Unavantaluna – Siculo (Baracca & Burattini, 2023)

I luoghi sono importanti ad iniziare dall’apertura: “L’eco di Stromboli”, dove il racconto diventa metafora…
Dobbiamo capire che vuoi iniziare a parlare dei brani! Ok, però non diremo troppo: vogliamo lasciare a chi ascolterà il disco la possibilità di confrontarsi con la musica, con i testi e con il libretto! D'altronde è 
proprio come tu hai descritto: SICULO si apre con il viaggio de "L'eco di Stromboli" perché è l'inizio di un itinerario... Il brano è stato scritto da Carmelo Cacciola qualche tempo fa. Carmelo, nel cercare ispirazione per descrivere una circostanza, o un episodio, o un territorio di sapore omerico,  si è reso presto conto che il racconto di un antico conoscente che prese il mare per amore aveva l'esatta potenza epica. Quanto alla metafora, poi, c'è ne è più di una, come un gioco a più livelli: c'è il volo, c'è il navigare e c'è, soprattutto, la metafora dell'isola nell'isola. Per un siciliano lasciare l'isola madre per raggiungerne una delle tante minori più che un allontanamento è un viaggio verso una dimensione più circoscritta della propria identità. E, nel caso di Stromboli, questo è ancora più suggestivo per la incombente presenza del vulcano.

Memorie e ricordi animano anche “Senza paroli”...
"Senza paroli" pone l'attenzione su un aspetto tipico delle nostre società: a fronte di un cambiamento della generale situazione sociale ed economica, si è assistito ad un progressivo impoverimento delle caratteristiche solidali delle piccole comunità, fino all'attuale paradosso di luoghi, oggi sull'isola, dove tutti si conoscono ma nessuno fa più niente per l'altro. Il discorso sarebbe lungo e ampio, ma Francesco Salvadore è stato mosso, nello scrivere il testo della canzone, dall'esigenza di informare attraverso il racconto di episodi emblematici i giovanissimi che per ovvi motivi non hanno potuto viverli, che è esistito un tempo non così lontano in cui si viveva diversamente e in modo più cooperativo. Una visione
pasoliniana...

Cosa c’è dietro l’espressione come “Mi n’annai”? 
In messinese "Mi n’annai!" letteralmente vale l’italiano “me ne sono andato!", cioè è un tipo di passato più simile al passato prossimo che al passato remoto della lingua italiana. Tuttavia, esprimendo il senso stativo dell'azione, può assumere vari significati, da "me ne andai!" addirittura fino a "sto per andare via!", come in questa intensa canzone di Pietro Cernuto. Il testo racconta di un pescivendolo ambulante e dello stesso nonno di Pietro che usavano urlare perentoriamente questa frase per avvertire la clientela di affrettarsi perché la loro sosta sarebbe stata breve; narra di una microeconomia tipica del Sud il cui fulcro era (e ancora è) il possesso di un'Ape-car...; parla di un mondo tipicamente messinese di cui descrive nella frenesia e nella coloristica minuziosi dettagli; traccia, infine, un contrasto in parallelo fra chi urlava il suo "Sto andando via!" per continuare però negli stessi luoghi l'allegro gioco della vita e chi invece, nel silenzio, ha dovuto andar via per cercare altrove le proprie fortune.

“Canto siculo” è il canto della terra…
"Canto siculo" è nata con l'idea di costruire un inno, un tormentone, per ribadire, se ancora non fosse già abbastanza chiaro, cosa pensa la stragrande maggioranza dei siciliani della propria terra, del proprio mare, del rispetto che occorre avere per i propri territori e per la stessa vita umana. Ciascuno dei particolari misfatti che la canzone cita, è in realtà connesso a tutti gli altri da un sottile filo di senso.

Si danza con “Kulka Za”, che richiama altri scenari sonori, oltre l’isola…
"Kukla za", cioè "Bambola za" in greco moderno. Carmelo da una trentina d'anni frequenta la Grecia più di una volta l'anno, ha parenti e amici strettissimi in Grecia, suona greco nei locali greci storici di Roma, insomma "non c'è un greco più greco di un siciliano" come si usa dire nel Paese che è la culla delle nostre civiltà! La bambola in questione è una ballerina immaginaria che, chissà, forse proprio in un fumoso locale greco, inizia a volteggiare, e la sua danza vola alto, sopra le maldicenze e sopra i pettegolezzi, co
me un inno alla libertà della donna.

