Arthuan Rebis – Primavera del Piccolo Popolo (Autoprodotto, 2020)/In Vino Veritas – Grimorium Magi (Black Widow Records, 2019)

Eclettico polistrumentista e compositore, Arthuan Rebis al secolo Alessandro Arturo Cucurnia vanta un personale percorso formativo speso tra gli studi di filosofia in ambito accademico con quelli sulla tradizione musicale ed iniziatica dell’Oriente e dell’Occidente, intrapresi sin da giovanissimo e culminati nel 2013 con la pubblicazione del libro “Musica e Sapienza”. In parallelo, ha approfondito la pratica di numerosi strumenti della tradizione come arpa celtica, nyckelharpa, esraj, hulusi, bouzouki, flauti, cornamuse e percussioni, in uno con gli stilemi della musica medioevale e barocca per giungere alle sperimentazioni della musica contemporanea. Nel corso degli anni, il musicista toscano è stato protagonista di numerose produzioni discografiche come autore e compositore ed, in particolare, dal 2011 ha incrociato il proprio cammino con la band In Vino Veritas, segnalatasi tra le più interessanti realtà europee nell’ambito del medieval-folk. Più recente è il progetto The Magic Door, nato dalla collaborazione con la regista e cantautrice Giada Colagrande con cui ha dato alle stampe nel 2018 l’album omonimo realizzato con la partecipazione di Vincenzo Zitello all’arpa e Glen Velez alle percussioni. Abbiamo intervistato Arthuan Rebis per farci raccontare dalla sua viva voce la sua esperienza con In Vino Veritas con cui ha pubblicato nel 2019 il disco “Grimorium Magi” e soffermarci sul suo recente lavoro come solista “La Primavera del Piccolo Popolo”, fiaba sonora composta e registrata durante il lockdown nel quale spicca la partecipazione di Paolo Tofani nelle vesti di narratore. 

Partiamo da lontano. Ci puoi raccontare il tuo percorso formativo? Come ti sei avvicinato alla musica?
I miei genitori avevano una radio, la passione è quindi congenita. Il mio primo approccio da strumentista è stato con il mandolino del mio bisnonno Arturo. Successivamente ho iniziato a dilettarmi con un piano elettrico. Da adolescente ho studiato chitarra classica, ma ascoltavo i Dead Can Dance o i Bad Seeds. Crescendo ho iniziato a dedicarmi progressivamente a musiche folk e strumenti quali bouzouki, esraj, nyckelharpa, cornamuse, flauti, arpa celtica; studiando e praticando tutto il giorno per anni, e rielaborando diversi stili, lontani nello spazio e nel tempo. Tali ricerche mi hanno portato a pubblicare nel 2013 il libro “Musica e Sapienza, antiche tradizioni musicali e spiritualità”, edito da Agorà&co. Di solito non lo dico, ma mi sono laureato in Musica presso Lettere e Filosofia a Pisa. Non intendo certo sminuire gli studi accademici, credo che costituiscano un’importante formazione di sostegno, ma la ricerca è per sua stessa natura uno spingersi oltre.

Nel tuo cammino artistico l'arpa è uno dei tuoi strumenti di elezione. In questo senso ha avuto grande importanza anche la figura di Vincenzo Zitello?
L’arpa celtica è lo strumento che prediligo quando faccio concerti da solo, quello che mi ha permesso di raccogliere e incanalare certe energie. Vincenzo ha avuto un ruolo essenziale in questo riconoscimento. Vidi per la prima volta un suo concerto nel 2008, fui incantato dal suo suono e dal suo stile, così diversi da quelli degli altri arpisti; mi accorsi che certi elementi risuonavano in me come una lingua familiare. Negli anni siamo divenuti molto amici, suoniamo insieme e collaboriamo nei dischi. In certe vocazioni c’è una traccia karmica specifica, anche se ciò che torna è sempre diverso, perché noi siamo diversi, ma c’è la continuità di un’impronta; le persone non sono mai lì per caso. Nel corso della vita diamo energia a certe cose e queste diventano familiari. Un bambino nasce con specifiche predisposizioni, nasce in quell’ambiente o sotto quella volta stellata non per caso e non per volontà di un dio: è semplicemente movimento, causa ed effetto. Anche il sapere bardico fluisce attraverso l’accademia mutevole della vita, un’immensa foresta dove la parola non viene scritta ma fa eco nel tempo, sempre diversa ma con lo stesso timbro. Così appaiono: Materia da materia, coscienza da coscienza, corda da corda.

