Yann-Fañch Kemener amava più di tutto cantare con l’accompagnamento di un silenzio che lo seduceva, alla maniera dei monaci dell'abbazia di Solesmes, che da poco prima della metà del 1800 iniziarono a riportare i canti gregoriani alla loro monodica dimensione originale. La sua voce si faceva carrozza verso l’eternità, ricambiata dall’ammirazione di chi la ascoltava da vicino, fossero essi bretoni, canadesi o iracheni. Nato nel Kreiz Breizh, a Sainte-Tréphine, luogo “bretonnant” delle coste armoricane, è stato etnomusicologo per salvaguardare quella che sentiva eredità preziosa della sua terra; conosceva a memoria centinaia di arie popolari, la sua tecnica di modulazione delle note e di tenerle in un vibrato morbido si sposava in un modo miracolosamente naturale con la lingua di Bretagna. Tutta quella manna popolare raccolta a piene mani, tutte quelle parole passate di bocca in bocca per raccontare miseria, guerre, cuori spezzati, per immortalare dolori, collera, speranze: la storia e il cuore delle genti sono immutabili, solo le storie cambiano. Col passare del tempo e dell’età, il rigore estetico si era accoppiato sempre più a strumenti che avevano affiancato la voce in molte differenti combinazioni, dal pianoforte all’amato violoncello di Aldo Ripoche, un mio ritratto dell’artista è reperibile su Terre Celtiche. Questo album è stato registrato nel 2012, ma il fortuito incontro tra i musicisti risale a quattro anni prima durante un concerto, le registrazioni sono avvenute con calma, senza urgenza di produrre il disco, che Kemener stesso lo definiva “arlesiano”. Già nel 2009 aveva avuto modo di partecipare proprio con Aldo Ripoche al disco autoprodotto dei Dièse 3 e nello stesso anno avevano portato in scena lo spettacolo “Amzer” (Stagioni) poi messo da parte. La decisione di riportarlo ora alla luce (grazie all’etichetta bretone “Musiques Tetues” di Rostrenen) diventa un modo per ricordare il celebre cantante, prematuramente deceduto a causa di una inesorabile malattia.
Sono soprattutto le corde a sostenere la solennità della voce, non si erano mai uditi strumenti come chitarra elettrica o marimba a fianco della voce di Kemener, che rivela nell’occasione differenti tonalità, modalità talvolta teatrali, spesso gravi e che accentuano il suo vibrato. Le orchestrazioni più che riprendere i temi delle canzoni, le decorano con effetti soventi drammatici, il clarinetto basso di Cabaret e la chitarra elettrica di Lahay creano una prospettiva da opera classica su scena contemporanea. Yann-Fañch Kemener ha composto il brano iniziale (“Ar Gwin”) e ha selezionato i rimanenti otto tradizionali (tra marce e melodie), tutti riferibili alla tematica “tempo che passa/vita notturna” quasi si trattasse di un concept-album. L’iniziale “Ar Gwinn” (il Vino), unica composizione originale, su una base di musica minimale è un kan-ha-diskan ispirato da alcune quartine (Ruba'iyyat) sul tema del sommo poeta, filosofo e matematico persiano Omar Khayyâm (1048-1131): (“il tempo della mia giovinezza mi torna alla mente e mi riporta con gioia a quando bevevo il vino, non giudicatemi se ha il gusto amaro, mi scalda il cuore, ha il sapore della mia vita…”). In lingua persiana, "khayyâm" ha il significato di "fabbricante di tende" che era realmente il lavoro praticato dal padre. È lui il "persiano" citato da Guccini nella canzone "Via Paolo Fabbri 43" e non c’è da stupirsi visto l’attrazione a lungo provata di Francesco per il nettare dei fiaschi (“Jorge Luis Borges mi ha promesso l'altra notte di parlar personalmente col "persiano", ma il cielo dei poeti è un po' affollato in questi tempi, forse avrò un posto da usciere o da scrivano: dovrò lucidare i suoi specchi, trascriver quartine a Kayyam (1) ma un lauro da genio minore per me, sul suo onore, non mancherà.”). Ma Fabrizio De André ha fatto anche di più, utilizzando come finale de “La Collina” la frase tratta da una sua quartina originale: "Pien di stupore son io pei venditori di vino, chè quelli che cosa mai posson comprare migliore di quel ch'han venduto?" (2) per renderla con: “Sembra di sentirlo ancora dire al mercante di liquore: "Tu che lo vendi cosa ti compri di migliore?" Riepilogando: la formazione complessiva dell’album assembla il duo Yann-Fañch Kemener al canto e Aldo Ripoche al violoncello con i tre componenti del gruppo Dièse 3: Etienne Cabaret al clarinetto basso (specializzato anche nel clarinetto tradizionale bretone “treujeun gaol”), Pierre Droual a marimba e violino (membro già della Kreiz Breiz Akademi #5 di Erik Marchand) e Antoine Lahay alla chitarra elettrica e alla dodici corde (accompagnatore anche di Denez Prigent), a loro si aggiungono gli invitati Dylan James al contrabbasso in cinque canzoni e Jean-Marie Nivaigne alla percussione kayamb nel brano “Ar Vatez Vihan” (La Servetta).
Dopo l’uscita del disco, che curiosamente reca il medesimo titolo del penultimo disco di Alan Stivell (2015), il gruppo ha deciso di riproporre lo spettacolo Amzer dal vivo, invitando alcuni musicisti ben conosciuti in Bretagna: al posto del compianto Yann-Fañch Kemener, Annie Ebrel (discendente di una delle Sorelle Goadec), che sovente ha cantato con lui in passato (e anche inciso), la violinista Floriane Le Pottier (che impreziosisce l’ultimo disco di Gilles Servat), la violoncellista Lina Belaïd (dal “Kreiz Breiz Akademi #9”) e il contrabbassista Dylan James (dal “Kreiz Breiz Akademi #3”).
Flavio Poltronieri
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(1) l’ortografia gucciniana è errata.
(2) come ho precedentemente precisato nel volume “Fabrizio De André, Il Libro del Mondo, Walter Pistarini, Giunti Editore, seconda edizione, 2018)
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