La romanza “Oh Nici” fa confluire elementi popolari e semi-colti… è l’unico tradizionale dell’album: Ce ne parlate?
C'è un paese della costa tirrenica messinese noto per le cosiddette "Romanze di Caronia", appunto. Un repertorio cioè di tipo semi-colto dove spicca il precipitato delle Romanze d'autore e delle arie d'Opera. Tale repertorio ebbe fra le più grandi interpreti Annunziata D'Onofrio e, in tempi più recenti, il compianto Giovanni Granata. Il testo descrive l'indicibile dolore di un innamorato per la perdita della sua amata, Nici, piccolina, appunto. Al canto monodico e alla profonda interpretazione di Pietro, abbiamo scelto di giustapporre un altro tipo di canto funebre, come un'eco schiettamente popolare, un "repitu", ovvero la trasposizione cantata della litania delle "ciancimotti", cioè le donne che venivano assoldate per presenziare la veglia funebre prima di un funerale. Il tutto con un arrangiamento scarno, essenziale, a tratti lancinante come il dolore di quell'innamorato.

Una diversa immagine della donna si riflette nella poetica di “Stidda disiata”
In "Stidda disiata" c'è il tentativo di costruire una canzone siciliana contemporanea, in cui una lingua a tratti anche molto stretta e arcaizzante possa descrivere la relazione uomo-donna per come dovrebbe essere oggi, nella nostra contemporaneità, in un rapporto basato sulla libertà, la parità e il rispetto reciproco. Qui Francesco, al di là delle note autobiografiche che lo hanno ispirato, ha condotto un'operazione con la lingua che, come dicevamo all'inizio di questa intervista, può diventare letteraria, 
provando cioè a descrivere qualcosa in modo del tutto differente dalla consuetudine.

La riflessione sulla vita anima “Scuta a mia”: canzone più vicina a una fisionomia pop-rock.
Scuta a mia nasce attorno a un testo di Pietro in bilico tra il dialogo interiore e quel briciolo di follia tipico di quando uno comincia a parlare da solo e la musica che ha scritto, ipnotica e minimale, lo accompagna perfettamente. Registrandolo in studio abbiamo sentito il bisogno di un finale che uscisse da questo schema, affinché quelle stesse parole assumessero un significato diverso, quasi liberatorio. In quel momento è sbocciato un riff di chitarra elettrica a metà tra Jimi Hendrix e Vagabondo dei Nomadi che insieme alla zampogna, traghettasse il brano verso un’atmosfera diversa, se vogliamo pop-rock, anche se preferiamo definirlo “popolare”.

I brani più lunghi arrivano nel finale: “Vurria Essiri” dove si riprendono i topoi letterari e popolari dell’incarnarsi in animali o elementi naturali per accostarsi all’amata… Come nasce questo brano?
"Vurria essiri" nasce qualche anno fa da un divertissement fra Francesco e Carmelo, il testo di quello ad emulare, come ben ricordavi, un tòpos tipico della tradizione orale del Sud Italia, la musica di quest'ultimo a trasportare il tutto in ambiente ellenico, con quell'incedere in 5/4 in una regolarissima asimmetria, con la "trina" della chitarra e dell'oud. Poi però, l'esigenza di trarre il brano dal novero dei meri "esercizi di stile": e sono nate quell'intro da "punk-islam", complice anche Arnaldo, e l'urlo squarciante centrale, un disvelamento contemporaneo che rompe il quadro dell'arcadia iniziale. Poi, un finale che è un ritorno a
casa, in un'altra sponda mediterranea.

Uno strumentale è il commiato con il friscalettu in primo piano. Quale la genesi di questo motivo e come mai è messo in chiusura? 
Abbiamo immaginato la scaletta dell'album come un itinerario che si snoda fra vari punti salienti del discorso che abbiamo voluto costruire con Siculo. Pensiamo che sia un discorso organico, perché tocca aspetti fondanti della poetica di Unavantaluna: l'identità, l'amore, il sogno, la terra, il mare, il convivere civile. Concludere l'album con "Mia Pace" per noi rappresenta il ritorno all'aspetto più importante: la musica in sé, al di là del testo, della lingua e delle parole. Pensiamo che possa essere un itinerario seducente ma anche difficile, e chi ascolta il disco può con "Mia Pace" librarsi in un volo defaticante sulle note del flauto di canna. Il ritorno alla ragione più pura del suono popolare.

