Brigan – Liburia Trip (Liburia Records, 2023)

#BF-CHOICE

Confini sonori labili compongono l’impianto narrativo di “Liburia Trip”, quinto lavoro dei Brigan, pubblicato a cinque anni di distanza da “Rúa San Giacomo”, , un album in cui l’evoluzione compositiva del gruppo campano – che nel frattempo nel 2019 ha conquistato il premio internazionale “Pentafinium Jacobeo” in Spagna e nel 2022 quello di “Ethnos Generazioni”, sezione giovani del vesuviano Festival Ethnos – conserva il tratto ritmico e l’espressione canora del basso casertano, fatti convivere con timbri provenienti da diverse tradizioni musicali: dalla Galizia all’Armenia, dalla Grecia all’entroterra casertano, assemblando canzoni e strutture meno liriche, in cui si innestano field recordings e tessiture elettroniche di matrice noise e glitch con una volontà di mettere al centro l’elemento della trance. 
“Liburia” rimanda al nome che antiche popolazioni avevano dato a quell’ampia e fertile “terra felix” che un tempo si estendeva dall’area nord di Napoli fino agli odierni Basso Lazio e Molise, zona geografica fortemente segnata dalle attività di produzione della canapa e del tabacco, dall’allevamento delle bufale, dalla ritualità devozionale. Quello dei Brigan è un viaggio da loro stessi definito “onirico”, che ingloba “elementi, simboli e rituali dell’antico territorio casertano; riportandoli nell’attualità”. Una composita, ardita e inedita opera di decostruzione e di forma elaborata, un sorprendente intrecciarsi di passato e presente, ben lontano dagli orizzonti del revivalismo folk e pure di certo nu-folk regionale di impronta cantautorale. I Brigan sono Francesco Di Cristofaro (voce, fisarmonica, gaita galiziana e sanabresa, pito pastoril, ocarina, doppio flauto, flauto traverso, duduk, punteiro, baglama, tzouras, bouzouki e mandolino), Andrea Laudante
(electtronica, field recordings, synth, theremin, piano, hammond, Rhodes e cori), Gabriele Tinto (pandereta, tammorra, tamburello, marranzano, castagnette e cori), con la collaborazione di Luca De Simone (tammorra, botte, tino, falci, putipù e oggetti sonori) ed ospiti il cantante norvegese Torger Vassvik, la storica voce locale Cecchinella, Peppe Frana al tarhu (un cordofono pizzicato o sfregato con l’archetto, sviluppato da un costruttore australiano nell’ultimo scorcio del Novecento, unendo nel nome e nella foggia aspetti dell’erhu cinese e del yaylı tambur turco, ma anche di altri strumenti di area indiana e iranica) e un trio d’archi, composto da Francesca Masucci al violino, Roberto Bianco alla viola e Pasquale Termini al violoncello. 
Azioni di resistenza culturale, che si instradano non solo nei progetti discografici, ma nell’azione ad ampio raggio di Liburia Records, label e factory culturale. Ne discutiamo con il front man Francesco Di Cristofaro, ricercatore, compositore, versatile polistrumentista viaggiatore, tra più corteggiati nel panorama musicale campano.

Come si è sviluppato il cammino che conduce a “Liburia Trip”? 
È il frutto di questi ultimi anni di lavoro, studio e ricerca verso un linguaggio sia sonoro che narrativo sempre più ibrido. A partire dal 2009 i nostri dischi hanno cercato di avere un filo conduttore: quello dell’incontro tra culture, suoni e lingue diverse. Dopo aver toccato gran parte delle musiche e dei repertori dell’area celtica, ed in particolare modo della parte nordica della Penisola Iberica, “Liburia Trip” segna un
ritorno a casa, alla nostra terra e alle nostre radici, con una prospettiva e uno sguardo personale senza nessuna pretesa di carattere filologico ed etnomusicologico. Non è musica tradizionale del casertano e nemmeno una riproposta, è semplicemente una nostra visione attuale di questo territorio e di chi lo abita, non tralasciando il nostro background culturale/musicale sia individuale che di gruppo.

Il basso casertano: che terra è (o è stata) sul piano linguistico e musicale? 
Sicuramente tutto il territorio riguardante Terra Felix è stato nei secoli ricco di elementi ed aspetti linguistici, musicali e paesaggistici. Il grande mosaico che oscilla tra mondo rurale ed urbano ruota inevitabilmente attraverso ad alcune questioni: mi viene da pensare al Volturno, all’allevamento di Bufale, all’agricoltura e alla ricchezza che la produzione di canapa ha donato per lunghi decenni a questo territorio. Chiaramente intorno a queste tematiche le comunità locali hanno sviluppato come in tutte le tradizioni dei repertori e delle modalità di suonata e di canto molto identitarie e caratteristiche. 

