Da ventisette anni la terrazza appenninica di Ariano Irpino guarda ai suoni del mondo con orecchie aperte a sincretismi sonori, ritmi urbani e tradizioni mutanti. Con un elevato dosaggio di “incoscienza”, l’affiatata squadra del “comandante” Francesco Fodarella (direttore artistico della manifestazione) valorizza uno straordinario luogo dell’Irpinia, crocevia tra Campania e Puglia, non incluso nelle principali traiettorie del turismo pur insistendo in un territorio di straordinaria bellezza, ricco di storia e cultura. Con piena indipendenza dalla politica locale l’Associazione Culturale Red Sox, organizzatrice del Festival, si assume la “responsabilità” di orientarsi verso proposte artistiche del panorama impropriamente definibile come “world music” che possono sposare la vocazione alla trasversalità intergenerazionale caratterizzante l’Ariano Folk Festival, ormai radicato nel territorio come grande festa popolare. In aggiunta, questa XXVII edizione ha invitato per la prima volta un gruppo di professional internazionali (italiani e di area iberica) della musica al fine di condividere conoscenze, riflettere e magari progettare insieme.
Musica ed eventi collaterali per quasi 24 ore nei cinque giorni di Ariano Folk Festival, compresi piccoli laboratori teatrali, proiezioni di film, mostre, conversazioni con artisti e altro ancora, mentre dai DJ set pomeridiani al programma del Castle Stage e del Folk Stage fino ai set della Sona Zone che conducono all’alba il flusso musicale è quasi ininterrotto, trasformando in un enorme calderone sonoro la piccola città del Tricolle. Insomma, quella di AFF è un’esperienza totalizzante per chi voglia viverla appieno – e ribadiamo che è una dimensione di piacere sonoro che va assunta con entusiasmo – , compresi i limiti che possono derivare dal fatto che è un luogo dove la musica per tanti è accompagnamento o colonna sonora alla soddisfazione del proprio palato, alla convivialità estiva e alla propria presenza nella comunità allargata che riempie le vie di Ariano in questo secondo scorcio di agosto. In tal senso, ci si chiede se in questa magnifica avventura musicale in terra irpina non possano essere inseriti piccoli set acustici più appartati che, privilegiando proprio la dimensione dell’ascolto attento possano rappresentare una variazione al format del consumo e del party senza fine.
Passando, dunque al palinsesto dell’edizione 2023, mercoledì 16 agosto hanno aperto gli estoni Puuluup, Marko Veisson e Ramo Teder, suonatori di
talharpa, una lira ad arco a quattro corde suonata dalla popolazione di lingua svedese dell’isola di Vormsi nell’Estonia occidentale, vittima del puritano fervore distruttivo degli strumenti popolari “diabolici” operato dal un missionario protestante della seconda metà dell’Ottocento e sparita dalla circolazione dopo il secondo decennio del Novecento, al tempo in cui furono raccolte le testimonianze di uno degli ultimi suonatori. Poi il revival nazionale l’ha riportata a suonare nel circuito folk e world. Svariate tecniche d’archetto, anche di matrice, elementi percussivi che convivono con i loop elettronici, con
l’improvvisazione e il canto in cui si assommano reminiscenze di elementi popolari, giochi linguistici e umorismo (si parla spesso di sci di fondo e di ambientazioni rurali) va di pari passo con una vena surreale con cui Marko e Ramo animano il palcoscenico. Da Torino, il collettivo Rhabdomantic Orchestra ragiona in termini di sintesi tra afro-beat, prog e jazz allargata a mood latini (la cantante è di origine colombiana), ma alla fine non svettano così come avevano fatto mesi orsono quando li avevamo visti nel più diretto e stringato set di Babel a Marsiglia. E proprio dalla Francia, da Saint Étienne, provengono i Dub Inc., che hanno ripagato i fan rivolti al ballo con il loro mix di reggae, dancehall, ska e hip hop e testi di denuncia dell’esperienza migratoria cantati e scanditi dai frontmen, l’agerino-kabyle Bouchkour e dal franco-beninese Komlan.
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