Musiche Sacre: ponti per vivi e defunti

I nuovi inni religiosi composti in latino e nel nativo irlandese antico, non vedevano sacrificato né ritmo né metrica, la loro combinazione produsse nel corso del VI secolo innumerevoli e incantevoli tesori artistici, quelli sopravvissuti oggigiorno ce lo possono appena testimoniare. Dal non aver rifiutato a priori i fenomeni pagani, le canzoni religiose cristiane ne guadagnarono enormemente. I lamenti funebri, riservati a donne poetesse prefiche (keeners), ingaggiate dalla famiglia del defunto e professioniste profondissimamente appassionate, erano melopee composte in un sistema metrico chiamato “rosc”.  Venivano intonate durante le veglie, quando l’anima si trovava ancora accanto alla salma appena spirata e permettevano di sprigionare tutta la loro notevole carica emotiva, talmente pregna di coinvolto fervore che in qualche caso perfino la Santa Vergine veniva dipinta come una keener. Una formidabile e cupa veglia funebre in ballata (wake song), lirica più che narrativa (proveniente dal folk inglese e contenente arcaiche forme scritte dialettali dello Yorkshire) è “Lyke-Wake Dirge”. Narra attraverso il simbolismo sia cristiano che precristiano, il viaggio dell’anima di un defunto attraverso i pericoli che incontra tra Terra e Purgatorio. Quest’anima dapprima entra in una brughiera spinosa e quindi, come da tradizione nord-europea, oltrepassa un ponte pauroso, insicuro e oscillante, col rischio continuo di sprofondare nel fuoco infernale per l’eternità. Per inoltrarsi nella prima occorre la protezione di stivali che può possedere solamente chi è stato generoso in vita e ha offerto conforto ai bisognosi che ha incontrato. Per non cadere dal ponte nell’abisso si deve invece esser stati caritatevoli nel donare agli altri da bere e da mangiare, più che il proprio oro e il proprio argento. "Lyke" è una parola oggi obsoleta che significa “cadavere”, sopravvive nella lingua inglese il termine “lychgate” che identifica il cancello d'ingresso del cimitero, dove anticamente la salma veniva riposta prima dell’imminente sepoltura. La versione della canzone più conosciuta è quella dei Pentangle che, nel 1969, elaborarono l’arrangiamento a cappella di una interpretazione di tre anni prima. Si trattava di quella, ancora più inquietante, ad opera di The Young Tradition dei precursori Peter Bellamy, Royston Wood and Heather Wood, all’interno della quale due delle parti vocali si muovevano in quinte parallele. Nei concerti
del 1970 anche gli Steeleye Span proponevano questo canto per sole voci nei loro concerti pur avendola registrata ufficialmente solo nel 2002 ma perfino Igor Stravinsky ebbe in precedenza ad utilizzarla. Il testo funebre originale si trova in un manoscritto del 1686, dell’antiquario-letterato John Aubrey (anche fisico, pittore, naturalista e membro della Royal Society britannica). Le descrizioni che vi appaiono provengono dalla Scozia e dal nord dell’Inghilterra, per arrivare