Cosa resta della cultura contadina in una realtà trasformata dall’urbanizzazione e, purtroppo, anche dalla devastazione del territorio? 
Nonostante il grande processo di urbanizzazione dove la campagna cede sempre più terreno al cemento, restano vivi gli ultimi brandelli di un modo antico e di una modalità di vivere la tradizione nel presente. Sono tangibili, soprattutto in alcune aree dell’agro aversano e del litoraneo domitio, ma non solo, i rituali
legati al mondo devozionale, e quelli che ruotano intorno ad eventi che legano le comunità a forti simboli e dinamiche culturali interne: su tutte mi viene da pensare alla settimana santa, al mondo relativo ai bottari e ai vari rituali legati al carnevale.

Come si può delineare un’immagine del mondo tradizionale, anche musicale, senza sfociare nel passatismo, nella nostalgia?
Il mondo antico è ricco di molteplici aspetti socio-culturali, linguistici e musicali che il continuo “progresso” sta spazzando via dando vita a nuove dinamiche comunitarie, nuovi processi e nuovi linguaggi. Il nostro sguardo sul passato, che è defluito in “Liburia Trip”, non è di tipo nostalgico, ma è semplicemente un osservare e testimoniare un processo inevitabile e continuo.

Come si è sviluppato questo lavoro sul piano creativo?
L’idea principale è stata quella di partire da un contenitore nel quale abbiamo inserito alcuni tra i diversi aspetti tematici riguardanti Terra Felix, toccando a più tappe elementi, simboli e rituali dell'antico territorio del casertano. Parallelamente le ricerche e le indagini sul territorio, soprattutto quello atellano, ci hanno spinti ad utilizzare materiali sonori, registrazioni ed interviste sul campo, sia d’archivio sia svolte in prima persona, il tutto sviluppato in maniera simbiotica con il nostro personale rapporto con il territorio, le storie, i ricordi e racconti d’infanzia. Nella stesura della parte testuale abbiamo cercato di usare diverse forme, alcune più vicine alla forma canzone come nel brano “’A Terra de Mazzune”, “Gira” e “A Maria”,
ed altre più aperte, legate alla ripetizione ostinata di frasi e concetti come nel brano “Magna” e “Primavera”. L'idea era quella di utilizzare diverse forme, anche molto distanti tra loro, inglobandole in un unico grande box, proprio a rispecchiare la complessità, la durezza ed al tempo stesso la bellezza di questo nostro territorio. 

Il canto ha una maggiore centralità in questo disco rispetto al passato? Penso proprio ad alcune composizioni che hai citato: ‘A Terra de Mazzune’, al singolo ‘Gira’ e ‘A Maria’.
La struttura narrativa in questo disco ha un peso abbastanza decisivo. Abbiamo cercato di dare spazio alla parola e al racconto attraverso otto tracce inedite, scritte in maniera corale da tutti gli elementi del gruppo, più due rielaborazioni di episodi di ieri: la “Chiagnuta ‘e Carnevale” tipica della zona di Marcianise, e il canto alla carbonara “Primavera” di Pietramelara, raccolto al tempo dal maestro Roberto De Simone e pubblicato nel 1979 nei suoi “Canti e tradizioni popolari in Campania”.

Due degli ospiti, Torgeir Vassvik e Cecchinella, appartengono a mondi lontani, cosa li accomuna? 
In “Liburia Trip” abbiamo avuto il piacere di avere tra gli ospiti due grandi esponenti di tradizioni lontane e molto radicate. Checchinella, che ha interpretato la classica “Chiagnuta ‘e Carnavale”, è una delle ultime voci della tradizione del basso casertano, mentre nella traccia “Mater Matuta” abbiamo avuto il grande privilegio di avere un canto tradizionale eseguito da Torgeir Vassvik, il maggior ambasciatore della cultura Sami, l’antica tradizione musicale del nord della Norvegia e di altri Paesi scandinavi. Da un lato la scelta
di Cecchinella è stata quella di portare una voce identitaria della nostra tradizione e rileggerla alla nostra maniera, mentre con Vassvik, che abbiamo conosciuto durante il Womex 2021 e con il quale è nata da subito una forte amicizia, abbiamo trovato un terreno comune sul modo di fare ricerca e sul modo di ricreare, nel presente, mondi e tradizioni che stanno cadendo nell’oblio.

