Bombino – Sahel (Partisan, 2023)

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Sono passati cinque anni da “Deran”, album candidato ai Grammy Award. Nel frattempo, il chitarrista nigerino ci aveva fatto ascoltare l’ottima registrazione di un concerto al Melkweg di Amsterdam. Per incidere in una decina di giornate il nuovo album, Bombino ha scelto Casablanca dove il suo “tuareg blues”, nell’arco di dieci brani, attraversa altri stili: dal reggae di "Ayes Sachen" e "Ayo Nigla" al rock di "Darfuq" e "Tazidert" che apre le danze: riff infiammati di chitarre elettriche su ondeggianti ed eterei strati di tastiere, gli accenti ritmici del basso nei punti giusti e, soprattutto, i ritmi di batteria e percussioni ad incalzare la voce solista e i cori. A produrre le registrazioni Bombino ha voluto accanto a sé il gallese David Wrench: "Non gli sfugge nulla. Anche i più piccoli dettagli catturano la sua attenzione, sa cogliere anche i più minuti aspetti del suono". Con la seconda traccia Bombino cala un poker di personali perle acustiche, ognuna con una sua precisa narrazione sonora: “Alwane”, "Ayo Nigla", “Itisahid”, Mes Amis”. Ma è con il terzo brano che veniamo al sodo: "Aitma" è letteralmente sospinta a gran velocità dalla chitarra elettrica che, insieme al canto in tamasheq, chiama alla lotta. Per Bombino è il momento di difendere "il nostro popolo, siamo uguali a prescindere dalla nostra posizione geografica. Quando guardiamo alla situazione in ognuno dei Paesi che compongono il Sahel (Libia, Algeria, Mauritania, Mali e parte del Burkina Faso), il popolo tuareg non è rappresentato in nessuno dei governi". In Niger la situazione sta evolvendo proprio in queste settimane. E così "Aïtma" vuol essere un forte appello all'unità dei Tuareg. Altrove, c’è spazio per riflettere sui legami personali, per i luoghi che segnano la vita e per rileggere brani storici, come "Si Chilan" (Due giorni) che risale agli anni Ottanta: "Mi piace puntare i riflettori sulle canzoni che sono in
repertorio da molto tempo, pur senza essere state inserite in un album. Quando vivi con una canzone per così tanto tempo, ci trovi sempre nuove, nuovi modi per esprimerla: la canzone continuerà ad evolversi, almeno nel mio modo di percepirla e eseguirla. La paragono al miele: una buona vecchia canzone è come il miele, migliora con il passare del tempo". Filo conduttore dell’intero lavoro è la chitarra intesa come strumento musicale, ma anche come simbolo politico e “voce” di un intero popolo: “Ho visto i miei genitori lottare per i loro diritti, perseguitati dal governo nigerino e costretti all'esilio in Algeria e in Libia. Ho capito l'importanza della chitarra nella nostra vita, perché mobilitava i giovani a lottare. Credo che questi elementi abbiano avuto una seria influenza sul modo in cui sono diventato l'artista che sono oggi. La chitarra è uno strumento di espressione, usato per sensibilizzare i Tuareg sui loro diritti e sulla loro lotta, oltre che per cantare la bellezza della vita dei nomadi. Per questo motivo le autorità l’avevano vietata durante le prime ribellioni in Niger e in Mali, dal 1990 al 1995, e di nuovo dal 2007 al 2010”. Il messaggio si fa concreto anche nell’altra canzone già in repertorio da un trentina d’anni: "Nik Sant Awanha" (Fratelli miei, conosco la nostra situazione) preoccupata per l’erosione della cultura tuareg. "Anche se geograficamente il deserto del Sahara è la nostra casa, molti Tuareg si vedono negare o privare di alcuni beni di prima necessità in tutta la regione. Voglio che la gente pensi ai Tuareg, voglio rappresentare la voce di chi non viene ascoltato". Poi, in chiusura, la poesia, "Mes amis", dedicata al saper stare insieme, all'ostello di Azel ad Agadez, la sua terra d’origine. In Italia è in arrivo a Manifattura Tabacchi a Firenze sabato 21 ottobre, al Locomotiv a Bologna il 26 ottobre e al RomaEuropa Festival a Roma, il 19 novembre. 


Alessio Surian

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