La serata di sabato scorso alla Royal Festival Hall è stata un sentito tributo a una delle figure chiave della musica britannica della seconda parte del Novecento; un grande riconoscimento di come Bert Jansch (il songwriter, il chitarrista, il fondatore dei Pentangle, il compositore visionario, l’architetto di trame musicali fino ad allora inesplorate e, dopo di lui, inarrivabili) sia stato di grande ispirazione per le generazioni successive.
È vero, mancavano molti musicisti della sua generazione, i Wizz Jones, i Martin Carthy, gli Archie Fisher…, ma la direzione artistica ha voluto privilegiare la trasversalità del musicista, il suo aver giocato con diversi generi musicali (la tradizione, il blues, la canzone, il jazz) e l’essere stato di ispirazione e insegnamento per centinaia di musicisti più giovani.
Gli oltre duemila presenti, giunti anche da lontano, hanno in gran parte gradito una serata che è stata non meno che spettacolare, ma non tutti, a giudicare dalle polemiche scatenatisi dopo il concerto sui social, polemiche che già serpeggiavano da quando era stata resa note la line-up dell’evento, hanno capito e apprezzato le
scelte.
Pochi dubbi sul fatto che la presenza di Robert Plant avrebbe in qualche maniera cannibalizzato la serata (e la scaletta), ma la sua performance è stata memorabile: due brani dal repertorio di Bert (“Go Your Way My Love”, scritta da Ann Briggs, e “It Don’t Bother Me”), già nel disco con Allison Krauss e due tradizionali americani, hanno sancito la bontà del suo nuovo progetto “Saving Grace” con la cantante Suzi Dian in grande spolvero e con l’ex frontman dei Led Zeppelin a esibire la sua voce ancora intatta in un sound che fonde rock e strumenti acustici (mandolino e banjo). Trionfatore della serata Bernard Butler; il chitarrista degli Suede si esibisce in due intensamente elettrificate “Poison” e “Fresh as a Sweet Sunday Morning” e arrangia per cinque chitarre acustiche la splendida “Veronica” (o “The Casbah” visto che nel disco di esordio di Bert i titoli erano stati invertiti), uno dei pezzi strumentali più belli del primo repertorio di Bert.
Fra gli altri momenti salienti, senza dubbio la performance di Martin Simpson (insieme al giovane Louis Campbell) che rilegge da par suo “Blues Run The Game” e “Angie”, pezzo dove è difficile non cadere nel già-sentito e che risulta invece fresco e
originale nella versione del chitarrista di Scunthorpe.
Poi il batterista indiano Sarathy Korwar, fresco vincitore dei Songlines Award per il suo splendido “Kalak”. Le sue versioni con flauto/sax e cello di “Black Swan” e “Osprey” hanno forse diviso il pubblico, ma per chi scrive hanno colto in pieno lo spirito della serata.
Sam Lee, ha deliziato il pubblico con una splendida versione a cappella di “BlackWater Side”, con le luci del teatro
spente, e con Bernard Butler (produttore del suo ultimo album) e Brigid Mae Power (che purtroppo per lei e per noi, non è Elizabeth Fraser che duetta con Sam nel disco) in “The Moon Shines Bright”.
Poi il bel set di Kathryn Williams, con Martin Simpson in una “Needle of Death” che ha procurato qualche lacrima, e con l’onnipresente sempre ottimo Butler in “Crimson Moon”.
Deliziosi pure Jacqui McShee, Kevin Dempsey e Mike Piggott che hanno aperto e chiuso la serata fra il classico “I’ve Got a Feeling” e “O’er the Lonely Mountain” perla tratta dall’oscuro album dei “secondi Pentangle” “Think Of Tomorrow”.
Fra le cose meno riuscite, il trio di James Yorkston con Jon Thorne al contrabbasso e la cantante indiana Ranjana Chatak, penalizzati comunque da alcuni
problemi tecnici: la sua performance di “Sovay” e “High Germany” è sembrata sopra le righe e poco provata. Lo stesso si può dire per Steve Gunn, il geniale chitarrista-cantautore-produttore newyorkese, sembrato poco a suo agio nel duo con Brigid Mae Power, il cui timbro, che ricorda molto quello di Ann Briggs, non è riuscito a far decollare la pur splendida “Tell me What is True Love”.
A cucire i cambi palco e a presentare la serata, Stewart Lee, uno dei grandi stand-up comedian britannici, fan di lunga data di Bert che con gran classe ha intrattenuto i presenti con battute, gags e aneddoti, esilaranti e sempre di gran gusto.
In conclusione, una bella serata, ben allestita dal punto di vista sonoro e scenico e ben organizzata dalla Bert Jansch Foundation e dalla Earth Recordings. Nel banchetto le belle ristampe curate da questi ultimi e i due volumi di “Bert Transcribed”, le filologiche trascrizioni dei pezzi di Bert ad uso del fan ma anche del chitarrista più “nerd”.
Gianluca Dessì
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