RadioSabir – Cunti e mavarii pi’ megghiu campari (Dcave records, 2023)

È una “non opera prima”, questo “Cunti e mavarii pi’ megghiu campari”, album che segna il ritorno-esordio dei catanesi RadioSabir. Parlo, lasciando una voluta confusione sul tema, di “non opera prima” e di “ritorno-esordio” perché il collettivo capitanato da Daniele Grasso (chitarre, basso elettrico, synth bass, sintetizzatori, voce e cori, suoni e rumori), Peppe Scalia (batteria, percussioni,e cori), Umberto Arcidiacono (percussioni, fisarmonica, marranzano e cori), Elisa Milazzo (voce e percussioni) e Chiara Dimauro (voce) è una vecchia conoscenza del mondo discografico, solo con un nome diverso. RadioSabir nasce, infatti, dalle ceneri – se così vogliamo definirle – dei NiggaRadio, gruppo con alle spalle tre album. A spiegare il cambiamento del nome, ci pensa la stessa band: “Noi siamo ora RadioSabir, ma il nostro nome era NiggaRadio e ne eravamo orgogliosi, noi siciliani, “Nigga” d’Europa. Ma sono tempi strani questi e a volte l’involucro sembra più forte della sostanza e quel nome urtava, feriva diverse sensibilità, cosa che non volevamo. Decidiamo quindi di lasciare cadere il nome che ci ha accompagnato e rappresentato in questi anni e di diventare RadioSabir”. Ecco, (ri)fatte le dovute presentazione, è il momento di lasciar parlare la musica. Ad aprire le danze ci pensa “Na buttigghia di vinu”, scandita da un incedere ritmico sabbioso, graffiato di elettricità dagli interventi della chitarra e dagli ostinati ferrosi del marranzano. A seguire, “’U Ferru” è segnata da una muscolare linea di basso, aperta dai riff della fisarmonica e inacidita dai fraseggi nervosi della chitarra elettrica. Anche “Voodo med” si srotola lungo dinamiche rese quasi industriali da schitarrate al fulmicotone, bassi saturi e un pattern di batteria ossessivo ed asfissiante. “Ci voli tempu” si accende di un funk-rock dritto ed incisivo, con un basso a vorticare groove ed un paio di momenti strumentali a spegnere solo momentaneamente la tempesta di sabbia create dal pezzo. Le tensioni tribali di un disegno ritmico assatanato colorano “Ma cchi fai (ayaya)” e la sua linea di basso delirante, contrappuntata dagli arabeschi della chitarra elettrica. Altro passaggio molto ben riuscito è “’U munnu sta cangiannu”, che segue le trame polverose di un blues desertico, con una chitarra renosa a comandare le operazioni. “’A rivoluzioni un si fa chi’ social” poggia su una batteria secca e tesa, dinamizzata dalle svisate aride della chitarra elettrica. Segue “Iarrusa”, ultimo brano a nome NiggaRadio, attraversato da un andamento ritmico forsennato, innervosito da un’elettronica ruvida e da schitarrate dall’animo funk ma dal sapore industrial. “10600 iorn” si presenta come un arido blues sventrato dalle incursioni dell’armonica e da schitarrate elettriche cattive come tempeste di fulmini ed affilate come lame. Penultimo momento del disco è “E resta ‘cca” (prima canzone a firma RadioSabir, scritta insieme al rapper Dinastia), trascinata da uno schema ritmico infuocato e da una pasta sonora ostinata e fulminante. A chiudere l’album ci pensa “Seggia sghemba”, che abbraccia le trame di un blues cupo e saturo, con una chitarra a spargere nervi elettrici, un basso a regalare groove ed una fisarmonica a calmare le acque. Nel complesso, ci troviamo di fronte ad un lavoro decisamente interessante, figlio di una commistione stilistica che, soprattutto negli ultimi anni, è riuscita a dare una linfa del tutto nuova al folk siciliano e che, anche in questo caso, non è da meno. La voce penetrante di Chiara Dimauro, poi, fa da perfetto megafono al messaggio, radicato eppure meticcio, di un gruppo che viaggia, ostinatamente, di Sud in Sud, dal Simeto al Mississippi, parlando l’unica lingua veramente universale, quella della musica. 


Giuseppe Provenzano

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