Nata nel 2004 nel cuore della Grecìa Salentina, Kurumuny è qualcosa di più di una casa editrice, è piuttosto un luogo dell’anima, un antico fondo agricolo abbandonato e ripopolato che è stata la molla per un’idea di lotta dal basso volta al riscatto delle classi subalterne, ma anche un articolato progetto culturale volto a preservare dall’oblio le radici della cultura orale contadina e con essa i canti e le musiche della tradizione, un patrimonio immateriale di inestimabile valore di cui principale fonte documentale è il vasto archivio sonoro e iconografico di Luigi Chiriatti, ricercatore e fondatore della casa editrice. Non è un caso che il nome significhi in grico “germoglio di ulivo” un omaggio alla pianta simbolo del Salento e che incarna alla perfezione il lavoro portato avanti in questi anni pubblicando preziosi volumi con registrazioni sul campo e materiali d’archivio, ma anche monografie dedicate ai cantori e alle voci storiche del Salento, oltre che pubblicazioni divulgative e di studio. Pian piano, gli orizzonti si sono ampliati e Kurumuny ha esteso il campo d’interesse alla pubblicazione di romanzi e saggi in correlazione con la linea editoriale, così come sono nate le collane dedicate alla narrativa, alla poesia e alla world music. Abbiamo intervistato Giovanni Chiriatti, nel corso del terzo ed ultimo appuntamento con FolkTalk, durante il segmento autunnale del Festival Popolare Italiano. Ne è nato un dialogo a tutto campo nel quale abbiamo ripercorso le vicende della casa editrice dalla fondazione ad oggi, abbiamo ricordato la luminosa figura di Luigi Chiriatti, per soffermarci sulle pubblicazioni più recenti.
Quest’anno è prematuramente scomparso Luigi Chiriatti, del quale hai raccolto il testimone e idealmente il suo progetto editoriale legato a Kurumuny che nasce molti anni fa all’epoca delle sue prime ricerche sul campo…
Per ricostruire la storia di Kurumuny bisogna partire dagli anni Settanta, quando Luigi Chiriatti, mio padre, ha intrapreso questa ricerca sulla cultura orale del territorio salentino. Lui viveva a Calimera, nella Grecia Salentina, e lì ha cominciato a registrare le voci delle persone che gli erano più vicini, di quei cantori che erano più prossimi a lui come, per esempio, Cici Cafaro o la mamma, nonché mia nonna Lucia Assunta De Pascalis. Ad imprimere una svolta alle sue ricerche è l’incontro con Rina Durante e a quel punto l’indagine non è più soltanto locale ma si riconnette ad un contesto nazionale. Rina Durante era inserita nel contesto culturale dell’Italia degli anni Settanta e intratteneva una serie di rapporti con quelli che erano gli intellettuali, operatori culturali e musicisti che gravitavano intorno al Nuovo Canzoniere Italiano e all’Istituto Ernesto de Martino che all’epoca aveva sede a Milano, poi trasferitosi nell’attuale sede di Sesto Fiorentino. A quel punto le ricerche sul campo diventarono più organiche con la documentazione della memoria orale del Salento; quindi, oltre ai canti e alle musiche si aggiunsero anche racconti, biografie, favole, giochi, il tutto inserito all’interno di un discorso più ampio necessario al racconto della storia delle classi subalterne italiane e, quindi dei contadini come degli operai. Naturalmente, poi, questo repertorio che papà ricercava sulla spinta di Rina Durante e Bucci Caldarulo, insieme ad altre persone animate dalla stessa passione, era la base su cui lavorava il Canzoniere Grecanico Salentino, uno dei gruppi storici della riproposta in Salento ed ancora oggi in attività. Allestivano gli spettacoli che, poi portavano in giro, all’inizio, soprattutto nelle feste locali legate al movimento operaio, ma poi piano piano hanno cominciato a girare tutta l’Italia.
