Jim Ghedi & Toby Hay – Jim Ghedi & Toby Hay (Topic Records, 2023)

#CONSIGLIATOBLOGFOOLK

Jim Ghedi e Toby Hay non sono musicisti mainstream urbani e non li troverete a suonare in stadi o arene. Vengono dal Galles (e la loro terra e i suoi ambienti naturali sono da essi continuamente evocati) ed ambedue, rispetto agli show che aggrediscono il pubblico, preferiscono uno stile che accompagna gli ascoltatori lungo sentieri musicali più tranquilli e di grande bellezza, in cui ognuno può instaurare un dialogo intimo con le proprie sensazioni ed emozioni, oltre che con i propri ricordi. Dopo “Hawksworth Grove Sessions” del 2018, ecco un album semplicemente intitolato con i propri nomi, dotato dell’immediatezza e della freschezza che deriva dall’essere stato registrato in soli tre giorni, senza uso di sovraincisioni. Il disco però è tutt’altro che improvvisato, e in esso si dispiega tutta la qualità compositiva e interpretativa del duo, che è ormai riconosciuto come uno dei migliori del panorama musicale britannico. L’iniziale “Bright Edge Deep” introduce perfettamente l’album, con l’ordito delle note più basse della sei corde di Jim Ghedi a sottolineare la trama melodica e la dodici corde di Toby Hay ad aggiungere profondità. “Moss flower” è un pezzo dal taglio minimalista, costruito su semplici frasi musicali su cui Hay e Ghedi innestano minime variazioni, a cui segue “Bog cotton”, il cui incedere di giga proietta verso atmosfere più folk. “Bridget
Cruise 3rd air” è uno dei pezzi più delicati del disco, un cantabile che assume carattere di ninnananna ed evoca una valle attraversata da un placido fiume. “Morning hills behind you” è vivace, fresco, gioioso come un’alba estiva in collina, a cui segue la cullante “A year and a day”. “Skeleton dance” stilisticamente oltrepassa l’Atlantico. Il successivo “Seasoned by the storm”, suonato da Ghedi e Hay su tempi diversi, è il pezzo più energico del disco, e contrasta positivamente con la successiva “Suo Gân” una ninnananna tradizionale gallese, resa attraverso un delicato dialogo che a tratti si fa quasi sussurro. In continuità con “Suo Gân” è la gorgogliante “When the Blackthorn blooms”, il cui titolo ancora una volta evoca i cicli naturali. In chiusura la lunga e bellissima “Gylfinir”, che nelle sue quattro parti, alternando momenti in cui il suono rallenta, si fa rarefatto e meditativo ad altri in cui è più vivace, sintetizza e condensa le atmosfere che impregnano l’intero album. Pur nella loro originalità non è difficile trovare in ognuna delle dodici tracce dell’album echi e riferimenti a grandi musicisti: in primo luogo Martin Carthy,
ma anche John Renbourn, Bert Jansch, John Martyn, e Nick Drake e le sue intro. Jim Ghedi e Toby Hay non si fermano però agli esempi geograficamente a loro più prossimi. La loro musica raccoglie, giunge e cattura echi di America del Nord, soprattutto Canada (Bruce Cockburn e David Essig), così come rivolge lo sguardo ad Oriente, fino a raggiungere e catturare l’iteratività, ricca però di variazioni, di certa musica indiana. Disco che svela a poco a poco tutte le preziosità che contiene, anche nella foto di copertina rivela il carattere di Ghedi ed Hay: sottraendosi a un approccio assertivo da pop-rockstar, nessuno dei due infatti guarda verso l’obiettivo, rivolgendo la propria attenzione alla natura che li circonda. Un piccolo particolare che crediamo stimoli ulteriormente la curiosità dei meno distratti tra gli ascoltatori. 


Marco G. La Viola

Posta un commento

Nuova Vecchia