John Greaves|Annie Barbazza – Earthly Powers (Dark Companion, 2023)

Persiste una nebulosa inglese che talvolta riaffiora, ne abbiamo avuto un esempio anche al club veronese “Il Giardino di Epicuro” il 9 marzo di quest'anno. La recente realizzazione di questo disco con alcune canzoni tratte proprio da quel concerto dona nuova linfa a quella lontana ramificazione selvatica, sommersa dalle mode degli anni d'oro dell'epoca progressive e già al tempo non di immediata collocazione storica. Un gruppo rock avanguardistico, visionario e autogestito come Henry Cow sfuggiva a facili etichette e infatti venne coniata a proposito l'efficace dicitura “Rock in Opposition” che tante lodi ebbe a meritare. Ben prima e ben oltre gli europeismi di facciata e di potere sbandierati politicamente di questi tempi, a quel manipolo di sopraffini musicisti e agitatori anglosassoni, si aggiunsero altre formazioni provenienti da Italia, Svezia, Francia e Belgio. Ma all’interno della galassia “Recommended Records” di Chris Cutler che ne seguì e che vive e prospera a tutt’oggi, non esistevano dogmi sonori: seguaci del suono canterburiano convivevano a fianco di jazzisti e radicali improvvisatori e molto altro. Anche l’indefinitezza sonora in fondo può essere una scelta. John Greaves, gallese figlio di un direttore di orchestra da ballo con il quale trascorse la giovinezza a suonare il basso e da cui imparò a leggere la musica sugli spartiti, a conclusione delle avventure Slapp Happy, Henry Cow e National Health, si trasferirà a Parigi nel 1984. Senza mai separarsi definitivamente però dall’americano Peter Blegvad, intellettuale e compositore di canzoni pop di educazione e formazione letteraria, che aveva partecipato finanche alle pagine della rivista italiana di fumetti “Linus”. Blegvad era autore di colti testi musicati da Greaves e poi affidati alla voce della cantante tedesca Dagmar Krause,
frasi palindrome o anagrammate, giochi surrealistici di parola che indagavano se stessi mescolando suoni e disegni. Dopo molti episodi solisti, Greaves nel 2015 ha dedicato alla città di Piacenza un concerto in solitaria al Conservatorio Giuseppe Nicolini, interamente traslato su disco in quello stesso anno dalla Dark Companion Records. La geografia e la storia medievale narrano che da Piacenza passa la via Francigena, percorso del pellegrinaggio da Canterbury a Roma ma in questo caso occasione fortuita per John Greaves di conoscere la giovane musicista milanese Annie Barbazza che in quel luogo stava studiando pianoforte. La collaborazione tra i due è culminata in svariate situazioni e soprattutto nella North Sea Radio Orchestra che con “Folly Bololey” ha rivisitato, dal vivo e su disco (2019), l'ineguagliabile meraviglia contenuta in “Rock Bottom” (1974) di Robert Wyatt. A Lugagnano le dita di Greaves sulla tastiera del pianoforte hanno ricamato idee musicali neoclassiche vestite di ballata jazzata, cantautorale o mitteleuropea in raffinata sottigliezza. È stata presentata una collana di composizioni sofisticate appartenenti ad epoche anche lontanissime tra loro (svariate dalla penna di Blegvad) ma di una rarefatta profumazione d'insieme a dimostrare e riaffermare anche l'amore di John per la grande Poesia del passato, da Dylan Thomas a James Joyce, a Paul Verlaine (a cui ha consacrato due cd interi nel 2008 e 2011). Spesso Greaves ha rivisitato pezzi del proprio repertorio e non certo per sopravvenuta incapacità creativa. Gli arrangiamenti asciutti ed
essenziali del suo pianoforte (poco assieme alla chitarra di Annie) e la sua voce grave e pastosa hanno sfiorato le morbide angolature di melodie e intrecciato delicate ambientazioni sonore, dove le parole trovano il loro spazio di respiro. La passione di un non-mestierante e la sincerità di semplici (non facili) canzoni hanno dato la sensazione di riuscire a far sopravvivere, in modo un po’ alchemico, una piccola eco di quella lontana stagione canterburiana. A sorpresa è stata inserita nella seconda parte, la ripresa di quel capolavoro che risponde al nome di “Avalanche” (da “Songs Of Love And Hate,” 1971) di Leonard Cohen, un tempo probabilmente evento impensabile in scaletta ma non più in quest'epoca nuova dove non sembrano esistere barriere di genere. Avalanche è una canzone che definirla tale appare riduttivo, un testo dove l’amore è implicato nella tragedia e dove l’incomprensibile dolore fa precipitare l’autore tra assurdo e mistero. In questa lirica l’intercambiabilità dei ruoli possiede un aspetto dall’impatto devastante, una versificazione poetica sull’orlo di delirio e farneticazione. Non viene mai utilizzato un aggettivo al maschile o al femminile, che chiarisca almeno il sesso, se non l’identità del soggetto a cui Cohen si sta rivolgendo, nulla vieta quindi di pensare che possa trattarsi di una scrittura rivolta alla propria interiorità. “Avalanche” ha andamento di dramma sulle tracce delle antiche profezie dove ogni sofferenza porterebbe a pensare a una ricompensa o a uno scopo, che però non arrivano mai. Altro pezzo decisamente
sorprendente inserito nel programma al Giardino e ripresa nel disco, è “To Make You Feel My Love”, classica lirica d'amore incondizionato di Bob Dylan (da Time Out Of Mind, 1997), composta ai tempi in cui si era improvvisamente diffusa l'allarmante notizia che una grave forma di istoplasmosi lo aveva colpito ai polmoni. Un brano che vanta centinaia di interpretazioni anche famosissime come quelle di Neil Diamond, Billy Joel o Bryan Ferry. In apertura al disco Greaves paga ancora una volta tributo all'immenso valore artistico di Robert Wyatt con “God Song” (da “Matching Mole's Little Red Record”, 1972), una giocosa canzone, su musica del chitarrista Phil Miller, che medita sull'impossibilità di vivere perennemente attanagliati dal senso di colpa imposto dalla religione. Il disco è assemblato unendo un paio di brani tratti da un party privato piacentino all'Elfo Studios del settembre 2021, sette al Musiche Nuove svoltosi durante il Piacenza Festival dell'anno dopo, tre dal suddetto concerto al Club Il Giardino a Lugagnano (Verona) nel marzo 2023 e le rimanenti sette al Curva Minore Festival di Palermo alla fine del mese seguente. Annie, che contribuisce con una composizione originale e una traduzione in italiano di “In Te” (che Greaves aveva precedentemente titolato in francese “Dedans - Rose C'est La Vie”), ha prodotto alcuni dischi in passato a nome proprio, a cominciare dal primo del 2015 in cui sono contenuti pure tributi a Nick Drake e Tim Buckley. 


Flavio Poltronieri 

Foto di Ardigò Giomarelli

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