Facciamo un salto di trent’anni, durante i quali Gigi Chiriatti non ha mai smesso di condurre le sue ricerche, per giungere al 2001 quando prende vita il progetto di Kurumuny…
Papà era molto attivo nel campo della ricerca sulla musica popolare, era stato anche un musicista ed aveva lavorato, oltre che con il Canzoniere Grecanico Salentino, anche con il Canzoniere di Terra d’Otranto e Aramiré. Ricordo che era l’estate del 2001, quando decise di acquistare questo terreno nelle campagne di Martano, appartenuta molti anni fa alla nostra famiglia e dove aveva vissuto mia nonna Lucia, ma che, per varie vicissitudini, era andato perso. Fu un momento pazzesco. Ero appena tornato dal G8 a Genova e ricordo perfettamente che venne a Sant’Andrea, dove noi trascorrevamo le vacanze, e ci disse che aveva pensato di comprare questo terreno. Io ero molto perplesso, ma papà aveva il progetto chiaro. Quando andai con lui a vederlo per la prima volta, vidi che era completamente abbandonato, pieno di spazzatura, cassette di plastica, bottiglie di vetro. C’erano degli alberi secolari e dei caseggiati secco distrutti. Alla fine, lo acquistò e fu in quel momento che decisi da che parte stare. Di lì a poco, grazie alla memoria della nonna, riuscì a recuperare e a ricostruire quel luogo. Abbiamo lavorato fianco a fianco per ripristinarlo e farlo diventare il luogo bello che è oggi. In quel periodo, mio padre diede inizio anche all’esperienza di Kurumuny come rivista trimestrale che, inizialmente tra il 2001 e il 2022, utilizzò per pubblicare le sue ricerche sul campo. Non era nuovo ad esperienze editoriali, avendo lavorato a diverse pubblicazioni, anche importanti, dai dischi Albatros del 1977-1978 alla cui realizzazione aveva collaborato, ai libri di Aramiré. Nel 2004, decidemmo di strutturare un po’ meglio l’attività editoriale con il passaggio da rivista a casa editrice e da quel momento abbiamo cominciato a pubblicare le prime
ricerche monografiche sui grandi cantori del Salento. Parallelamente quel luogo fu ripopolato con la prima edizione della Festa del Primo Maggio che, partita come una festa tra amici, è diventata negli anni un occasione di incontro e condivisione e che nell’arco di vent’anni è arrivata ad ospitare cinquemila persone ed è stata documentata nel 2003 dal docu-film “Ritorno a Kurumuny” di Piero Cannizzaro. Successivamente è diventata anche l’occasione per promozionare le nostre attività, ma anche un momento di sintesi di quello che facevamo durante tutto l’anno.
Ci puoi raccontare com’è stato lavorare con lui in quegli anni?
Lavorando con lui mi ha permesso di capire chi fosse questa persona, oltre al rapporto normale che c’è tra padre e figlio. Non è scontato che si possa capire la dedizione con la quale un genitore faccia il proprio lavoro o la passione con la quale segua i suoi interessi culturali. Il mio inserimento all’interno di Kurumuny è stato, però, graduale e anche guidato. Nel senso che non c'è stata una forzatura da parte sua, ma è stata una cosa che è venuta in maniera abbastanza naturale, considerando anche che io suonavo, certo, il tamburo a cornice e frequentavo i concerti di musica tradizionale, ma l'attività del musicista che pure avevo provato non faceva per me. Ho cominciato piano piano, così, a dedicarmi all’attività editoriale finché non è diventata un vero e proprio lavoro per me.