fino a sud dello Yorkshire, mentre l’idea del pericoloso viaggio dell’anima contiene numerosi parallelismi con la tradizione indoeuropea. Non vi è alcuna certezza se questa nenia funebre venisse cantata o recitata, in assenza di un’aria nel repertorio popolare inglese, la melodia della Young Tradition (e quindi dei Pentangle) fu loro fornita dall’informatore Hans Fried che a sua volta l’aveva ascoltata molti anni prima da un’anziana donna scozzese di nome Peggy Richards.
This ae nighte, this ae nighte,
Every nighte and alle,
Fire and fleet and candle-lighte,
And Christe receive thy saule.
When thou from hence away art past,
Every nighte and alle,
To Whinny-muir thou com'st at last;
And Christe receive thy saule.
If ever thou gavest hosen and shoon,
Every nighte and alle,
Sit thee down and put them on;
And Christe receive thy saule.
If hosen and shoon thou ne'er gav'st nane
Every nighte and alle,
The whinnes sall prick thee to the bare bane;
And Christe receive thy saule.
From Whinny-muir when thou may'st pass,
Every nighte and alle,
To Brig o' Dread thou com'st at last;
And Christe receive thy saule.
From Brig o' Dread when thou may'st pass,
Every nighte and alle,
To Purgatory fire thou com'st at last;
And Christe receive thy saule.
If ever thou gavest meat or drink,
Every nighte and alle,
The fire sall never make thee shrink;
And Christe receive thy saule.
If meat or drink thou ne'er gav'st nane,
Every nighte and alle,
The fire will burn thee to the bare bane;
And Christe receive thy saule.
This ae nighte, this ae nighte,
Every nighte and alle,
Fire and fleet and candle-lighte,
And Christe receive thy saule.
Questa notte, questa notte
Ogni singola notte
Calore, conforto della casa e lume di candela
E Cristo riceva la tua anima
Quando da qui sarai andato via 
Ogni singola notte
Alla brughiera di spine arriverai infine
E Cristo riceva la tua anima
Se hai sempre offerto stivali e scarpe
Ogni singola notte
Mettiti seduto e calzale 
E Cristo riceva la tua anima
Ma se non desti mai stivali e scarpe  
Ogni singola notte
Le spine trafiggeranno i tuoi piedi nudi
E Cristo riceva la tua anima
Ma se non desti mai stivali e scarpe    
Ogni singola notte
Le spine trafiggeranno i tuoi piedi nudi
E Cristo riceva la tua anima
Anche se hai donato argento e oro
Ogni singola notte
Sul Ponte del Tremore non troverai appiglio 
E Cristo riceva la tua anima
Anche se hai donato argento e oro
Ogni singola notte
Cadrai giù nelle fiamme dell'inferno
E Cristo riceva la tua anima
Se passerai sul Ponte del Tremore
Ogni singola notte
Al fuoco del Purgatorio infine giungerai
E Cristo riceva la tua anima
Se donasti cibo o bevande
Ogni singola notte
Il fuoco non ti farà indietreggiare mai
E Cristo riceva la tua anima
Ma se non hai mai donato cibo o bevande
Ogni singola notte
Il fuoco ti brucerà fino all’osso
E Cristo riceva la tua anima
Questa notte, questa notte
Ogni singola notte
Calore, conforto della casa e lume di candela
E Cristo riceva la tua anima

