Lorenzo Monguzzi – Zyngher (Maremmano Records/I.R.D., 2020)

Non ho mai fatto mistero di nutrire una profondissima ammirazione verso Marco Paolini e il suo teatro. Oltre all’accento veneto, per il quale ho un debole, fra la tanta lucidità dei suoi testi e l’enorme particolarità delle sue storie, di Paolini mi ha sempre rapito la ritmica del suo recitato: è incalzante, ma in modo diverso da quella di un Celestini o di un Enia. Paolini è incalzante perché è musicale ai limiti del metronomico. Battere e levare. Recitare centrando il battere e levare dell’accompagnamento in sottofondo è qualcosa di abbastanza complesso, che prevede anche un’enorme attitudine teatrale da parte di chi ti accompagna. Ad accompagnare Marco Paolini in grandissima parte dei suoi spettacoli, e quindi a rendersi controparte del lavoro ritmico di cui sopra, ci sono stati i Mercanti di Liquore, alla voce Lorenzo Monguzzi. Se non si fosse ancora capito, è proprio del ritorno di Monguzzi che parleremo oggi. Perché a sette anni di distanza da “Portavèrta” è uscito “Zyngher”, seconda prova solista del cantautore brianzolo. Da un artista che ci ha regalato quel capolavoro che è “La musica dei poveri” non ci si può che aspettare grandi cose. E anche “Zyngher” non è da meno: otto tracce, quattro inediti e quattro traduzioni - da Nick Cave, Clash, Suzanne Vega e Johnny Cash - tutte in dialetto brianzolo. Ad aprire l’album ci pensa il bluesaccio acustico di “La tosa de Lissun”, pezzo trascinato dalla ritmica della chitarra acustica e della cassa e sporcato dalle svisate di violino, mentre una chitarra slide in sottofondo completa l’atmosfera da country blues. Seconda traccia è “Henry Lee”, pezzo che Nick Cave riprese dal famoso “Young Hunting”, canto popolare di origini scozzesi, e incise in quel capo d’opera di sfavillante cupezza che è “Murder Ballads”. Nella sua versione, King Ink la canta duettando con PJ Harvey, qui Monguzzi canta insieme a Leslie Abbadini, in un pezzo che riesce ad essere perfino più cupo della versione originale, con il tappeto del violino in sottofondo e l’armonica che squarcia il pezzo nella sua parte centrale, accompagnata dai vocalizzi della Abbadini. “Un alter cafè” è il pezzo più cantautorale dell’album, un delicato arpeggio di chitarra contrappuntato dal violino e scandito dal contrabbasso, in una composizione contraddistinta da uno splendido passaggio letterario: “i ricordi sono il passato, ed il passato è una strada che va solo indietro, è la strada dei vecchi, è la strada dei matti, è la strada degli stupidi, è la strada di quelli che hanno perso il coraggio di fare a botte con la vita, quelli che hanno nostalgia, è la strada anche mia”, una delicata e toccante riflessione esistenziale che suona come una sorta di “punto della situazione” di una vita. Quarta traccia è “I rivultel de Brixton”. E qua apro una piccola digressione, che parte col dire che la versione proposta gira perfettamente, con i fraseggi di chitarra a sparigliare le note in tavola ed una sezione ritmica orientata più verso il Mediterraneo che verso la Manica. Quindi sulla resa finale niente da dire. Sull’opera di adattamento sonoro nemmeno: gli stilemi del combat (folk) rock (Strummer diceva di essere un cantante folk con la chitarra elettrica) inglese sono stati traslitterati in quelli - più acustici - del combat folk nostrano, di cui i Clash furono comunque ispiratori (non a caso i mitici fratelli Severini, aka Gang, cominciarono proprio facendo le cover dei Clash). Anche questa operazione è stata portata a termine con una ottima resa. L’unico pelo nell’uovo che ho trovato è stato il mantenere Brixton come ambientazione: se ci fosse stata una qualche zona borderline della Brianza al posto suo, sarebbe stato un lavoro magnifico. Ma ho comunque da ringraziare il buon Lorenzo perché ha preso una delle canzoni più sottovalutate - “Guns of Brixton”- da uno dei dischi della mia vita, “London Calling”, e già non è poco. “Zyngher” è una traduzione da “Gipsy”, di Suzanne Vega, qui vestito con un arrangiamento delicato ed intenso, sorretto dagli arpeggi di chitarra e da un tappeto di fisarmonica in sottofondo, mentre la voce di Monguzzi si intreccia alla perfezione con quella di Jay Berretta, in un duetto che risulta morbido ed elegante nei timbri, ma molto potente nel pathos interpretativo. Altro bel pezzo è “L’è minga vera”, che ha un tiro decisamente più elettrico degli altri, sorretto da una chitarra acustica a far la ritmica e dalle svisate della chitarra elettrica, mentre un pianoforte quasi impercettibile fa da tappeto in compagnia della sezione di archi, in quello che risulta essere un delicato omaggio all’amore vero, a quello non banale, al sentimento. Altro giro, altra traduzione: la mitica ”Folsom Prison Blues” diventa “San Vitùr Blues”, col meccanismo di trasmigrazione geografico-letteraria delle vicende narrate perfettamente riuscito. Cassa e charleston scandiscono il pezzo insieme ad un riff di chitarra acustica, mentre violino e chitarra elettrica si scambiano i ruoli nelle parti soliste. Chicca assoluta è il kazoo, che fa quasi da altro basso, facendo da collante fra tutti gli altri elementi musicali. Chiude il disco un pezzo stupendo, anche questo in quota canzone d’autore più pura, “La preghiera del làder”, una ballata dai toni acustici a tratti commovente nel testo: “Signore siamo gente che si strozza con le sue mani, non siamo capaci di far suonare le campane, siamo casinisti e traditori, siamo piante che non riescono a germogliare fiori e ci strappiamo via la pelle uno con l’altro, come i capponi del Manzoni, convinti anche di essere furbi e non c’è niente da bere, però ci ubriachiamo, di decenza ne abbiamo poca, di vergogna nemmeno quella”, e nella musica, un crescendo stupendo che parte da un arpeggio di chitarra ed arriva all’intervento, sghembo e sporco, della sezione d’archi. Con “Zyngher” Lorenzo Monguzzi ha tirato fuori un lavoro d’alta classe letteraria, sia nelle traduzioni che nei suoi inediti. Ancora di più, è riuscito a tirar fuori un disco squisitamente folk ma con la geniale intuizione di aprire a tanti approcci musicali differenti, riuscendo a risultare completo nonostante i pochi elementi strumentali utilizzati (gira tutto intorno principalmente a chitarra acustica e violino). È un disco potente e carico di una tensione interpretativa sentita e genuina. Una perla d’album. 


Giuseppe Provenzano

2 Commenti

  1. Risposte
    1. Blogfoolk è una testata giornalistica che si occupa di critica musicale, non pubblichiamo i testi dei brani ma può agevolmente ricercarli su google o chiederli all'artista in questione.

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