Con Vincenzo Zitello hai realizzato il primo album del progetto The Magic Door. Ci puoi raccontare la tua esperienza con questa formazione?
Inizialmente eravamo Giada Colagrande ed io. Nel 2016 abbiamo dato vita al progetto e al primo disco: un concept album sulla Porta Magica di Roma. Dopo aver imbastito testi, musiche e cantati avevamo bisogno di allargare l’orizzonte, avremmo potuto coinvolgere un trio d’archi, ma pensai di coinvolgere Vincenzo, che sposò il progetto ricoprendo da solo questi ruoli e dando un grande contributo in fase di arrangiamento. Nell’album è presente anche il percussionista americano Glen Velez, a cui ho chiesto di partecipare dopo un concerto fatto insieme. In occasione dei live di The Magic Door si è aggiunto da subito Nicola Caleo alle percussioni, amico carissimo e compagno di molte avventure. Poi, a partire dal live al Napoli Teatro Festival 2020, si è unita al gruppo la violoncellista Giovanna Barbati, coinvolta da Giada, che la conosce fin dall’infanzia in Abruzzo. Giovanna è una violoncellista straordinaria e ha suonato anche con Franco Battiato, al quale sia Giada che Vincenzo sono molto legati, artisticamente e biograficamente. Infatti, potrebbero passare giorni parlando delle loro esperienze con lui, in modo anche molto divertente.

Nel tuo percorso formativo ha avuto grande peso anche il contatto con la Sapienza Antica e l'esoterismo, inteso come ricerca della conoscenza altra. Come sei entrato in contatto con questo mondo e che peso ha nel tuo immaginario musicale?
Percepisco la dimensione spirituale in tutto lo spazio artistico. L’avvicinamento a certi mondi fu molto precoce e si palesò come un lascito, un’eredità. Da bambino trascorrevo molto tempo in campagna dai nonni, e un giorno trovai una valigia contenente un’enciclopedia di parapsicologia, occultismo e misticismo. C’erano immagini incredibili e trattava di storie e misteri d’Egitto, di yogi tibetani, di Astrologia e Teosofia; c’erano esercizi per sviluppare la telepatia o per costruire modellini di Cheope; vi erano narrate le vite di medium e maghi. Ben presto quelle immagini e quei simboli si insediarono nelle mie visioni, nelle fughe notturne per i boschi, nei sogni lucidi e nella veglia che li succede, così iniziai a farmi domande e a cercare le risposte.

Da lungo tempo suoni con il gruppo In Vino Veritas. Ci racconti questa esperienza?
Quest’anno compiamo dieci anni di attività, con centinaia di concerti, nei festival medievali, celtici, folk, vichinghi, metal, presso clubs, piazze, parchi, palazzi, castelli, taverne, abbiamo sondato un ampio spettro di situazioni in molto paesi. É un progetto musicale che si è nutrito di esperienza e avventure. Ad esempio, per un paio di anni ci siamo recati a Praga nel mese di febbraio, lavorando per il carnevale. Come saprete Praga è una città magica - una «soglia» - e lungo le vie lastricate aleggiano le memorie dei grandi alchimisti dell’epoca rodolfina. Eravamo ospiti all’istituto di cultura italiana a Malastrana. Ogni giorno ci alzavamo presto - dormendo due o tre ore al massimo - indossavamo le maschere e i costumi, poi abbracciavamo gli strumenti e con il ghiaccio sulle dita facevamo sei concerti di 30-45 minuti, distribuiti nelle due piazze principali della città. Alla sera suonavamo per l’alta società praghese in un palazzo con dei passaggi segreti, poi passavamo ad animare la taverna medievale più antica d’Europa, e infine a tarda notte suonavamo nei bassifondi bohémien, popolati da personaggi e situazioni surreali. Tutto questo si ripeteva ogni giorno, senza sosta, con avventure talvolta grottesche, animate da un’energia continua. Quando vivi così sei sempre nella maschera, i cui confini si sciolgono mentre sogno e veglia si mescolano e crollano i pregiudizi. Allora è possibile vivere l’esperienza unificante che vivevano i bardi del passato: tutto è livellato ai tuoi occhi, il sindaco e il delinquente diventano entrambi personaggi vaporosi di un incantesimo collettivo.

Con In Vino Veritas hai inciso recentemente "Grimorium Magi". Come nasce questo album?
Avevamo la necessità di fare un nuovo disco, che “spingesse” similmente a come facciamo nei live.  Molte idee si sono palesate da “riff” di nyckelharpa, lo strumento che ho suonato di più nell’album. L’idea generale era quella di mescolare estetica gotica, grottesca e pagana. 

