La 52esima edizione del Festival Interceltique de Lorient, in Bretagna, si chiude sbaragliando, ancora una volta, record e previsioni. Quasi un milione di visitatori, cinquemila artisti coinvolti, un’intera città mobilitata per quest’evento che trasforma Lorient, per dieci giorni, nella capitale del celtismo europeo.
Nato nel 1971 come semplice campionato di bagadau (plurale di bagad, banda in bretone di cornamuse, bombarde e batterie), e raduno di gruppi di bagpipes tra scozzesi, irlandesi e bretoni – per intuizione e volontà di Polig Monjarret – la festa si è allargata ben presto a quelli di ceppo linguistico celtico, e dunque la delegazione dell’Isola di Man, dove si parla un gaelico assimilabile con l’Eire e la Scozia, e poi Galles e Cornovaglia, linguisticamente appartenenti, con la Bretagna, al gruppo brittonico.
Solo più avanti, il Festival come lo conosciamo oggi, allargò la famiglia ai cugini celtiberi di Asturia e Galizia, con altri costumi e cornamuse (gaita), verso un altro finis terrae dell’Europa Occidentale.
Terre tutte divise da storie moderne diverse, geograficamente sparse e in contesti politici differenti ma accomunate da un passato condivido, da questo retaggio culturale che oggi racconta leggende simili, accompagnate da balli che muovono passi in tondo su musiche che si accordano in concerto.
Ogni edizione del FIL è storicamente dedicata ad una “nazione celtica” in particolare, e quest’anno è stata la volta dell’Irlanda. Così le teste di serie del Festival sono state alcune vere e proprie leggende del panorama folk dell’Isola Verde: i Clannad e gli Altan, Donal Lunny, Andy Irvine, Frankie Gavin, un tripudio di stepdancers e bagpipers che tra una giga e un reel si ricaricavano di birra scura.
Ma fra i tanti momenti di festa scatenata e spensierata non sono mancati i malinconici e doverosi omaggi alle figure scomparse che hanno contribuito all’affermazione mondiale di questo genere, primo fra tutti il mitico Paddy Moloney (The Chieftains), e l’amata e controversa Sinead O’Connor, che ci ha lasciati proprio poco prima dell’inizio di questa edizione. Anche la sua voce limpida e sofferente, adesso, risuona dal Tir na nOg.
L’Irlanda ha dimostrato, nel complesso, un buono stato di salute, tra vecchie glorie e nuove leve.
Oltre all’invitato speciale, la scena d’eccezione è come sempre occupata dalla “nazione” ospitante, ça va sans dire, la Bretagna più bretone. Alan Stivell, mito vivente e padre fondatore della renaissance celtique, ha aperto il calendario generale non con un concerto stavolta, ma come principale interlocutore della
conferenza intitolata “Celtique?”, che tenta di fare il punto su ciò che significa essere celtici: tentare di definire una specificità genuina e antica in una società contemporanea sempre più globalizzata e sradicata.
Sparsi poi nei dieci giorni (dal 4 al 13 agosto) di intensa programmazione, nomi e progetti importanti targati BZH: dall’ennesima “Odissea Celtica” ripensata e musicata da Ronan Le Bars ai più affermati gruppi per fest-noz – le tradizionali feste da ballo bretoni. Ma l’aspetto più evocativo e straordinario di questa cultura secolare è rappresentata dal canto, per lingua e modalità espressiva. Ecco allora Denez Prigent, come sempre acclamatissimo, e la voce dell’ormai scomparso Yann-Fanch Kemener, che continua a riecheggiare da un palco all’altro in concerti commemorativi. Ne segnaliamo due, per la struggente bellezza e per la necessità di colmare un vuoto: il ritorno dei Barzaz, dove oltre ai musicisti storici interviene il giovane cantante Youenn Lange a interpretare il repertorio storico che fu di Yann-Fanch Kemener, e la potente voce inconfondibile di Annie Ebrel che porta in scena col gruppo Dièse3, un
interessante progetto di musica d’autore rimasto a lungo nel cassetto di Kemener e da poco pubblicato nell’album “Amzer”
Sono proprio le voci che testimoniano questa cultura che si diffonde senza cedere spazio al globalismo, e meritano attenzione le espressioni centrate sulla lingua, dai cori gallesi ai gruppi vocali femminili asturiani – tra i quali segnaliamo le giovani Algaire –, e ancor più alle piccolissime ma solide rappresentanti della lingua mannese, che abbiamo apprezzato nelle giovani Ruby Biscoe-Taylor e nel duo Ruth Keggin (Isola di Man) e Rachel Hair (arpa celtica dalla Scozia).
Sì, sempre più giovani hanno orgogliosamente preso il testimone dalle amate vecchie generazioni e hanno rinfrescato il palco con novità e rigenerata bellezza. Non è un caso che la prossima edizione del FIL – che si terrà dal 12 al 18 agosto 2024 (meno giorni dei soliti dieci per la sovrapposizione coi giochi olimpici che si terranno a Parigi) – sarà eccezionalmente non dedicata ad una nazione celtica in particolare, ma ad un concetto, che evoca speranza: la gioventù celtica.
Kenavo, Lorient!
Giorgio Calcara
Foto e video di Giorgio Calcara
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