Ruth Angell – Hlywing (Talking Elephant, 2023)

Questa volta vogliamo iniziare la recensione di “Hlywing” di Ruth Angell, dalla immagine di copertina. Lo facciamo è perché in essa c’è tanto del contenuto e delle atmosfere dell’album. La pluristrumentista e cantante inglese è ritratta in un interno; lei stessa e tutto ciò che ha attorno trasmettono intimità, semplicità ed eleganza, come le sue canzoni. Al centro della foto c’è poi un camino accesso, le cui fiamme leggere donano energia e calore, la stessa energia e calore che ritroviamo nelle dieci tracce del disco. Nata nel Derbyshire e cresciuta tra canzone d’autore e folk inglese, in questo suo primo album come solista, Ruth Angell riversa le sue molteplici esperienze musicali, ma sembra in particolare rivolgere il suo attento sguardo di musicista oltre Atlantico, a quelle autrici e quegli autori che hanno mosso e muovono i propri passi tra il Canada anglofono e le coste del Pacifico californiano. Prima fra tutti Joni Mitchell, il cui stile compositivo ed esecutivo lascia tracce evidenti in diversi brani dell’album (come ad esempio “Little boy blue”, “No roses” e “Little bird”), e di cui Ruth Angell propone una bellissima versione di “Magdalene Laundries”. Ma si avverte anche il richiamo a certe canzoni di Carole King, come ad esempio in “The boathouse”. O addirittutra il Neil Young dei dischi con i Crazy Horse, che occhieggia in alcuni passaggi di chitarra del misurato rock elettrico di “Three stags”. Vario negli arrangiamenti, che vanno da semplici e quasi scarni dialoghi fra due strumenti (ad esempio il violino e il piano della finale “In the vale of contemplation”) a dimensioni molto più tradizionalmente orchestrali, come nell’iniziale “Castle on the hill”, “Hylwing” è altrettanto multiforme negli stili, passando dalla canzone più spiccatamente d’autore (ad esempio la già citata “Little bird”), a pezzi dal sapore new-trad, come “Shipyard fairy”; fino a toccare, in “Treasure”, un country raffinato e ritmico. Ascoltando “Hlywing” ci si muove quindi su terreni e in ambienti sonori sì conosciuti o riconoscibili, ma che ad ogni traccia cambiano e rivelano sorprese, rendendo l’album vario e inossidabile anche a molteplici ascolti. Con un elemento comunque costante: la bella e armoniosa voce di Ruth Angell, capace di accarezzare come di colpire, di sussurrare come di ergersi a vette musicali non comuni, e che con sapiente misura a volte si moltiplica, creando cori di grande efficacia. Difficile, per la varietà e la costante ed elevatissima qualità di tutti i brani, individuare un pezzo che dal punto di vista musicale/compositivo spicchi sugli altri, ed è quindi probabilmente meglio affidarsi al proprio gusto e al proprio vissuto da ascoltatore. Per noi è allora “No roses” il culmine compositivo dell’album: un’intensa, delicata canzone, in cui i versi della poetessa inglese Christina Rossetti (1830-1894) si adagiano su un essenziale e nitido suono di pianoforte. Un album firmato da Ruth Angell come solista era atteso da tempo, dopo le ottime prove da lei date negli anni, suonando con una nutrita serie di musicisti e cantanti, tra cui Rufus Wainwright, Andrea Begley, Becky Mills, Jo Hamilton, Terry Reid, Jim Morey, e il grande Ashley Hutchings, il quale afferma che “Hlywing” è “un album davvero meraviglioso” e di Ruth Angell dice: “il suo talento come cantante, cantautrice e musicista è a tutti evidente”. Un doppio giudizio che condividiamo in toto. 


Marco G. La Viola

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