Il titolo del disco rimanda al "Grimorio" libro di magia di epoca medioevale. Quali sono state le ispirazioni in questo senso?
Ci sono costellazioni di tradizioni stregonesche nel folclore e nella letteratura medievale, fino alle soglie della modernità. Nel disco ci sono riferimenti a varie latitudini: il “Mabinogion” (una fonte celtica molto ricca, da cui ho attinto anche in altre occasioni); i “Benandanti”, esempio nitido di sopravvivenza di pratiche sciamaniche in culti cristiani e dintorni; i “Gargoyle”, vigilanti portavoce di simbolismi animali, e così via. Potrei definire il compendio di riferimenti dell’album una sorta di «Resistenza Magica» nell’arco di secoli di persecuzione. Con tale intento ho inserito nell’artwork la silhouette del Mago del mazzo di Tarocchi conosciuto come Rider-Waite (disegnato dalla poco citata Pamela Colman Smith). Il Mago, nel nostro caso, si riappropria dello spazio sacro di una cattedrale gotica. 

Come avete lavorato agli arrangiamenti del disco?
Mi sono occupato personalmente della produzione nel mio studio.  Nonostante io sia autore della maggior parte delle musiche, in “Grimorium Magi” c’é stato un ottimo lavoro di squadra in fase di arrangiamento, ognuno ha contribuito con le sue peculiari capacità. Nicola Caleo con le sue ritmiche trascinanti, Emanuele Milletti con linee di basso ben articolate e originali, Nicola Bellulovich con il suo stile raffinato ai fiati, e Siro Nicolazzi con fendenti giri di ghironda. Siro è anche autore di un brano, «Mezonemusus», che in fase di arrangiamento abbiamo contaminato con un sapore celtic funk. Alcuni brani si sono evoluti in modo automatico e naturale, dopo un lungo rodaggio live, altri hanno preso forma in modo più ragionato. 

Il disco si chiude con "Il Matto e il Suo Scettro" che mi ha subito riportato alla memoria il disco dedicato agli Arcani Maggiori di Vincenzo Zitello. Ci sono punti di contatto tra le due opere?
Quando Vincenzo ha avuto l’idea di fare un disco sugli arcani maggiori mi è sembrata perfetta per il suo universo. 
Ho suonato in vari brani di quest’opera e abbiamo fatto anche una serata a tema a Carrara, con Contatto Radio. Ma personalmente non ho mai desiderato fare un mio album sui tarocchi. Infatti, ho scritto «Il Matto e il suo Scettro» nel 2016 e compare già nel disco “Ludicantigas”. È un brano a cui sono molto affezionato; mi sono ispirato al libro "Il Fool e il suo Scettro", nonché alla dimensione esperienziale di cui ho accennato parlando di Praga.  Un’amica un giorno mi ha fatto notare come i panni del testo possano calzare perfettamente anche alla figura del vampiro! Questo perché il Matto (inteso anche come Bardo o Giullare) e il Vampiro sono figure seducenti e carismatiche, irriverenti e spaventose, che ribaltano gli schemi e sfuggono ad ogni catena, entrambi sfuggono alla fissità di uno specchio, sono metamorfici e riflettono il mondo con scandalo; mostrano la verità con la menzogna e viceversa, e possono attaccare tutti, dal re al villano. Sono golem di sangue, anarchia e incantamento. Spinose rose dell’imprevedibile che mette in crisi le illusioni. 

Sul versante del tuo percorso come solista, quest'anno hai inciso, durante il “lockdown" il disco "La Primavera del Piccolo Popolo". Ci puoi raccontare la genesi di questo disco?
A marzo avevo pronto un album solista, “Sacred Woods”, con molti ospiti e canzoni in diverse lingue: un disco molto dinamico, che avrei dovuto portare dal vivo con alcuni musicisti. La situazione globale ha messo in crisi i programmi dell’etichetta e sono saltati tutti i concerti. A quel punto mi sono messo a lavorare a qualcos’altro, direttamente a casa mia, non potendo raggiungere il mio studio per via delle restrizioni. Ho scritto tutte le musiche con l’arpa, poi ho registrato gli arrangiamenti in un clima minimale e intimista, mirando all’essenziale. Il 1° maggio ho pubblicato questa fiaba musicale in digitale su Bandcamp e da poco ho stampato i cd.