Dove si dirigono Unavantaluna?
Dopo vent'anni di musica insieme, e dal momento che non siamo degli esordienti, pensiamo che tutto ciò di buono che possa arrivarci sia una benedizione e lo accogliamo con gioia ed entusiasmo. In questo momento siamo molto entusiasti di questo nuovo lavoro! Ci auguriamo che tante, tante persone vogliano ascoltare il disco e assistere ai nostri concerti. E siamo pronti a farne tanti, con lo spirito di sempre: prima la musica, prima le persone, prima l'incontro. Questa è la via maestra e ovunque ci porterà, ne saremo felici!


Ciro De Rosa

Unavantaluna – Siculo (Baracca & Burattini, 2023)
Arriva a corollario di una ricorrenza doppia- i vent’anni dall’esordio ed i dieci dall’ultimi disco di inediti, il ritorno degli Unavantaluna, storico ensemble siciliano fondato da Carmelo Cacciola (voce, lauto cretese), Pietro Cernuto (voce, zampogne e friscaletti), Luca Centamore (voce, chitarre) e Francesco Salvadore (voce), cui si è aggiunto ormai da tempo l’ottimo Arnaldo Vacca (voce, percussioni), che di “Siculo” – questo il titolo, quantomai programmatico, che accoglie il ritorno dei nostri – ha anche curato la produzione. Album aperto da “L’eco di Stromboli” e dai fumi di un’introduzione strumentale che ben incastra chitarra e lauto cretese, che finiscono per infrangersi su un pattern ritmico sabbioso e sollevarsi in volo con il solo della zampogna. A seguire, una “Senza paroli” che si srotola lungo il morbido strumming della chitarra acustica, adagiato sulle dune sinuose scalate dalle percussioni e dinamizzato dai fraseggi del friscaletto. “Mi n’annai” si colora di Nord Africa, lasciandosi trascinare da un incedere secco e pastoso, scandito dalle visioni torride del lauto e da zampogne ventose. “Canto Siculo” è scandita da una elegante linea di lauto, sostenuta dalle percussioni e dal marranzano, ed aperta dalle incursioni di zampogna e friscaletto. Giro di boa del disco è una “Kukla Za” madida di elettricità, con il levare blueseggiante della chitarra a sostenere gli interventi del friscaletto. Si prosegue con la rivisitazione di “Oh nici”, intenso brano della tradizione siciliana, qui segnato dai fraseggi densi del lauto e dagli arpeggi dolenti della chitarra acustica, adagiati su una figurazione ritmica polverosa. “Stidda disiata” scorre lungo i timbri ferrosi della chitarra acustica, in un clima a tratti onirico, perfettamente sottolineato dalle armonizzazioni delle voci. Anche “Scuta a mia”, complice l’apertura affidata a un friscaletto vellutato, è permeata da un afflato quasi crepuscolare, splendidamente dipinto dalle percussioni minimali che accolgono il solo elettrico della chitarra che finisce per accendere la dinamica. “Vurria essiri” è, nel suo cantato antico e stanco ad un tempo, uno dei momenti più interessanti del lavoro: un pianoforte a distillare note eteree, le corrosioni di una chitarra elettrica a creare tensioni ed un brano che apre ad un dolce sciogliersi di friscaletto, adornato da percussioni arabeggianti. A chiudere il disco ci pensa “Mia pace”, uno strumentale denso di brezza marina e scandito dall’ondeggiare sinuoso del friscaletto. In conclusione, il ritorno della “Cumpagnia di Musica Siciliana” coincide con un lavoro ispirato, profondamente radicato nei suoi luoghi d’origine non solo sotto l’aspetto delle soluzioni d’arrangiamento e della ricerca sonora, quanto – ancora di più – nella sua potenza espressiva, nel suo lirismo quasi neorealista, nel suo gusto primitivo per il racconto di storie secolari, eppure mai datate.  


Giuseppe Provenzano


Foto di Roberta Gioberti (4, 5, 6), Pietro Previo (9), Marc A. Deckers (10)

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