È interessanti ora focalizzarsi sui tanti lavori che avete realizzato con “Stendalì. Suonano ancora” sul lamento funebre contadino in Salento, “La taranta. Il primo documento filmato sul tarantismo”
di Gianfranco Mingozzi con il commento di Salvatore Quasimodo, Luigi da “Lucia De Pascalis, Cantare a Kurumuny” dedicato a tua nonna a “Niceta Petrachi, La Simpatichina. Malachianta. Canti salentini di tradizione orale”, la monografia “Giuseppe Mighali, Zimba, canti suoni e ritmi di Aradeo”, ma anche i dischi monografici “Uccio Bandello. La voce della tradizione”, “Uccio Aloisi, Il canto della terra”, “Corimondo. La Strina. Suoni e canti di Corigliano d’Otranto” e “Ricci i tuoi capelli. Arie e canti popolari di Cannole” con quest’ultimo al quale abbiamo collaborato anche noi di Blogfoolk…
L’attività editoriale ha cominciato a prendere sempre più piede e questo ci ha consentito di pubblicare materiali straordinari. Le case editrici piccole richiedono un importante lavoro di curatela delle pubblicazioni, così come a livello editoriale è necessario trovare dei filoni specifici. “Stendalì”, per esempio, rimane un documentario eccezionale perché non esiste altro documento filmato che riprende tutta la ritualità legata a questo lamento funebre contadino. Gli anni Settanta furono una stagione importante per il cinema etnografico come dimostrano anche “La taranta” di Mingozzi, “Il Male di San Donato” di Luigi Di Gianni e “Fata Morgana” di Lino Del Fra. Dopo vent’anni di fascismo che aveva appiattito tutto, le ricerche di Ernesto de Martino avevano riacceso l’interesse di numerosi ricercatori e documentaristi che si sono messi al lavoro per ritrovare le tracce di questi rituali e di questi fenomeni. Sono documentari importanti perché all’epoca, prima del cinema e della tv commerciale, erano quelle le cose che si vedevano. “La taranta” di Mingozzi, come hai ricordato tu, ha il commento scritto del premio Nobel Salvatore Quasimodo, ma “Stendalì” si avvale invece del commento scritto di Pier Paolo Pasolini: si tratta di veri e propri capolavori che siamo riusciti a rendere fruibili. Naturalmente, oggi, questi documentari sono disponibili in streaming, ma all’epoca YouTube non c’era e
quello era un modo per metterli a disposizione di un pubblico ampio. Una nostra prerogativa è ed è sempre stata quella di allegare ai nostri libri dei contenuti multimediali con cd, dvd o raccolte di file in formato mp3 come nel caso del libro dedicato al Santu Lazzaru.
Recentemente avete pubblicato “Il Canzoniere” opera su cui aveva Luigi Chiriatti aveva lavorato a lungo con Rocco Nigro e Giuseppe Spedicato e che raccoglie centouno canti tradizionali salentini…
Il Canzoniere ha avuto una gestazione molto lunga perché, nel 2017, siamo partiti con l’idea di voler realizzare un canzoniere nella sua accezione letteraria più pura, ovvero un volume che contenesse i testi e gli spartiti dei canti nella versione in cui erano stati raccolti sul campo da mio padre e sul modello di quelli dei vari cantautori che si trovano in vendita. Per varie vicissitudini e le diverse difficoltà incontrate nella realizzazione non eravamo mai riusciti a chiudere questo progetto, ma quest’anno, data anche la circostanza della scomparsa di mio padre, questo ci è sembrato il miglior modo per rendergli omaggio. Del resto, si possono dire e fare tante cose, ma il miglior modo per ricordare le persone è farle vivere attraverso quello che ci hanno lasciato, attraverso il loro lavoro. Grazie alla disponibilità di Rocco Nigro e Giuseppe Spedicato che hanno co-firmato il volume, abbiamo fatto un tour de force per pubblicarlo, però ce l’abbiamo fatta.
Quali difficoltà avete incontrato nella realizzazione di quest’opera?
