Era il 1977 quando Andy J. Forest arrivò in Italia per la prima volta. Alle spalle aveva un lungo peregrinare cominciato a sedici anni quando aveva abbandonato gli studi per seguire la sua passione per la musica e, in particolare, per il blues. Negli anni, oltre ad imparare a suonare diversi strumenti, si era adattato a fare mille lavori dal marinaio al raccoglitore di cotone attraversando in lungo e in largo gli Stati Uniti da New York a New Orleans prima di una fugace esperienza tra Marocco, Senegal e Francia. Arrivato a Bologna, a dargli fiducia fu Oderso Rubini che diede, nel 1979, diede alle stampa “The List” il suo album di debutto inciso con The Stumblers a cui seguirono “Harmonica Man” del 1981 e “Andy J Forest & Snapshots” del 1982, pubblicato dalla Appaloosa Records. Da quel momento ha preso vita un percorso artistico articolato che lo ha condotto a mettere in fila una ormai corposa discografia con oltre venti album all’attivo, senza contare le collaborazioni con diversi bluesman della scena americana ed europea, oltre che con artisti di casa nostra come Fabrizio De André (sua l’armonica in “Quello che non ho” da “L’indiano” del 1982), Edoardo Bennato, Zucchero, Francesco Guccini e Claudio Lolli. Negli anni, nonostante il ritorno negli States, il rapporto con l’Italia è rimasto sempre molto forte con tour e concerti che si susseguono a cadenza regolare, e non è un caso che, a quarant’anni di distanza, abbia riabbracciato la Appaloosa Records dando alle stampe “Don't Wanna Work. Modern Vintage Blues” nuovo album che giunge a sette anni di distanza da “Other Rooms” e che festeggia gli otto lustri dallo storico disco del 1982. Composto da nove brani, incisi tra New Orleans e l’Italia durante il tour che a dicembre 2021 ha attraversato la nostra penisola, il disco vede Andy J Forest (voce, chitarra e armoniche Horner e Bluexlab Harmonicas) affiancato da un ampio cast di strumentisti composto dagli americani Tom Chute (batteria e percussioni), Jesse Morrow (contrabbasso), John Gros (organo Hammond e pianoforte), Tom Worrell (pianoforte), Christopher Johnson (sax tenore), Matt Rhody (violino), Charlie Halloran (trombone) e Andrew Gilchrist (cori) e dagli italiani
Heggy Vezzano (chitarra), Roberto Luti (chitarra slide), Pablo Leoni (batteria), Andrea Caggiari (basso) e Andrea Vismara (basso). Come lascia presagire il sottotitolo del disco, l’ascolto ci offre l’occasione per immergerci nel modern vintage blues di Andy J Fores che declina le dodici battute senza la retorica insopportabile di certi dischi, mescolando le atmosfere tipiche del sound di New Orleans con incursioni nelle acque limacciose del Delta. Ad aprire il disco sono il potente groove di “Determination” con la slide rovente di Luti in grande evidenza e la title-track un trascinante blues che racchiude la sua filosofia di vita (“I don’t wanna be a Doctor/Takin’ money from sick/I don’t wanna be a police mand/Hittin’ people with a stick/Don’t wanna be a lawyer, just little too slick (…) I wanna be a musician/So I don’t have to work”). In sequenza ascoltiamo, poi, la gustosa ballad “Startin’ All Over”, la superba rilettura di “Louisiana Blues” di Muddy Waters e la brillante “Frady’s One Stop Store” con i fiati a guidare la linea melodica, ma è con il sinuoso ritmo in levare di “Get Along” che si tocca uno dei vertici del disco. Il riflessivo blues notturno “High Times Low Life” ci conduce verso il finale con il sound di New Orleans che pervade “Voodoo Lips” e il blues pianistico “Piety Street Strut” che suggella un ritorno discografico sorprendente, da ascoltare dalla prima all’ultima nota.
Salvatore Esposito
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