Ad un certo punto in Irlanda gli avvenimenti storici precipitarono drammaticamente a causa della Grande Carestia (An Gorta Mór) che devastò il paese dal 1845 al 1849 e che costò la morte ad un milione di irlandesi e l’emigrazione di altrettanti. Nel periodo seguente sopravvenne una crescente disapprovazione dei rituali da parte della chiesa ufficiale e riuscì a salvarsi forse solo il culto della recita del rosario. Col tempo però, le carols, che contenevano influenze derivanti dagli inni e dalle ballate, acquistarono crescente popolarità grazie ai Francescani che nel XIII secolo, le importarono dall’originale Francia. Inizialmente si trattava di poesia accompagnata con ritmi di danza ma finirono per designare sempre più componimenti propri relativi al periodo natalizio. La più antica raccolta a stampa fu pubblicata da Wynkin de Worde nel 1521. Queste nuove forme di canto non mancavano mai di evidenziare l’aspetto legato al mistero: la Natività in questo senso era davvero la raffigurazione di un tema formidabile. All’interno delle carols celtiche un’altra tematica spesso ricorrente era quella legata alle numerazioni e ai numeri, il sette in particolare rappresenta quello del compimento. Originariamente deriva dalla tradizione ebraica ma gli Irlandesi del periodo megalitico la consideravano cifra sacra e i Celti si adoperarono per mantenere vivo questo costume. Nello stesso periodo ci furono componimenti anche in totale contrasto tra di loro, quali, ad esempio “Le Sette Gioie della Vergine Maria” o “I Sette Dolori della Vergine Maria”. Il paesaggio di misticismo descritto in queste composizioni celebra tutti gli insoluti misteri della vita, includendovi i
simboli dell’anima celtica. Il nome stesso di Amergim, uno dei mitici filid d’Irlanda e primo a calcare il suolo irlandese nel 2000 avanti Cristo, significava “Concezione dei Canti”. A caratterizzare le carols medioevali irlandesi è soprattutto la presenza di un coro, ognuna di loro contiene inoltre una parte ripetuta dopo ogni strofa, dove può essere possibile la partecipazione anche più di un cantante. Le antiche influenze religiose sono perennemente presenti, prime su tutte le lodi ai doni di fertilità e creatività, cardini delle adorazioni alle antiche deesse del passato. Oggi le “Traditional English Carols” sono entrate nel patrimonio nazionale anglosassone a pieno titolo e nessuno si meraviglia più che la loro origine provenga da altre terre europee. Come nessuno si sorprende se gli accordi musicali che le possono accompagnare abbiano o no a che fare con il Natale o piuttosto con composizioni magari riferibili al violino cajun o alle Marching Band di New Orleans.
Nel mondo musicale della riscoperta del folk inglese contemporaneo, un celebre componimento religioso fu portato al successo dagli Steeleye Span nel 1972 all’interno di “Below the Salt”. Si tratta del celebre inno di nascita a quattro voci “Gaudete”, composto nel XVI° secolo, tratto dalla “Piae Cantiones Ecclesiasticae et Scholasticae”, una raccolta di canti sacri finlandesi/svedesi pubblicata nel 1582. Del brano è stata rinvenuta trascritta solamente la melodia del ritornello, per le strofe invece si è ricorso ad una 
pagina di poco seguente sempre della stessa raccolta. Con tutta probabilità sia le parole che la melodia della voce solista erano risalenti al Medioevo, provenendo quindi da libri liturgici ancora più antichi. Moltissime sono le interpretazioni in contesti sacri e non (una fra le tante). Questo testo latino è un tropo del "Benedicamus Domino" (Benediciamo il Signore) ovvero del saluto che il celebrante rivolgeva ai fedeli al termine della Messa o del Vespro nel periodo natalizio e la cui risposta dei fedeli risultava “Deo gratias” (Rendiamo grazie a Dio). Le parole di lode, in strofe di quattro versi, ciascuna preceduta da un ritornello di due (nel periodo iniziale delle carols inglesi, ciò era denominato “il fardello”), non sono certamente cantate in un latino impeccabile da Maddy Prior, comunque l’effetto emotivo risulta ugualmente efficace:  
     Gaudete, gaudete, Christus est natus
     Ex Maria virgine, gaudete
     Gaudete, gaudete, Christus est natus 
     Ex Maria virgine, gaudete 
Tempus adest gratiae, hoc quod optabamus 
Carmina laetitiae devote redamus 
Deus homo factus est natura mirante 
Mundus renovatus est a Christo regnante 
Ezechielis porta clausa per transitur 
Unde lux est orta salus invenitur 
Ergo nostra cantio psallat iam in lustro
Benedicat domino salus regi nostro 
     Rallegratevi, rallegratevi, Cristo è nato
     Dalla vergine Maria rallegratevi 
     Rallegratevi, rallegratevi, Cristo è nato
     Dalla vergine Maria, rallegratevi 
È giunto il tempo della grazia tanto attesa
Innalziamo devotamente canti di gioia
Dio si è fatto uomo per natura meravigliosa
Il mondo è stato rinnovato dal Cristo regnante 
Oltrepassato il cancello chiuso di Ezechiele
Da dove è sorta la luce, si trova la salvezza 
Cantiamo quindi in tempo di purificazione 
Benedici il Signore, saluta il nostro Re 