Il fascino del nord iberico non lo avete messo da parte: cosa vi prende di quella realtà musicale? 
Dopo lunghi anni di viaggi, collaborazioni ed incontri attraverso la musica iberica è difficile distaccarsi del tutto da quel mondo musicale e sonoro che ormai è entrato in maniera decisiva e quasi indelebile nel nostro sound personale e di gruppo. Sicuramente alcuni elementi legati alle musiche rurali, soprattutto della zona della Sanabria, ed alcune aree di Castilla y Leon, sono molto vicine ad alcuni aspetti della tradizione del tamburo e del canto del nostro meridione e le abbiamo quindi riportate con grande piacere anche nel processo creativo che ha delineato “Liburia Trip”.

Come accennavi prima, l’estetica di “Liburia Trip” supera i canoni del revival folk campano, ma in che misura si colloca rispetto a ipotesi di commistioni tra elettronica e musiche tradizionali? 
Dal punto di vista estetico, abbiamo cercato di creare un mondo ibrido e personale, frutto anche della diversa estrazione musicale dei singoli componenti del trio, che punti ad una riconoscibilità chiara. Per noi questo disco va a porsi completamente lontano dalle attuali estetiche di "contaminazioni" tra elettronica e musiche tradizionali. Mantenendo intatto il nucleo legato alle ritmiche e alle forme di canto arcaico del
casertano, le ramificazioni sonore che si sono sviluppate nel corso del processo creativo attraversano le voci, i suoni e gli strumenti provenienti da diverse tradizioni musicali, non solo italiane, con diversi linguaggi legati all'uso dei nuovi media; dai vari soundscape registrati sul campo fino a matrici più noise, glitch e techno. L'idea di fondo era quella di creare un suono completamente borderline in cui la linea espressiva oscillasse tra tradizione e presente senza cadere troppo nell'uno o nell'altro. In questo disco abbiamo dato grande spazio a questioni legate all’ambiente e alla natura. Da abitanti di questi luoghi, abbiamo osservato come negli anni le problematiche sociali e politiche ed il lungo processo di urbanizzazione e cementificazione abbia letteralmente divorato quella che era definita "Terra Felix", tramutandola in quella che tutti conosciamo come "Terra dei Fuochi". In “Liburia Trip” abbiamo cercato di mettere da parte le complessità e le difficoltà del vivere tra periferia e degrado, focalizzando il messaggio sul ridare luce alla grande bellezza, storia e fertilità di questa terra: il tutto non in maniera museale e da riproposta della tradizione ma creando, a partire dal passato e dalle radici, un nuovo universo narrativo e sonoro, in cui rituali, simboli e personaggi convivono con il presente, i nuovi media e l'elettronica. Con “Liburia trip” proviamo a far nascere qualche fiore dal cemento, attraverso una resistenza culturale che portiamo avanti da diversi anni, con la nostra musica ed il nostro modo di vedere il mondo.

Chi sono i numi tutelari nel vostro percorso estetico-musicale?
Le fonti da cui abbiamo attinto per la realizzazione di questo progetto ricalcano diversi linguaggi, epoche ed esperienze diverse. Senza dubbio nel nostro background, personale e come gruppo, emerge la passione e lo studio dei grandi pilastri dell'etnomusicologia italiana; da de Martino a De Simone, passando per la poesia dialettale, non per forza campana, come ad esempio le opere di Rocco Scotellaro, fino al cinema di Pier Paolo Pasolini, con il suo sguardo sulle periferie, sul mondo antico e sugli emarginati. Musicalmente le influenze che abbiamo riversato in “Liburia Trip” provengono da diverse matrici, dalla musica elettroacustica e sperimentale fino alle varie ramificazioni della world music: da Antonio Infantino a Rodrigo Cuevas.

Liburia è una factory di produzione che si muove su più fronti musicali: ce ne parli? 
Nel 2019, quasi a ridosso del periodo pandemico, insieme a Gabriele Tinto e dopo anni di idee e pensieri a riguardo, abbiamo deciso di dar vita a “Liburia Records”, un grande contenitore di produzione discografica sviluppato su due cataloghi: Liburia World, legato alle diverse ramificazioni di World Music e Liburia Experimental legato alle musiche non convenzionali, elettroacustica ed elettronica. 

Cosa vi ha spinto ad intraprendere questa attività in una fase di profonda trasformazione della fruizione musicale?
L’idea è stata quella di portare sul nostro territorio, sempre più spento e complesso, un polo produttivo 
che abbia come focus centrale la ricerca di progetti con una forte e ben delineata identità, sia sonora che concettuale. Ad ora abbiamo un catalogo che ruota su una decina di lavori ed altri in via di uscita questa primavera. Chiaramente in fase di produzione bisogna tener presente del grande cambio di fruizione legato al mondo musicale, cercando di muoversi in maniera camaleontica e trovando la giusta via tra fruibilità, identità e qualità.