Come si è indirizzato il tuo lavoro di composizione dei brani e quali sono state le suggestioni e le ispirazioni che li hanno generati? 
In quel momento di prorompente maturazione karmica collettiva pensavo spesso a boschi, laghi e fiumi, liberi dalla presenza degli uomini e dall’inquinamento. Automaticamente ho pensato non solo agli animali, ma a tutti quegli esseri che solitamente non sono visibili. Così ho sentito di voler scrivere una fiaba musicale in cui l’ascoltatore potesse immedesimarsi nel volo di una fata… Una fata, una Lasa, una Dakini, o l’Anima in senso junghiano, ciascuno può etichettare come preferisce: è una fiaba musicale simbolica. 
I testi narrati sono infatti essenziali e meditativi, sono come brevi linee guida, suggestioni poetiche per un viaggio personale dell’ascoltatore.

Nel disco appare come voce narrante Paolo Tofani. Com'è nata questa collaborazione?
Io e Paolo ci siamo conosciuti in un camerino (e c’era pure Alberto Camerini!) in occasione di un tributo a Claudio Rocchi. Paolo mi chiese “Di dove sei?”, io risposi “Di Luni”, e lui “Anche io! Ma è incredibile!”. Vincenzo intanto se la rideva. Prima che Claudio Rocchi lasciasse il corpo iniziai a scrivere un brano con lui, ma il progetto fu interrotto dalla sua morte. In seguito ci sono state varie maturazioni karmiche connesse a lui, che in qualche modo automatico mi hanno portato a stringere rapporti con Giada o con Paolo. Io e Paolo siamo diventati molti amici, abbiamo fatto alcuni concerti insieme e contiamo di farne altri. Credo che la sua voce narrante sia eccezionalmente emozionante. La sua recitazione è ricca di amore e gioia, viscerale e leggera. Ho pensato subito a lui per la voce del Grande Albero. Ha registrato dall’India, dove ha trascorso il lockdown.

Il concept del disco evoca un mondo simile a quello immaginato da J.R.R. Tolkien nella saga de "Il Signore degli Anelli", ci puoi raccontare il concept alla base del disco?
Mentre gli altri faeries festeggiano, la fata Alidoro, mossa dall’amore verso un uomo, parte alla ricerca della razza umana, scomparsa nel nulla. La musica descrive la natura percepita dalla fata, il suo mondo interiore, in volo in una notte di luna piena, per risolvere il mistero. La narrazione è romantica e rilassante, interiore ed essenziale. Certamente le penne di Yeats e Tolkien hanno contribuito enormemente a disegnare la mia sensibilità. Ho anche musicato alcune poesie di Tolkien, che in quanto all’evocare mondi non ha pari nella storia della letteratura.

Quali sono le influenze che caratterizzano i brani dal punto di vista musicale?
Questa è la domanda più difficile, a cui non so rispondere in modo chiaro, credo si possano sentire influenze di Stivell o di certi album di folk inglese anni Settanta, ma con un minimalismo un po’ wave. Ci sono echi bretoni e scozzesi, ma tu sei sicuramente più bravo e lucido di me a scorgervi influenze.

Concludendo quali sono i tuoi progetti futuri? Cosa bolle in pentola?
Al momento sto lavorando al nuovo album di The Magic Door. Confido di poter pubblicare presto il disco in sospeso di cui ti ho parlato. Ho anche molti altri progetti in ballo, alcuni spaziano in altri campi artistici... vedremo cosa accadrà! 


