Iosonouncane & Paolo Angeli – Jalitah (Tanca Records/AnMa Productions, 2023)

È un lavoro geograficamente vicino e concettualmente lontano, quello che Paolo Angeli, superbo e visionario chitarrista, e Iosonouncane, altrettanto superbo cantautore, compongono nel loro “Jalitah”. Geograficamente vicino perché, già dal nome, che prende in prestito la denominazione araba dell’arcipelago di La Galite, quasi equidistante fra Tunisia e Sardegna, si dimostra figlio indivisibile della terra dei suoi compositori. Concettualmente distante perché, francamente, da due artisti del genere è abbastanza difficile aspettarsi musica poco nomade. Ne viene fuori un disco live (tutto parte, difatti, dal tour teatrale che i due musicisti portarono in scena nel 2018), fatto di assenze e presenze, di silenzi assordanti e ombre accecanti, intimo e viscerale allo stesso tempo, in cui le visioni di Incani incontrano e rincorrono le intuizioni di Angeli. Ad aprire il disco troviamo la catabasi disegnata da “Zeidae”, ossea come i pesci da cui prende il nome ed ingoiata dagli abissi dell’elettronica, da cui annaspa un archetto dissonante a scrostare il rame dalle corde della chitarra preparata di Angeli. A seguire, una “Sela” scandita dal crescendo di un’elettronica pastosa, che – inasprita dai pattern della drum machine – si apre ad un incedere tribale, che sfocia negli spastici arpeggi paranoidi di una “Summer on a spiaggia affollata”, torrida e claustrofobica. “Andira”, “montata” anch’essa in coda al pezzo precedente, poggia su una figurazione ritmica abissale, da cui emergono la voce cristallina di Angeli e, per centratissimo contraltare, le artigliate selvagge e ferrose sferrate dalla sua chitarra preparata. “Banco delle ntinelle” si srotola lungo le tracce di un’elettronica quasi lunare, una sorta di kosmische musik riportata a terra da sprazzi di percussioni sabbiose. La nuova veste di “Carne” è, con gli ostinati burrosi della chitarra preparata ad infrangersi su un terso strumming acustico, un piccolo ed assolato gioiellino, che cola, afoso, come un orologio molle. “Galena” è una visione lisergica, in cui synth elastici e collosi soffiano, cavernosi, sugli arabeschi desertici tessuti dalla chitarra. “Giugno” viene inizialmente arsa, in perfetto nomen omen, dagli squarci animaleschi di una chitarra elettrica, ulteriormente stressati dai fraseggi sanguinanti della chitarra preparata, per poi affievolirsi sotto i colpi metallici delle percussioni. A chiudere il disco ci pensa “Nâr”, che si snoda lungo un pattern ritmico muscolarmente tribale, frammentato da schegge di elettronica impazzita. In conclusione, ci troviamo all’ascolto di un lavoro superbo, un vero e proprio sturm und drang musicale in cui le anime (artistiche e non), i vissuti e le ispirazioni di Incani ed Angeli si incontrano e si scontrano, dando vita ad un ibrido psichedelico e delizioso.


Giuseppe Provenzano

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