, come effetti o cose del genere. Mi sono reso conto che aggiungere ad esempio un wah wah all’organetto mi permetteva di stare più a mio agio in molte situazioni. Uno dei primi a dirmi che dovevo proseguire su questa strada fu Daniele Sepe. Mi disse: “così puoi suonare anche in un gruppo rock progressive perché il tuo suono si allarga e sei contestualizzabile più facilmente”. In realtà mi disse “addà mettere ‘e pedal all’organett”!!! Ho iniziato ad immaginare uno strumento che fosse anche più ‘orchestrale’ possibile, senza dover per forza ricorrere ad altri strumenti accompagnatori come chitarre o percussioni. E quindi, sfruttando anche la mia forte attrazione verso la ritmica – ho sempre pensato che sarei diventato un percussionista nella vita – ho iniziato a percuotere l’organetto, anche applicandoci sopra oggetti di varia natura (buste della spesa, campanelli, chiavi, etc.). Ad esempio, ho chiesto ai maestri Castagnari che mi costruissero una tavoletta di compensato con magneti che applicata sull’organetto, attraverso un sistema di microfonaggio, è diventata una delle mie percussioni più caratterizzanti. Insomma, nel tempo non sapevo come chiamare questo sistema. “Live electronics” significa altro, “loops & efx” mi sembrava troppo banale e quasi inutile da scrivere, allora, pensando al piano o alla chitarra preparata (la chitarra sarda preparata di Paolo Angeli è un grande esempio) ho pensato di ribattezzare il mio organetto in “organetto preparato” ovviamente applicato all’elettronica (efx & loops).
Come si traduce questa operazione sul piano musicale?
Si è tradotta negli anni in sviluppare progetti sulla base di questo insieme di sonorità. Oltre al mio progetto solista, alcuni progetti artistici come il fortunato “Canti, ballate ed ipocondrie d’ammore” o “Oud.Org” sono nati anche dalla mia esigenza di applicare questo “sistema” su un piano artistico. In soldoni da solo riesco ad essere una piccola orchestra viaggiante, e in tempi di restrizioni è una grande fortuna per me e per chi lavora con me.
Nei contesti teatrali-letterari, ambito in cui ho sempre lavorato moltissimo, l’organetto preparato è diventato una grande possibilità per sonorizzare o commentare in totale solitudine un reading o immagini.
Come nasce il tuo album di debutto come solista? Un organettista che suona "Canzoni"… perché?
Mi ripeto. Nasce innanzitutto dalla voglia di far conoscere un suono e le esperienze che mi hanno accompagnato in tanti anni di lavoro. Nasce dalla voglia di comunicare sempre più la ‘flessibilità’ dell’organetto. Nasce dalla voglia di arrivare ad un pubblico più ampio possibile. Ecco perché un album tematico sulle “Canzoni”. Chiaramente ho sofferto un po' nel decidere di realizzare il mio primo album da solista senza le mie composizioni, ma credo che questo percorso all’inverso sia funzionale a ciò che verrà dopo. Non volevo farlo essere un album di settore o totalmente riservato ad alcuni ristretti ambiti. In più negli anni mi ero confrontato con la Canzone, come musicista - penso alle mie partecipazioni ai Tenco degli ultimi anni e agli incontri artistici che ne sono derivati -, ma anche come solista nel riprendere e riscrivere temi di canzoni note e meno note. E’ il caso di “Azzurro”. Realizzato per “Vent’anni di ‘68” (Squilibri), il quale ha avuto una notevole risposta sia dagli autori (Sacchi, Staino, Forti) sia dalla critica e del pubblico. Questo pezzo ha acceso la miccia e da li ho pensato di realizzare questo album. La Canzone poi credo che sia in musica l’elemento con più livelli di lettura, e questo ne facilita la fruizione.
Al di là della scelta emotiva o personale, ci sono aspetti musicali che ti hanno spinto a scegliere alcune canzoni piuttosto che altre?
In molti casi la scelta è caduta volutamente su temi molti conosciuti, quasi scontati. Volevo creare un corto circuito e volevo farlo ricercando all’interno di canzoni molto note. L’evoluzione armonica del pezzo, la ritmica, soprattutto nei brani nei quali uso molte sovrapposizioni, mi hanno aiutato nella scelta. Volevo che questo repertorio fosse tutto risuonabile dal vivo, e quindi alcune canzoni si prestavano di più di altre all’utilizzo dei loops.
