Il titolo è asciutto e diretto: “Siculo”, a richiamare le comuni origini del quintetto, la Cumpagnia di Musica Siciliana, nata nel 2004 per opera di Carmelo Cacciola (voce, laouto cretese e oud), Luca Centamore (voce e chitarre), Pietro Cernuto (voce, zampogne, flauti popolari) e Francesco Salvadore (voce), che non smarrisce la via dell’incontro, della mediazione tra forme ed espressività tradizionali e composizioni d’autore. A loro si è aggiunto da tre lustri Arnaldo Vacca (voce, percussioni e produzione musicale), signore dei tamburi, musicista da sempre aduso a frequentare le culture percussive di area mediterranea. Suonano "in siciliano" perché quell'universo culturale li nutre profondamente sia nella realtà storico-biografica di ciascun musicista sia sul piano della trasposizione letteraria. La loro scrittura collettiva adotta i topoi della tradizione ma possiede una consapevolezza contemporanea. Si nutrono della storia ma si collocano nel futuro ancora da scrivere, usando la lingua come affermazione collettiva: richiami potenti alle culture dell’isola di Sicilia ma senza chiusure identitarie. Ne abbiamo parlato con il cantante Franceso Salvadore, “voce corale” per tutta la Cumpagnia.
Dieci anni tra “Isula Ranni” - che poi era un doppio album – e “Siculo”, non sono pochi. Cosa è accaduto a Unavantaluna in questa decade?
Sono stati dieci anni di progetti articolati, di spettacoli i più differenti, di collaborazioni con vari artisti, dalla musica al teatro alla danza; all'indomani della pubblicazione di “Isula Ranni” e del Premio Andrea Parodi 2013, ciascuno di noi ha sperimentato, fuori e dentro i confini della band, nuovi modelli espressivi;
l'idea di un nuovo album ha preso corpo a poco a poco poi, negli ultimi anni, con la pandemia e tutto ciò che ha rappresentato, ci siamo guardati allo specchio alla ricerca di nuovo senso: probabilmente, per chi
lavora in campo artistico e fa i conti quotidianamente con la propria creatività, questo passaggio è stato qualcosa di particolarmente profondo. Per finire, Unavantaluna non è un gruppo da “un disco l'anno”. Ogni nostro lavoro, e Siculo non fa eccezione, nasce dall'intima esigenza di dire la nostra sul mondo che viviamo. Ne è efficace testimonianza anche la copertina, con una immagine di Guido Gentile, in cui un pupo siciliano del terzo millennio, senza fili che lo muovano, nè uomo e nè donna, nè cristiano nè saraceno, ritratto in tinte sgargianti e attuali, quasi fluo, apre gli occhi vivi sulla realtà contemporanea.
La produzione musicale, la fruizione, l’idea stessa di folk e world music sono cambiate in dieci anni. Come sono cambiati gli Unavantaluna e la loro musica?
Un oligopolio di pochissimi attori controlla l’offerta musicale in tutto il mondo. Nessuno di loro ha un reale interesse a intermediare o selezionare questa offerta, non vendono musica ma abbonamenti. D’altro canto, negli ultimi anni è enormemente cresciuta la possibilità tecnologica, e a costi sempre più contenuti, di produrre musica di buon livello. Oggi nell'ambito folk e world si moltiplicano le nuove proposte di una musica ibrida e contaminata, e molte ben confezionate ma che, per la maggior parte, non riescono a varcare ristretti ambiti locali. Noi restiamo affezionati a un’idea di world music fortemente agganciata non tanto a dei canoni estetici di tipo tradizionale quanto a ad un universo culturale di riferimento. La nostra musica suona "in siciliano" perché quell'universo culturale ci nutre profondamente da sempre, sia nella realtà storico-biografica di ciascuno di noi sia su un piano di trasposizione letteraria. E pensiamo che questo sia un tratto distintivo di Unavantaluna che si riflette sul nostro suono e che ci rende
Cinque musicisti, tre autori e cantanti: come si conciliano diverse concezioni e sensibilità?
Se è vero che l'atto creativo nasce nell'intimità individuale, è altrettanto vero che si sviluppa nella dimensione reale, e sociale, che lo genera. È il metodo che fa la differenza: quando uno di noi porta un brano, uno spunto, un'idea di canzone, in seno al gruppo inizia un processo di assimilazione a cui partecipa tutta la band. Il risultato non è mai una semplice sommatoria: quasi sempre è qualcosa che non si immaginava potesse essere. E, nello stesso tempo, quasi mai si smarrisce l'impronta iniziale che l'autore voleva imprimere. Questo processo nasce dall'esperienza di venti anni passati insieme, dalla conoscenza anche intuitiva che abbiamo l'uno dell'altro, e anche dalla stima che ognuno nutre per gli altri componenti del gruppo. Insomma, il risultato è sempre Unavantaluna!
Come nasce una composizione di Unavantaluna?
Sono vari: a volte si comincia da brani già quasi definiti, a volte da semplici suggestioni, a volte da testi, altre volte da brevi melodie o da progressioni armoniche. Ognuno porta il proprio materiale e le proprie competenze. Non ci sono regole precise: c'è però un metodo collettivo che ha i suoi punti fermi. Ad esempio, tutti i brani di “Siculo” hanno trovato una forma definitiva nel corso degli ultimi due anni in cui quasi ogni fine settimana ci siamo ritrovati insieme per mettere a punto l'album. Quella condizione di condivisione, notte e giorno, in circa 40 m², mangiando insieme, discutendo, dormendo, insomma vivendo insieme, ci ha condotto a questo disco e siamo convinti che chi lo ascolti possa rintracciare la natura di questo processo.