Non esisteva, almeno in Salento, un opera dedicata ai canti tradizionali e questo ha reso difficile anche immaginarsela. È stato complesso poi scegliere cosa inserire perché papà aveva selezionato seicento canti che erano una mole importante e richiedeva un metodo e dei criteri per raccoglierli. Poi c’era la questione del formato e prima di arrivare a quello A4 che abbiamo usato, abbiamo fatto diverse prove ed ogni volta c’era una battuta d’arresto perché bisognava reimpaginare di nuovo tutto. Abbiamo poi dovuto capire in che ordine mettere i canti e quindi siamo partiti prima con l’ipotesi di dividerli per area geografica, poi per tematiche, poi per cantore che li aveva eseguiti o per ricercatore che li aveva raccolti. Ad un certo punto abbiamo scelto quello forse più banale, ma certamente è quello che ci sembrava però più coerente: quello alfabetico.
Si tratta di una pubblicazione di importanza documentale ma anche dal taglio divulgativo…
Pur essendo un lavoro che raccoglie dei documenti, l’idea era anche quella di realizzare un prodotto editoriale divulgativo e che fosse alla portata di chiunque volesse approcciarsi allo studio dei canti tradizionali salentini per poi provare a suonarli. Districarsi nella musica tradizionale è molto complicato anche perché non esistono versioni definitive, i canti cambiano da cantore a cantore e da un paese all’altro. Avremmo potuto mettere anche un riferimento all'ascolto, però non l'abbiamo fatto per una specifica perché l’archivio di Luigi Chiriatti dalla primavera del 2023 è in uso esclusivo al Comune di Melpignano (Le) e l’idea è quella di creare un centro di documentazione aperto e fruibile dove chiunque, poi, possa accedervi per approfondire i numerosi aspetti legati al territorio del Salento. Questa è una cosa molto importante perché se c’è una criticità che sentiamo nella nostra regione è la mancanza di luoghi della memoria. A fronte di un un'attività di spettacolo anche importante che il Salento ormai offre da diverse decenni, mancano però i luoghi dove poter poi andare a consultare i documenti frutto delle ricerche. Una lacuna che ci auguriamo di colmare presto a breve.
Nell’archivio sono raccolte ore ed ore di registrazioni audio e video, fotografie, e materiali di vario
genere di cui solo una minima parte sono poi stati pubblicati negli anni e c’è ancora tanto materiale da digitalizzare…
Si sono ancora le bobine dei primi anni Settanta e degli anni Ottanta, nastri registrati lasciando andare la pellicola per ore per conservare ogni momento e per non mettere a disagio il cantore o il suonatore di questo o quello strumento. Si cominciava con un bicchiere di vino, con le storie personali, e poi si arrivava al canto. Erano incontri forieri di crescita, di storie, di insegnamenti.
Altra importante novità è “Introduzione all’etnomusicologia” di Maurizio Disoteo, un prezioso viatico per chi vuole avvicinarsi allo studio della musica tradizionale e opera funzionale a comprendere i materiali contenuti negli archivi sonori…
Se il “Canzoniere” nasce come lavoro di background necessario all’interno della casa editrice, il volume firmato da Maurizio Disoteo nasce dalla necessità di creare una sorta di manuale su questa disciplina che in Italia non c’è ancora o almeno in forma divulgativa. Mi diceva il Prof. Maurizio Agamennone che sono in lavorazione e stanno uscendo altri volumi ma questo fa un po’ da apripista. È un libro che si rivolge a tutti coloro che in qualche molto di si vogliono avvicinare allo studio sistematico dell’etnomusicologia e supera i paradigmi della disciplina e smonta la presunta superiorità della musica colta occidentale rispetto a quella tradizionale.
Concludendo cosa c’è in cantiere per il prossimo futuro?
Nei prossimi mesi lavoreremo sull’archivio che è una nostra sfida importante soprattutto per renderlo fruibile al pubblico. Stiamo cominciando a lavorare su un metodo per tamburo a cornice di Andrea Piccioni che, come noto, è uno dei più importanti percussionisti a livello internazionale.
Salvatore Esposito