Cosa bolle nella pentola sonora di Brigan e nei tanti progetti in cui sei coinvolto? 
Con Brigan stiamo valutando l’idea di pubblicare il prossimo inverno “Liburia Trip” in vinile, in edizione limitata con delle tracce e dei contenuti extra, sia fotografici sia audiovisivi. Parallelamente porteremo il disco live quest’estate con dei concerti che verranno annunciati a breve sui nostri canali social.


Brigan – Liburia Trip (Liburia Records, 2023)
“La luce che piove su queste anime è quella, ancora, del vecchio meridione, l’anima di questa terra è il vecchio fango”: nel booklet, la citazione pasoliniana in epigrafe descrive l’anima del basso casertano e fa da sfondo alle architetture mutevoli e ardite che sostanziano le dieci tracce, di cui otto inedite, elaborate in forma corale dal trio Di Cristofaro, Tinto e Laudante. In copertina campeggia uno “scalillo”, vale a dire lo scaletto tradizionale di campagna utilizzato per la raccolta dell’uva degli alti vitigni di Asprinio dell’area casertana, mentre nel retro la falce rimanda simbolicamente al lavoro contadino. L’avventura musicale di “Liburia Trip” è aperta da “La Scure” una composizione che ben rappresenta la natura della ricerca, della sperimentazione che fa incrociare svariati linguaggi sonici e narrativi. Il brano inizia con il soffio acuto del punteiro, su un bordone di synth e tintinnio di campanacci, per svilupparsi in stratificazioni sonore, appoggiate su un ritmo di tammurriata, che includono field recordings raccolti nelle zone di Villa di Briano, Frignano e Casal di Principe (la voce di un cantatore e i versi di animali) e un frammento di voce narrante dell’artista Souroush Norouzi, tratto da un suo lavoro su Tarkowsky. Fisarmonica e gaita conducono la melodia, mentre il canto di Di Cristofaro riprende il testo che si riferisce alla lotta e alla resistenza. Seguono le trame fascinose ed ipnotiche, vagamente pop, di “Gira” per voce, duduk, bansuri, tammorra, batteria ed elettronica. Le serrate movenze danzanti dello strumentale “Alborada/Asprinio” ripropongono la fertile fusione tra il ballo tradizionale gallego, siamo dalle parti del Rio de Onor sul confine tra Spagna e Portogallo, e il mondo popolare atellano simbolicamente rappresentato dalla coltivazione del vitigno Asprinio. Si staglia “’A terra de Mazzune”, in cui lo sguardo si rivolge alla fertile piana estesa tra il fiume Volturno e il Lago Patria, da secoli centro dell’allevamento delle bufale, dal cui latte proviene l’oro bianco: la mozzarella. Una melodia iterativa ammanta “E dopp n’anno”, dove scorre il filo della memoria attraverso la testimonianza vocale di Gennaro Montesanto, un vecchio abitante di Sant’Arpino, scomparso qualche anno fa, il quale racconta di altri tempi e delle piantagioni di canapa di questo territorio, dominato dal verde e dal silenzio. Sulle stesse atmosfere elettroniche fluttuanti e non prove di una certa solennità sacrale procede “Mater Matuta” (l’antica divinità italica dell’aurora e della nascita) dove entrano la voce di Torgeir Vassvik, artista sami norvegese, anch’egli innovatore e sperimentatore del canto joik, e il trio d’archi (violino, viola, violoncello). Confluiscono aerofoni, plettri ed elettronica nella vorticosa danzante ciclicità di “Magna”. “Chiagnuta ‘e Carnevale”, invece, riprende il modulo della lamentazione rituale per la morte simbolica del Carnevale: si tratta di un motivo della zona di Marcianise nel quale ascoltiamo la voce aspra della cantatrice Cecchinella, tra le ultime testimoni della cultura orale locale. Procedendo, “Primavera” prende spunto da un canto di lavoro “alla carbonara” di Pietramelara, raccolto da Roberto De Simone nella metà degli anni Settanta. Un frammento di una banda di fiati processionale apre il tema devozionale “A Maria”, la cui suggestiva e sottile melodia portata dalla voce scura di Di Cristofaro e sul piano strumentale guidata dal flauto, con sorvegliati tocchi contrappuntistici di piano, vibrazioni struggenti del theremin e fraseggi asciutti del tarhu chiude il consapevole cammino ibridato e visionario nelle terre di Liburia. In cima.


Ciro De Rosa

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