Damir Imamović – The World and All That It Holds (Smithsonian Folkways, 2023)

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Ecco di nuovo, questa volta per la prestigiosa Smithsonian Folkways, la premiata ditta di Damir Imamović con Joe Boyd- Andrea Goertler (produttori) e Jerry Boys (tecnico del suono). Insieme ci avevano già offerto l’ottimo “Singer of Tales” del 2020. Il nuovo album è stato registrato a Sarajevo a maggio 2022 con un gruppo diverso rispetto a due anni prima: con Damir Imamović, voce, tar e tambur, ci sono la violinista bosnicaca Ivana Đurić, Mustafa Šantić (Mostar Sevdah Reunion) ospite in alcuni brani a fisarmonica e clarinetto, il bassista serbo Ivan Mihajlović e il percussionista croato Nenad Kovačić. Le sue percussioni “asciutte” e l’ostinato del basso aprono “Sinoć (Last Night)”.  E’ una composizione dolente di Damir Imamović, primo di undici brani che compongono un unico arco narrativo, un “concept album” che è anche colonna sonora del libro omonimo, “The World and All That It Holds", pubblicato da Picador il 2 febbraio 2023 dello scrittore (e musicista) bosniaco-americano Aleksandar Hemon: un romanzo in cui un farmacista sefardita si innamora di un soldato bosniaco mentre scoppia la guerra a Sarajevo. Il libro comincia a Sarajevo con il farmacista Rafael Pinto che bacia sulle labbra Osman, uno sconcertato ufficiale di cavalleria musulmano che era entrato nel suo negozio (chiuso, essendo un giorno di festa) alla ricerca di una polvere per alleviare il suo mal di testa. Il Rittmeister protesta in maniera poco convinta, limitandosi a dire: "Was ist das?" e se ne va. Pinto lo segue fuori dal negozio per ritrovarsi testimone di uno degli eventi che ha segnato la storia dei 
Balcani e dell’Europa, l'assassinio che ha dato inizio alla Prima guerra mondiale. Alla lingua degli ebrei sefarditi sono dedicate tre delle canzoni dell'album, cantate in ladino, quello parlato dagli ebrai sefarditi di Sarajevo: "Anderleto", "Madre mija si mi muero" e "Nočes, nočes". Sono il frutto di un lavoro di ricerca di Damir Imamović sulle poche registrazioni d'archivio rimaste che sono servite come base per sviluppare arrangiamenti e interpretazioni affini al suo accento di Sarajevo. Hemon, nei ringraziamenti che accompagnano il suo romanzo, scrive che "senza la genialità di Damir, il viaggio di Rafo e Osman sarebbe stato diverso, anche perché il suo album... è un oltraggioso capolavoro". Le canzoni trasmettono l’altalena dei sentimenti di amore e di perdita che accompagnano una storia d'amore avvincente, con i protagonisti che cercano di non venire travolti dalla violenza, pericolosamente vicini all'epicentro di un enorme conflitto. Saranno costretti a lasciare la loro città: nell’allontanarsi sono le "sevdalinka" (i canti sevdah) e le canzoni sefardite il veicolo con cui cercano di alimentare il legame e la nostalgia di casa. "Per noi che ci siamo cresciuti, ha infinite sfumature di tristezza" sottolinea Damir Imamović; Aleksandar Hemon le considera la colonna sonora in grado di offrire una visione più profonda delle emozioni in gioco: "Sevdah non è una musica triste... ma un mezzo per convertire la nostalgia di ciò che è assente nella celebrazione di ciò che è presente". Infatti, gioia e tristezza si intrecciano lungo tutto l'album e, a volte, nella stessa canzone, come
accade per "Osmane" che è, nelle intenzioni di Damir Imamović, "sia un grido d'amore, sia una marcia funebre".  Il contrasto è evidente fin dal secondo brano, “Bejturan (Wormwood)", che risponde all’atmosfera notturna e alla sofferenza di “Sinoć” con una solida e discreta linea di basso cui si intreccia la ritmica del violino riprendendo una festosa canzone tradizionale bosniaca che racconta un personaggio epico e il suo viaggio per perfezionare la tecnica del canto poravne (uno degli stili di canto pre-sevdah). Quando poi si tratta di raccontare i sentimenti di chi è costretto ad amare di nascosto, “Teško Je Ljubit Tajno (It's Hard to Love in Secret)”, Damir Imamović sceglie di arrangiare un brano dal repertorio sevdah serbo e di aprirlo solo con la sua sola voce accompagnandosi col tambur turco, dai timbri più gravi e malinconici in sintonia con le strofe che canta e con la ricerca di bellezza anche nel dolore che sa esprimere il violino di Ivana Đurić. Il suo archetto pesca le note iniziali nel registro basso per poi spingerle senza fretta in alto dove sanno fluttuare intrecciandosi alla voce di Damir Imamović e forse alle voci di chi tutt’oggi è costretto a percorrere le strade dell’esilio. 


Alessio Surian

Foto di Almin Zrno

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