Artisti Vari – The Endless Coloured Ways. The Songs of Nick Drake (Chrysalis, 2023)

La prima volta che Nick Drake si trovò su un palco fu al caotico Roundhouse di Londra giovedì 21 dicembre 1967, durante un "happening" di una settimana, chiamato Circus Alpha Centauri. Risulta un vero mistero il motivo che lo spinse a farlo: appena uscito dall’adolescenza, da poco scriveva pastorali e spirituali canzoni, stravaganti ma serie che, a parte pochi amici e conoscenti, mai aveva fatto ascoltare in pubblico. Non era il contatto con gli spettatori ad attirarlo, i suoi testi nascondevano non le cicatrici ma la pelle stessa della depressione e nonostante fosse consapevole del suo talento nel fingerpicking aperto (degno erede di quello di Davey Graham), avrebbe ambito piuttosto a diventare un artista da studio di registrazione. Il pubblico dell’occasione era alquanto “alla moda”, considerati i nomi di alcuni degli altri protagonisti degli spettacoli in programma. Il frizzante ambiente dicembrino londinese era freddo ma il tremore di Nick si doveva soprattutto a timidezza e introversione miste al timore di trovarsi a suonare, nella stessa serata, accanto ad alcuni dei propri eroi musicali quali John Renbourn e Bert Jansch. È facile immaginare che la trepidazione lo avrà spinto senz’altro a desistere, sostenuta dalla sua indole solitaria e romantica ma per fortuna nonostante la seduzione del tirarsi indietro fosse forte, si fece coraggio e chiese, anzi, sostegno al contrabbasso e al flauto di un amico musicista. 
Il caso volle che tra il pubblico fosse presente anche Ashley Hutchings, bassista elettrico di un'oscura band psichedelica, Fairport Convention, che non aveva ancora pubblicato dischi ma che da pochissimo tempo si trovava sotto contratto con la nuova etichetta Witchseason (concessionaria della Island Records), del venticinquenne produttore americano Joe Boyd. Piace immaginare che la voce di Nick nell’intonare l’oscura, rarefatta poetica di “River Man”, evocasse un solo jazz di sassofono su quella chitarra accordata in modo così poco ortodosso. Fatto sta che sia quello che suonò quella sera che la sua figura ("Sembrava una stella meravigliosa, alta due metri”) impressionarono a tal punto Hutchings che alla fine pensò di proporlo proprio a Boyd. Inutile proseguire con una storia ben nota, lo scafato e competente Boyd capì all’istante che si trovava di fronte ad una pura e rara “versione inglese di uno chansonnier francese”. Ma in quei tempi lo capirono davvero in pochi, di certo non i contemporanei critici giornalisti inglesi che lo ignorarono, ma il ventenne Elton John che, non ancora famoso, volle registrare quattro di quelle canzoni quando ancora non erano state pubblicate dal loro autore. Lo capiranno presto anche il duo Tir Na Nog, la cantante giamaicana Millie e soprattutto il sommo Alexis Korner, mentore di un’intera generazione di musicisti e padre riconosciuto di tutto il movimento blues bianco inglese, che saranno gli unici ad ospitare qualche sua canzone mentre Nick era ancora in vita, nei loro dischi di inizio anni settanta (rispettivamente “Free Ride”, “Mayfair” e “Saturday Sun”). Quando Boyd, tre anni dopo, cederà la sua etichetta, nel contratto di vendita una clausola impegnava esplicitamente a non far mai uscire di catalogo i dischi di Nick Drake. Di quella lontana serata londinese del Circo Alpha Centauri credo sia rimasto poco o niente
nella memoria di gente e giornali ma fu l’inizio di una storia grande per molti ascoltatori ovunque nel mondo. Storia o leggenda che sia, non accenna a diminuire di intensità neppure oggi, anzi, cresce più passa il tempo e le nuove generazioni scoprono la figura di Drake e delle sue leggere canzoni che indossano la propria gravità come un mantello di seta nera. Quante star musicali, sovente osannate e tronfie figure, possono oggi affermare di aver firmato un contratto discografico unicamente sulla base del loro concerto acustico d’esordio, eseguito oltretutto da perfetto sconosciuto? Anche se un destino crudele aveva già deciso che tutto sarebbe durato poco e tristemente finito nel peggiore dei modi. Dei soli tre dischi di Nick, il primo uscirà appena cinque anni prima della morte, cinque come le “cartine da sigaretta rimaste” che davano il titolo al disco. Fatale premonizione! E non esiste neppure un’unica registrazione di un solo suo concerto, se mai sarà riuscito a farne. Tre dischi arrangiati molto differentemente tra loro a riprova degli impossibili tentativi di presentare al mercato un artista che viveva in un altrove, in una galassia sconosciuta a chiunque, rinchiusa dentro il labirinto della sua mente. La sontuosità delle orchestrazioni del compagno d’Università a Cambridge, Robert Kirby che Nick volle assolutamente accanto a sé, avvolgerà talvolta la sua voce senza nasconderlo, proteggendolo forse dalla conoscenza che stava chiedendo di essere raccontata e mostrata in “Way To Blue”. Tre benedetti dischi che per qualcuno sono una specie di “trinità” che ha attraversato i decenni e la valle d'ombra dopo l’oblio, con quelle complicate trame musicali e quei testi, tra Gozzano e Verlaine, ricchi di contrapposizioni aporetiche tra passato e presente. 


Flavio Poltronieri

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