Sassofonista, compositore e arrangiatore di Syracuse, New York, Sal Nistico mosse i primi passi nell’ambito musicale alla fine degli anni Quaranta imbracciando il sax alto, per passare pochi anni dopo al sax tenore. Approdato al jazz, dopo aver suonato in vari gruppi di rhythm' n' blues della West Coast, entrò nell’orchestra Jazz Brothers dei Fratelli Mangione, dove si fece notare per l’originale approccio stilistico e le doti tecniche da cui traspariva la lezione di Charlie Parker, Sonny Stitt, Sonny Rollins e Gene Ammons. Nel 1962, Woody Harman lo chiamò a far parte della sua orchestra come solista e vi rimase fino al 1965 quando entrò a far parte dell’orchestra di Count Basie. L’esperienza nelle big band gli consentì di maturare e affinare la sua espressività, ma ancor più intensa fu la sua prima esperienza in Europa al fianco di Don Ellis, Tito Puente e Buddy Rich, inframezzata dal ritorno nell’orchestra di Herman tra il 1966 e il 1970. Seguirono ancora le collaborazioni con Slide Hampton nel 1972 e con Benny Bailey nel 1978 e quella con National Jazz Ensemble di Chuck Israel. A metà degli anni Settanta, tornò ancora in Europa, fermandosi a Roma dove suonò per qualche tempo al leggendario Music Inn in Largo Dei Fiorentini, storico club fondato da Pepito Pignatelli. Parallelamente, diede alle stampe anche alcuni album a suo nome nei quali è possibile cogliere tutta l’intensità del suo sax tenore nel rileggere, accompagnato da formazioni ristrette, un repertorio composto in larga parte da standards. A partire dagli anni Ottanta, prese a frequentare sempre con maggiore intensità l’Europa, fino a trasferirsi in Svizzera da dove raggiungeva con facilità anche l’Italia dove cominciò ad esibirsi con regolarità. Durante uno dei tour nella nostra penisola entrò in contatto con il bassista romano Marco Fratini, all’epoca al fianco dell’indimenticato Massimo Urbani, e con lui ottenne un ingaggio di due mesi al Bird Lives Club di Latina all’inizio del 1988. La naturale evoluzione di quella collaborazione fu il disco “Empty Room”, inciso nell’arco di una session di tre ore presso il Soundvideocat Studio di Roma con la partecipazione del padrone di casa Roberto Gatto (batteria) in quegli anni impegnato con i Lingomania e una giovanissima Rita Marcotulli (pianoforte) a completare un quartetto eccezionale. I quattro strumentisti si ritrovarono, così, a suonare insieme per la prima volta e, nonostante le diversità di formazione e background artistico, trovarono subito il comune denominatore nella medesima visione del jazz e della ricerca sonora.
I brani, scelti personalmente da Sal Nistico, furono registrati in clima rilassato con il sax di quest’ultimo ad indirizzare le diverse esecuzioni sollecitando le parti solistiche e gli spaccati improvvisativi. Fu quello uno degli ultimi dischi del sassofonista americano che, solo tre anni dopo, morì prematuramente a causa di un overdose da eroina. A distanza di trentaquattro anni dalla sua pubblicazione “Empty Room” è stato recentemente ristampato dalla Red Records in una nuova versione rimasterizzata dai nastri analogici originali ad opera di Alessandro Cutolo e corredata dalle illuminanti note di copertina di Marco Giorgi. Riascoltato oggi, l’album si svela in tutto il suo fascino facendoci apprezzate l’intensità dell’interplay tra il sax tenore del musicista americano e il pianoforte della Marcotulli, sostenuto dalle architetture ritmiche del basso di Fratini e della batteria di Gatto. Ad aprire il disco è sua superba “Come Rain Or Come Shine” con il pianoforte a guidare la trama melodica in cui entra prepotente il sax di Nistico regalandoci un brillante solo. Si prosegue con la sontuosa “Lush Life” che ci regala otto minuti di musica da togliere il fiato con il sax e il pianoforte che dialogano e si scambiano i ruoli nell’esposizione del tema fino a giungere al finale denso di lirismo. L’inquieto bop di “Inner Urge” Joe Henderson con il quartetto che nel segmento centrale si lancia in una scorribanda sonora travolgente, ci introduce alla title-track, unico brano firmato dal sassofonista americano e qui proposto in una raffinata versione in cui giganteggia il sax. La brillante rilettura di “I Should Care” e l’omaggio a Charlie Parker con “The Hymn” completano un disco forse poco noto al grande pubblico, ma che documenta un momento storico importante per la scena jazz italiana. Erano anni di frequentazioni intense tra i musicisti di casa nostra e i colleghi americani, occasioni preziose di crescita che hanno gettato le basi per la scena degli anni a venire, formando una generazioni di straordinari talenti. Onore al merito alla Red Record per aver riportato alla luce questa perla attraverso una rimasterizzazione accuratissima che illumina di luce nuova le note cangianti del sax di Sal Nistico.
Salvatore Esposito
Tags:
Suoni Jazz