Della Sicilia letteraria, quali i vostri riferimenti?
La letteratura siciliana ha Novecento anni di storia. E, accanto ad essa, secoli di tradizione orale che hanno trovato documentazione da almeno duecento anni. Insomma un bagaglio importante e fortemente connotato, in cui la cultura alta e il mondo popolare e popolaresco si intrecciano indissolubilmente. Noi siamo siciliani del ventunesimo secolo ed è normale, dunque, che i nostri principali riferimenti siano nella
letteratura del Novecento, in scrittori e poeti che hanno dato lustro all'Isola ma anche all'Italia. Per non parlare poi delle influenze inevitabili che abbiamo ricevuta dalla cultura pop siciliana (made in Sicily ma anche realizzata lontano dai confini regionali e nazionali), dalla saggistica, dal teatro, dal cinema, dalla pittura del XX secolo. Un panorama letterario tuttavia complesso che ha lasciato in tutti noi tracce evidenti e variegate. Dal classicismo di un Quasimodo alla prosa civile di Sciascia; da Bufalino a Buttitta. Poi, in particolare, i messinesi, cui probabilmente dobbiamo molte delle nostre scelte sul piano squisitamente linguistico e, su tutti, lo Stefano D'Arrigo di Horcynus Orca, la poesia di intima memoria di Jolanda Insana, il barocchismo multicolore di Vincenzo Consolo.
E sul piano dell’espressività tradizionale orale dove puntate la bussola?
È un discorso analogo a quello affrontato a proposito di cosa sia oggi, per noi, la world-music. Le radici, i riferimenti diretti, sono soprattutto nel mondo pastorale peloritano e negli strambotti dei suoi cantori; negli endecasillabi sciolti dei cantastorie della Sicilia Orientale (Orazio Strano era di Riposto, delle nostre zone, e quando eravamo bambini frequentava spesso le fiere e i mercati del messinese...); nella tradizione orale in senso più allargato, quella dei proverbi, dei modi di dire, della medicina e della preghiera popolare. L'ago della bussola, però, indica un punto immaginario, che si nutre di questa storia ma che si colloca in un futuro ancora di là da venire: la scommessa è nella lingua! Oggi, soprattutto nelle città, molti giovanissimi non parlano più correttamente il siciliano. È come se, cambiando le condizioni economiche e sociali dell'isola, quella lingua non fosse più in grado di descriverne i nuovi passaggi storici. Noi crediamo
invece che questo sia non solo ancora possibile ma anche auspicabile! E, nel nostro piccolo, vogliamo dare una testimonianza di questa possibilità: ad esempio il libretto di “Siculo” riporta i testi in siciliano secondo le più recenti indicazioni di standardizzazione della lingua scritta.
L’uso della forma canzone è centrale in questo album: come la concepite?
Per noi una canzone è un microcosmo che si giustifica in sé, nelle immagini narranti che colora, nella scelta melodica, in ciò che palesa e anche negli impliciti musicali e di testo. È per questo che non rincorriamo a tutti i costi una forma "radiofonica". A volte per esempio nelle nostre canzoni, indipendentemente da chi di noi le scriva, il "ritornello" arriva tardi, oppure ci soffermiamo in lunghe "intro". Siamo consapevoli che, al di là di una questione di gusto personale, questo aspetto potrebbe essere penalizzante verso un pubblico abituato a sonorità più mainstream; tuttavia pensiamo che sia più corretto presentarci con una forma che rispecchi il nostro background (a volte tra l'altro alcuni brani sono concepiti come delle suite), che sia più onesto nei confronti di chi ci ascolta sotto il profilo della coerenza estetica.
Cosa ha portato la produzione musicale di Arnalda Vacca, entrato in organico anche con voce e percussioni?
La collaborazione con Arnaldo non nasce certo adesso! “Siculo” è il terzo disco cui partecipa come musicista ed è da circa quindici anni che spesso calca i palcoscenici con Unavantaluna. In questo disco Vacca si è occupato anche della produzione musicale: la cura che ha messo nei missaggi (in collaborazione con Walter Lanzara, sound engineering del cd) e nella ricerca di un suono unificante per
Come si guarda alla Sicilia vivendo a Roma?
Nessuno di noi è più un giovanotto di primo pelo e dunque possiamo ben dire di aver vissuto più della metà della nostra vita lontano dalla Sicilia. Per noi che viviamo "in continente", tre a Roma ed uno a Pisa, è una condizione difficile dal punto di vista biografico: ci sono aspetti di tale lontananza che ci sollevano e altri che invece ci fanno soffrire. D'altronde, è nella natura stessa dei siciliani questo situarsi su un confine di impermanenza, come stare sulla battigia con un piede orientato verso l'isola e l'altro verso nuovi orizzonti da rivelare... Sul piano artistico, per chi come noi della identità culturale fa materia per la propria creatività, questa condizione di lontananza potrebbe invece rappresentare addirittura un privilegio: una condizione che permette infatti di essere dentro e fuori nello stesso tempo, immersi per nascita ma adesso sufficientemente distanti per poter vedere ben delineati i confini della nostra isola, per poter prendere il meglio di una cultura e ricusarne gli aspetti deteriori, per poterci proclamare cosmopoliti senza cessare di essere fino in fondo siciliani.