Alcune sono venute per richieste ben precise da committenti vari. Altri invece erano già nel mio repertorio. Altre le ho pensate e scelte ad hoc. Quelle cantate invece sono state scelte anche rispetto agli ospiti che le avrebbero interpretate. Penso a “Il manichino”, brano di Serrat, tradotto da Paoli, e cantato da Cammariere nel disco, il quale mi ha suggerito lui stesso di inserire questo brano. Ricordo che in uno dei nostri primi incontri nella sua casa-studio ascoltammo tra gli altri “Mediterraneo” (scritta da Serrat)… una pietra miliare!!! E avere il grande cantautore spagnolo nella canzone per un piccolo ma importantissimo cameo è stato per me un grande onore… Ma penso anche a “Quello che non voglio” del compianto Fausto Mesolella; volevo inserire una sua canzone, ed ho pensato che suonarla con Musica Nuda, suoi storici collaboratori, fosse il modo migliore per rimanere più vicino a lui. E poi ancora “Ritals” di Gianmaria Testa, recitato da Neri Marcorè e Sonia Bergamasco, o “Mario” cantata da Peppe Voltarelli (abbiamo aperto con questa versione la serata omaggio a Pino Donaggio al Tenco2019). In realtà avrei potuto realizzare un album doppio. Avevo pensato di suddividere le canzoni italiane in un disco, quelle straniere in un altro. Ma poi, anche sotto saggia spinta dell’editore, ho tagliato. Sono rimasti fuori brani di Frank Zappa, James Taylor, Claudio Monteverdi, The Beatles, Milton, Domenico Modugno, e molti altri ancora. Sono li. Potrei pensare tra qualche anno ad un “Volume 2”. Stavolta lavorando su brani più sconosciuti…chissà vedremo.
Hai favorito la riconoscibilità dei motivi originali o hai operato trasfigurazioni?
Ho cercato innanzitutto di preservarne la riconoscibilità melodica.
Anche laddove ho operato trasformazioni più nette come variazioni del tempo o della struttura o dell’armonia, ho cercato sempre di far “cantare” il tema per quello che era. Mi è piaciuto scrivere la mia ricerca musicale “dentro la canzone” e non “sulla canzone”. Troppo spesso ascoltando altri progetti di operazioni simili alla mia, mi perdevo, fino quasi a non riconoscere più il brano originale. Ovviamente poi ho destrutturato senza nessun tipo di remora o timore. Senza pensare alla natura del brano o al contesto per il quale è stato scritto. Diciamo che i temi sono stati un pretesto per tirare fuori i vari suoni che volevo far ascoltare.
Come sono nate le collaborazioni con gli artisti che partecipano?
Quasi tutte le collaborazioni sono nate da relazioni precedenti al disco. Ho voluto riunire una parte degli incontri degli ultimi anni in questo lavoro, ma cercando di prendere da diverse aree artistiche. C’è la musica world, il teatro, la canzone d’autore, la musica leggera… La collaborazione che è nata per questo disco è quella con Elio. Sono felicissimo che abbia accettato di cantare insieme a David Riondino, “Tiritera delle Canzoni che volano”, l’unico pezzo originale del disco, la canzone prologo scritta da me (musica) e dallo stesso Riondino (testo). E’ una canzone ironica, giocosa, quasi demenziale, in cui le canzoni sembrano prendere vita e cantare dei propri personaggi e delle proprie storie. Una vera e propria Tiritera, ossessiva e ripetitiva e con una tema quasi mononota. Elio e David fanno il resto con la loro verve e le loro dissacranti e creative interpretazioni. Sono davvero felice ed onorato di avere nel disco artisti di assoluta fama e talento. Ci tengo ovviamente a dire, che nonostante la nutrita presenza di ospiti, il disco per l’ottanta per cento è suonato solo con organetto preparato ed elettronica. Nella maggior parte dei casi le voci e gli eccellenti strumentisti ospiti (Daniele Sepe, Roberto Angelini, Arnaldo Vacca e Daniele Di Bonaventura) si sommano alle mie moltiplicazioni sonore.
Porterai in tour il disco da one-man-band? Che tipo di spettacolo ci aspetta?
Si. Il periodo è duro ma ho sempre avuto una buona relazione con i live e già da questa estate ‘concerterò’ in molti festival in giro per la penisola. Mi piacerebbe portarlo all’estero.
E’ un progetto in solo, che può essere essenziale, ma anche molto ritmico e corposo grazie ai loops e l’elettronica, quindi si presta a molti spazi e situazioni. Lo porterò in giro con la partecipazione di alcuni ospiti. Questa estate in un paio di tappe ci saranno con me David Riondino (voce recitante) e Antonella Costanzo (voce). Con loro cercherò di rendere più multimediale il concerto, cercando di farlo essere più spettacolo. D’altronde come nello stile Squilibri anche il cd non è un semplice disco ma una piccola opera multimediale; ci sono le illustrazioni del Maestro Staino e alcuni scritti (Maurizio Agamennone, Geoff Westley, Riondino) e mi piacerebbe rendere più aperto possibile alle varie forme artistiche anche il live. Il tema ‘Canzoni’ si sposa benissimo con molti mondi e quindi l’idea è rendere il concerto anche visual e multidisciplinare. Non resta che chiamarmi a suonare!!!