Ancora più recentemente, anche una composizione contemporanea, gotica e originale come “Cantara” 1 ad opera dei Dead Can Dance percepisce a pieno titolo il senso figurato delle arcaiche melodie di preghiera. Introdotto dall’ipnotica cetra pizzicata di Brendan Perry e dal piccolo yang ch’in di Lisa Gerrard, il canto di quest’ultima riesce a possedere più voci, oltrepassando perfino la fonetica delle parole stesse. L’esoterica voce, precipitata poi nell’estasi percussiva, dipinge nell’aria quello che forse più si avvicina ad una invocazione a criptici misteri, ad arcani che tra sacro e profano plasmano e sospendono nel tempo le radici antropomorfe delle varie etnie umane. Né lei né Brendan sono irlandesi d’origine (lui è inglese, figlio di una coppia mista anglo-irlandese emigrata poi ad Auckland, i genitori di lei sono irlandesi trasferiti a Melbourne, dove Lisa è nata) ma il brano venne comunque concepito in una chiesa sconsacrata dentro una lanca a sud del fiume Erne, sul confine con l’Irlanda del Nord. Si tratta della chiesa di Quivvy, costruita da George Danvers Butler, V° conte di Lanesborough, nel 1855, vicino al villaggio di Belturbet, a circa 70 miglia a nord di Dublino, dove Brendan viveva, in un centro di culto edificato come ennesimo e futile tentativo di convertire i cattolici irlandesi della zona. Un punto sacro sopravvissuto anche alla guerra civile irlandese del 1931 e poi utilizzato dalla comunità circostante come luogo di incontro generale, area di stoccaggio e perfino incubatoio di farfalle, che ancora oggi si riproducono nel sito. “Cantara” è una canzone che rappresenta l’ennesimo ponte di canto, uno degli innumerevoli che unendosi riescono a coniugare al futuro il verbo “cantare”. Permettendo così alla voce di attraversare
luoghi col soffio dei venti, inserirsi tra interstizi di mura impenetrabili, far intravedere attraverso giochi d’ombra su volte e arcate, i frammenti di poesia anticamente incisa su pietra. Sono queste passerelle di canto a congiungere le epoche e tatuare le memorie dei luoghi umani. I ponti uniscono dove molto altro sembra dividere, “ponte” in lingua araba si traduce “al-qantara”, in Spagna a tutt’oggi sono numerosi quelli che ancora vengono chiamati genericamente in questo modo. Antichi scritti attestano l’uso di questo termine simbolo di unione tra le due rive in vari luoghi: del Tage a Toledo come del Darro a Granada. Alcántara viene chiamata anche una città di frontiera nella comunità autonoma dell’ Estremadura, ad una decina di chilometri dal Portogallo, nella cui capitale Lisbona, peraltro, una freguesia reca anch’essa il medesimo nome. Lisa Gerrard interpreta in “Cantara” (come in “Gloridean”) una glossolalia di sua invenzione che rimanda linguaggi sovente presenti in antichi rituali religiosi come componenti dell’adorazione mistica. Anche nel Cristianesimo (e precisamente nella Prima Lettera ai Corinzi e nella Lettera ai Romani) all’interno degli Atti degli Apostoli, essa viene descritta come dono santo dello Spirito all’uomo da parte di Dio.


Flavio Poltronieri

___________________________________________

Altro estasiante canto onirico è “Gloridean”, brano a quattro voci presente esclusivamente nella pubblicazione in DVD di “Towar The Within” (1994) ma escluso dal relativo doppio LP. live. Pur non comparendo in alcun album in studio dei Dead Can Dance, venne registrato e si trova presente in conclusione del lato A di una pubblicazione russa non ufficiale, in doppio LP del 2016, dal titolo “The White Wind (A Collection Of Rare And Unreleased Tracks)”. 

Posta un commento

Nuova Vecchia