“Lost in Tajikistan” è un disco diverso. I contenuti sono certamente affini a ciò che l’industria world può proporre, la struttura, sebbene inusuale, non è così fuori dagli schemi da risultare sorprendente, ma le circostanze e la natura di ciò che ascolterete sono rare anche in questo ambiente. L’album offre uno scorcio su un Tajikistan sospeso nel 2008, quando le tracce dell’album furono registrate nella capitale Dushanbe, nella città pamira Khorog e in due paesi nella valle scavata dal fiume Gunt. Tutto nacque da un viaggio di Lu Edmonds (The Damned, Public Image Ltd, Mekons, Waterboys, Billy Bragg) nel 2004, che portò alla realizzazione di una serie di progetti volti a preservare e diffondere gli ecosistemi musicali della zona. Progetti di digitalizzazione di archivi sonori, una serie concertistica in acustico, l’istituzione di un centro per la manutenzione di strumenti e, soprattutto, la creazione di uno studio, sono solo alcune delle iniziative che hanno preso forma negli anni successivi a questo viaggio. Ascoltiamo quindi sì un disco pubblicato nel 2023, ma che è il risultato di progetti sul campo di almeno vent’anni, e che, chiaramente, ci porta musiche ben più antiche, tradizionali ed interpretate, frutto del lavoro di una serie di artisti del luogo. Ascoltato senza saperlo, l’album può sembrare eccessivamente variegato, privo di un filo conduttore con cambi di direzione e musicalità repentini. Questo è perché nel disco si susseguono 6 artisti ed ensemble, ma le loro tracce non sono mescolate tra di loro, bensì proposte in blocchi di artisti differenti. In qualche modo, “Lost in Tajikistan” suona come una collana di EP, un ‘best of’ di artisti locali edito con attenzione per un pubblico alle prime armi.
Ai Mizrob è affidata l’apertura con cinque brani tradizionali tra cui spicca “Hurshedam”, cantato da Davlat Nasri. L’ensemble include due liuti – probabilmente dei setor pamiri – accompagnati da un harmonium e un set di tabla. Segue Samandar, cantante accompagnato invece da un gruppo ibrido che include in flauto pamiro, violoncello, scacciapensieri, chitarra e basso elettrico e svariati strumenti a percussione. Rispetto al primo ensemble il cambio di tono è piuttosto evidente, particolarmente nel brano “Dili Dilior”, che sfoggia un’eccellente ed intensa produzione. Torniamo a repertori tradizionali con Samo, terzo gruppo registrato stavolta a Khorog nella casa di Davlat Nazar. Le sonorità meno raffinate di uno studio portatile rinforzano l’identità folkloristica dei pezzi e la sonorità degli strumenti, tra cui spiccano rubob e ghijak, accompagnati dai ritmi ovoidali sottolineati da daf e tanbur. Dei due brani proposti consiglio “Yod Bod”, un interessante viaggio che alterna sezioni arrangiate ad altre semi-improvvisate. L’artista successivo è l’anfitrione Davlat Nazar, incredibile musicista di Khorog. La musica rimane tradizionale, ma strutturata diversamente. Gli arrangiamenti sono più evidenti e i ruoli dei tre liuti, di diverse dimensioni e che montano corde in metallo e budello creando varietà tonale, sono più definiti. Tra i brani spicca “Ali Sheri Khudo”, in cui le corde accompagnano una voce femminile. I due brani rimanenti, “Omaded Mahmoni Mo” e “Daf Soz”, ricordano invece registrazioni etnografiche etnomusicologiche, per contenuti musicali e approccio alla registrazione. La prima è una canzone di benvenuto cantata da Sulton Nazar e registrata a Mihonyar, il secondo, invece, è un brano di 16 minuti cantato da Shanbe a cappella con l’accompagnamento di un daf, e registrato a Barsem.
“Lost in Tajikistan” è un buon disco, che va però ascoltato capendo cosa si ascolta, non solo per la sua natura poliedrica, ma anche – e soprattutto! – per la ricchezza dei progetti da cui nasce. La musica delle montagne del Pamir non è particolarmente diffusa, ed è sicuramente apprezzabile trovarsi tra le mani un album che ne presenti contemporaneamente numerose sfaccettature. È immediatamente chiaro che anche una zona relativamente ridotta di questo paese abbia una ricca varietà di musiche tradizionali al suo interno, e artisti che ne sono ispirati per produrre poi musica popolare di stampo occidentale. Ma anche aldilà del suo valore culturale, “Lost in Tajikistan” rimane un piacevole ascolto con numerosi cambi di direzione, passo e approccio.
Edoardo Marcarini
Tags:
Asia