Ciro De Rosa e Salvatore Esposito
Alessandro D’Alessandro – Canzoni (SquiLibri, 2021)
L’interesse di Alessandro D’Alessandro verso la canzone d’autore ha radici profonde nel tempo e, si è via via alimentato attraverso gli incontri e le collaborazioni messe in fila negli anni per trovare il suo apice in “Canti, Ballate e Ipocondrie d’Ammore” in cui il suo organetto incontrava il songwriting di Canio Loguercio. Non ci ha sorpreso, dunque, la scelta di dedicare alla forma canzone la sua opera prima che rappresenta, in un certo senso, la prosecuzione del cammino tracciato, ma che si sostanzia in un vero e proprio cambio di prospettiva con il suo Castagnari “preparato” che ora acquista il centro della scena come voce melodica principale. Inciso in larga parte presso i Chora Studi Musicali di Valerio Daniele a Lecce, “Canzoni” mette in fila quindici brani più una gustosa bonus track che mettono in luce non solo il talento del musicista laziale, ma anche la capacità di esaltare le potenzialità espressive dell’organetto in territori diversi da quelli della world o della trad music. In questo senso, un importante valore aggiunto è dato dall’illuminato utilizzo di loops, effetti ed elettronica che, in uno con la personale tecnica esecutiva, consente ad Alessandro D’Alessandro di avere tra le mani una piccola orchestra in grado di attraversare mondi ed atmosfere sonore differenti. Allo stesso modo, dal punto di vista prettamente compositivo si coglie la capacità di evocare i versi originari delle canzoni attraverso un’opera di riscrittura volta ad esaltare la cantabilità delle melodie. Accolti dalla bella copertina disegnata da Sergio Staino e dagli scritti introduttivi di Maurizio Agamennone, del produttore Goeff Westley e di David Riondino, il disco si apre con il divertente inedito “Tiritera delle canzoni che volano”, primo singolo estratto, in cui spicca la partecipazione di Elio, oltre a quella di Riondino nelle vesti di autore e alla voce. Se dal songbook di Fabrizio De André arriva la bella versione strumentale di “Jamin-a” in cui l’organetto di D’Alessandro incontra le percussioni di Arnaldo Vacca, da quello di Paolo Conte è tratta “Azzurro” riletta per organetto solo e loops e già ascoltata nel disco allegato al libro “Vent’anni di Sessantotto”. Le voci di Sergio Cammariere e Joan Manuel Serrat impreziosiscono la superba prosegue con la sequenza in cui ascoltiamo le versioni strumentali dello standard “Can’t help falling in love” con la complicità di Roberto Angelini alla slide, “Il mare” di Pino Daniele con le percussioni di Raffele Di Fenza e la brillante resa in solo de “I Giardini di Marzo” di Lucio Battisti. Non mancano un accorato omaggio a Fausto Mesolella con quel gioiello che è “Quello che non voglio” incisa con Musica Nuda ovvero Petra Magoni alla voce e Ferruccio Spinetti al contrabbasso, e uno sguardo verso i suoni world con i tradizionali “Bingeol” dall’Armenia e “Hu hoppar haren kroka” dalla Svezia, quest’ultima in una magnifica versione in duo con Daniele Sepe al sax tenore. Si torna alla canzone d’autore con “Mario” in cui alla voce è protagonista Peppe Voltarelli e l’intensa versione strumentale di “Sul porto di Livorno” di Piero Ciampi. Ritroviamo Alessandro ancora in solo con “I shot the sheriff” di Bob Marley, a cui segue “Ritals” di Gianmaria Tesa con le voci recitanti di Sonia Bergamasco e Neri Marcoré. Il disco si chiude toccando il suo vertice con l’elegante versione di “Un vestito y un amor” di Fito Paez in cui l’organetto di Alessandro D’Alessando incontra il bandoneon di Daniele Bonaventura. C’è ancora tempo, però, per la bonus track , questa volta in compagnia di Orchestra Bottoni con cui ci regala una versione live di “Campagna” di Napoli Centrale. Opera prima di grande spessore “Canzoni” è un album di un artista maturo che nel prossimo futuro continuerà a stupirci. Ne siamo certi.
Salvatore Esposito
Foto di Paolo Sorani (1), Daniele Mitilli (2), Mauro Vigorosi (3), Elisabetta Malantrucco (4), Cristina Canali (5), Cristina Piraino (6), Carlo Dal Fabbro (7)