Arthuan Rebis – Primavera del Piccolo Popolo (Autoprodotto, 2020)
Composto, arrangiato e registrato durante il periodo di lockdown nell’arco di un mese di sessions, da marzo ad aprile 2020, “Primavera del Piccolo Popolo” è la suggestiva fiaba sonora firmata Arthuan Rebis, che ne ha curato anche i testi e l’artwork, con la partecipazione di Paolo Tofani, storico chitarrista degli Area, qui nelle vesti di voce narrante. Proprio il momento storico così complesso ha rappresentato una importante base ispirativa per quest’opera il cui intreccio narrativo, sospeso tra il realismo fantastico e il sogno, ci invita a ritornare alla Natura riscoprendola come unico balsamo lenitivo contro la sofferenza che sta attraversando il mondo intero. Dividendosi tra arpa celtica, nyckelharpa, esraj, aerofoni, elettronica e soundscape, il musicista toscano ha intessuto un racconto affascinante declinato in nove brani che, quasi fossero i capitoli di un ideale libro, procedono per immagini sonore dense di potenza evocativa. La vicenda narrata, le cui radici affondano nella tradizione sapienziale e misteriosofica, è quella del volo notturno della fata Alidoro alla ricerca di un’umanità scomparsa sul sentiero del Grande Cuore che la condurrà a sciogliere l’incantesimo che ha fatto sprofondare l’Umanità in un sonno senza fine. L’ascolto, da fare possibilmente in cuffia si apre con il dolce ed evocativo strumentale “Aurore invisibili”, nella cui melodia arpa, percussioni e strumenti a fiato, rimandano al continuo divenire della Natura che ad ogni alba rinasce e si rinnova. La voce di Paolo Tofani che fa capolino nella title-track ci racconta come il Piccolo Popolo uscì allo scoperto in quella primavera appena fiorita senza gli uomini, e fa da preludio al volo della Fata Alidoro di “Venti di impermanenza” in cui l’arpa di Arthuan Rebis ci offre una profonda riflessione sulla trasmigrazione delle anime e sul grande disegno imperscrutabile dell’universo. Se “Danza di Alidoro e specchi di rugiada” è una danza dalla trama sonora quasi magica nelle cui trame si riconoscono gli insegnamenti del “Corpus Hermeticum” di Ermete Trismegisto, la successiva “Dal crepuscolo in volo” è giocata sugli opposti e l’alternanza giorno tra giorno e notte, buio e luce. L’invocazione alla Luna di “Luna velata”, la cui linea melodica misteriosa racchiude la bellezza accecante di Iside, ci introduce alla splendida “Nuove fioriture”, una composizione dall’atmosfera notturna nella quale la voce di Tofani ci racconta di come la fata Alidoro e il Piccolo Popolo, pregando la Dea della Terra, risvegliarono l’Umanità. Il breve e gioioso strumentale “Un’altra Primavera” fa da preludio a “Le fate del crepuscolo” brano che suggella un disco di grande fascino che non mancherà di regalare emozioni all’ascoltatore. https://arthuanrebis.bandcamp.com/album/la-primavera-del-piccolo-popolo


In Vino Veritas – Grimorium Magi (Black Widow Records, 2019) 
Quintetto composto da Arthuan Rebis (voce, nyckelharpa, gaita, bouzouki, arpa celtica, tastiere, chitarra e flauto), Siro Achille Nicolazzi (voce e hurdy gurdy), Nicola Caleo “Timer Shine” (batteria e sequencer), Nicola Bellulovich (flauto, sax e didgeridoo) e Emanuele Ysmail Milletti (fretless bass), gli In Vino Veritas, nell’arco di dieci anni di attività hanno dato alle stampe due album in studio, tra cui il debutto del 2014 che raccoglieva le riletture di alcuni brani dei “Carmina Burana”, e un dvd dal vivo, ma soprattutto hanno messo in fila una lunga serie di concerti in tutto il mondo. Il loro nuovo album “Grimorium Magi” segna un punto di svolta importante nel percorso del gruppo con l’approdo a composizioni originali e nel contempo l’esplorazione di nuovi territori sonori nell’intreccio tra medieval folk, world music e psych-folk. Fondamentale in questo senso è non solo l’utilizzo di una ampia gamma di strumenti della tradizione popolare europea ma anche la particolare cura riposta negli arrangiamenti dove fanno capolino chitarre e tastiere come basso e batteria che contribuiscono ad imprimere maggiore intensità ritmica ai brani. Dal punto di vista concettuale il disco ruota intorno all’immaginario gotico legato al Medio Evo tra alchimisti e filosofi, libri di magia e opere secrete che contribuivano ad alimentare il fiume carsico della sapienza esoterica. Ad aprire il disco è “Serpens Mundi” sospesa tra musica antica ed avanguardia in cui la linea melodica nervosa tracciata dalla ghironda rimanda al mistero dell’Axis Mundi. Le invocazioni pagane racchiuse in “Precario Terrae” e la brillante “Danza dei Troll” in cui chitarra, basso e batteria dialogano con ghironda, cornamusa e arpa celtica, ci schiudono le porte alla sequenza in cui brillano le trascinanti “Benendanti” e “Taranis”. “Mabinonogi” e la sinuosa melodia di “Mezunemusus” ci conducono ad uno dei vertici del disco con “Gargoyle” con la partecipazione di Corrado Perazzo alla musette e nelle cui trame si legge la lezione di Alan Stivell e la capacità di proiettarla verso il futuro declinata in una originale cifra stilistica. L’intreccio tra musica new-age e folk di matrice inglese di “Morgana” con la bella prova vocale di Federica Lanna e il folk-prog di “Carmina Skaldica” ci schiudono le porte all’altro vertice del disco “Il matto e il suo scettro”, ballata composta in Italiano che rimanda alla carta dei tarocchi e in cui spicca la partecipazione di Alessandro De Palma al chalumeau. “Grimorium Magi” è, dunque, il disco della maturità degli In Vino Veritas che nel prossimo futuro certamente ci riserveranno ulteriori sorprese.


Salvatore Esposito

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