“Insight”, lo sguardo interiore di Lino Cannavacciuolo
Il violinista puteolano ritorna con un disco tra classicismo e inflessioni minimaliste.
Violinista e compositore, Lino Cannavacciuolo vive a Pozzuoli, a metà strada tra il mare e la parte antica della città flegrea; strumenti ad arco e computer nella sua stanza di artista abile nel combinare estrazione classica e ricerca di suoni, presenza scenica e visionarietà. Alle spalle c’è la storia di un violinista di Conservatorio cui l’accademia andava stretta, ci sono gli incontri con i grandi napoletani del teatro, quelli con Antonio Sinagra e Roberto De Simone, il fertile sodalizio con Peppe Barra, le numerose collaborazioni a tutto campo (ricordiamo tra le tante quelle con Pino Daniele, Edoardo Bennato, Enzo Avitabile ed Elena Ledda), l’ingresso nel mondo sonoro del Buddha Bar. Nella sua traccia compositiva si fondono suoni world d’impronta mediterranea e mediorientale, classicismo e inflessioni minimaliste.
Musica di confine che, salutarmente, sfugge alle definizioni. “Aquadia”, “Segesta”, Ca’ Na’”, “Pausilypon” sono i suoi lavori passati, dischi che nella loro diversità sonora hanno lasciato il segno. L’archetto fatato di Cannavacciuolo non rinuncia alla centralità della melodia assecondando la fruibilità da parte dell’ascoltatore. Nell’ultimo decennio, poi, il suo lavoro si è concentrato sulle colonne sonore cinematografiche e televisive (fra tutte la serie TV “La Squadra”). Da qualche mese è uscito “Insight”, disco pubblicato in totale indipendenza, sperimentando il crowdfunding e realizzato con un’estetica internazionale, fin dalle note e dai credits in inglese. I titoli del disco rinviano a differenti stati d’animo: un viaggio interiore intrapreso da Lino, che produce un album avvolgente e intimista, dove prendono forma trame sonore, intagliate dall’incontro tra archi e pianoforte con misurati innesti di elettronica. Abbiamo raggiunto il violinista puteolano, che ci presenta i motivi del suo nuovo disco.
Sono trascorsi sette anni tra la pubblicazione di “Pausilypon” e “Insight”, in cui ti proietti in un viaggio interiore più che geografico. Come nascono le partiture del tuo nuovo lavoro?
L’idea è concentrata sul suono che volevo in questo progetto, specificamente basato sull’organico. L’esigenza era di sentire un quartetto d’archi, pianoforte e violino. Quindi ho scritto partiture per questa tipologia di suono. Ovviamente mi è piaciuto dare degli umori a quelle sonorità del disco, dove ho immaginato ogni umore che uno possa avere dentro, ma senza fare troppi ragionamenti, mettendoci tutto quello che mi passa per la mente. Dentro ci sono tutte le mie esperienze: dall’accademia alla world music, dal progressive all’elettronica. Non mi piace trovare troppe parole per identificare un progetto. La mia musica nasce dalla curiosità.
C’è un uso dell’elettronica misurato con la presenza dell’ottimo Salvio Vassallo.
L’elettronica è l’elemento della sperimentazione: più semplicemente detto della contaminazione, che è un elemento che mi incuriosisce, mi appartiene. In questo caso ha un ruolo molto leggero, non invasivo. Non mi definisco un musicista classico, anche se il mio percorso musicale nasce dal mondo accademico. Il mio bagaglio classico ha formato un mio modo di vedere certe cose. In questo caso ho avuto voglia di esternarlo in questa forma, in questo tipo di suono che è uscito: un disco che manifesta consapevolezza, in cui volevo esprimere umore o pensare ad altri elementi come il virtuosismo o altro ancora. Mi sono concentrato sull’essenziale, senza dover necessariamente stupire l’ascoltatore.
Mantieni, va detto, una fruibilità nell’ascolto, una cantabilità dei brani.
La musica difficile non la so fare (sorride, ndr). Sono un musicista che vive di semplicità anche nella musica; sono un compositore non intellettuale ma più rock, più semplice.
Il lavoro sulle colonne sonore ti ha portato nell’elaborazione del tuo suono?
Sono più di dieci anni che sto vivendo questo tipo di lavoro. Fare musica per immagini, ti apre tutto un mondo, ti apre a cose che prima non conoscevi. In “Insight” questa esperienza c’è, e si sente. Credo che “Insight” sia un disco evocativo, molto immaginario, “condizionato” da una buona parte di questo mio percorso nella produzione di musica per immagini.
“Pausilypon” era dedicato a Rachel Corrie, la pacifista americana uccisa a Gaza, mentre tentava di impedire all'esercito israeliano di distruggere alcune case palestinesi, “Insight” porta la dedica ad un’altra donna, Carla Ilenia Caiazzo, vittima di violenza da parte di un uomo.
Carla Ilenia Caiazzo è una donna di Pozzuoli come me, che è stata bruciata dall'ex compagno. Dopo aver subito tante operazioni chirurgiche, ora è impegnata con l'associazione "Io rido ancora" ad aiutare tutte le donne vittime di violenza.
“Insight” è un progetto che sarà portato dal vivo?
Sto pensando di fare dei concerti; non credo che ne farò tanti, ma sicuramente farò dei concerti significativi.
Lino Cannavacciuolo – Insight (Lucky Planets, 2016)
#CONSIGLIATOBLOGFOOLK
Ha portamento elegante “Insight”, Lino Cannavacciuolo lavora su un impianto dove prevale il melodismo, creando nove composizioni cinematiche dalla vena minimal e dal tratto elegiaco, un palinsesto che riassume il reticolo di linguaggi sonori padroneggiati dal compositore. Il violinista puteolano non si crogiola in effetti virtuosistici, piuttosto propende per la comunicazione con i suoi collaboratori, dal dialogo contrappuntistico con la pianista Gilda Buttà alle interazioni con l’impeccabile quartetto d’archi: Federica Vignoni (violino I), Massimiliano Canneto (violino II), Riccardo Savinelli (viola) e Giuseppe Scaglione (violoncello), fino alle misurate, mai pervasive, manipolazioni elettroniche di Salvio Vassallo. Il crescendo di “Beat” emoziona subito, così come l’intesa appassionata di tasti e archetto in “Vision” e le dinamiche di “Regrets”, mentre le note di “Light” – il primo singolo e video dell’album – sono dedicate all’amico Gino Evangelista, maestro dei cordofoni anch’egli flegreo, scomparso poco più di un anno fa. Si prosegue alla grande: ascoltate i passaggi ritmi di “My Storm”, brano svettante che ci trasporta verso l’Est Europeo e oltre, riportando al centro il coté world del musicista. La title-track ha tenui colori pastello, mentre l’altro tema superlativo del disco “Deep Blue Sea” si snoda tra dolcezza e impeto degli archi. Altrettanto incisivo è il potere visionario di “The Search”. Infine, l’avvolgente “Relationships” chiude questo felice ritorno del funambolico maestro flegreo dell’archetto, che merita attenzione.
Ciro De Rosa
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