Mahsa Vahdat & Skruk – Braids of innocence (KKV Kirkelig Kulturverksted , 2022)

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Il tre dicembre, la bella acustica della chiesa Jakob, costruita a Oslo nel 1880, ha ospitato il concerto di presentazione del nuovo album di Mahsa Vahdat, “Braids of innocence”, prodotto da Erik Hillestad. Con la cantante iraniana hanno collaborato il coro norvegese SKRUK e l’arpista Ellen Bodtker che, diretti da Prots Hildre, hanno interpretato composizioni e arrangiamenti di Atabak Elyasi. Il titolo dell’album, e del secondo brano, è ispirato a un episodio che vide protagonista Mahsa Vahdat quando, a 11 anni, accompagnò la madre durante una visita allo zio che era stato imprigionato perché critico del regime al potere in Iran. All’epoca, erano passati cinque anni dalla rivoluzione khomeinista ed era diventato obbligatorio per tutte le donne, a partire dai 9 anni, indossare un copricapo. La mattina, la madre le aveva composto con cura sul capo i capelli in alcune trecce. Quando in prigione avvenne l’incontro con lo zio, separato da una parete di vetro, la madre riuscì a mostrare di nascosto allo zio, e agli altri detenuti presenti, le trecce della ragazza: i detenuti esclamarono che quella vista, di innocenza e di gioia, aveva reso più bella la loro giornata. Il progetto discografico è nato ben prima delle recenti proteste in Iran e per Mahsa Vahdat “ha acquisito un nuovo significato poiché gli eventi dell'Iran appaiono commentati in modo molto diretto sia dal titolo che dai testi
delle canzoni. L’esecuzione della mia arte è sempre stata guidata dalla costante ambizione di usare il mio potere espressivo per sensibilizzare e per accendere la speranza contro la sofferenza e l'ingiustizia". Nella quarta pagina del libretto che accompagna il cd, una foto in bianco e nero ritrae Mahsa Vahdat con i capelli sciolti lungo le spalle mentre guarda dritto negli occhi il lettore e con la mano sinistra mostra una ciocca tagliata dei suoi capelli. Già nel 2007 Mahsa era stata scelta fra le ambasciatrici di Freemuse, organizzazione internazionale indipendente che sostiene la libertà di espressione di musicisti e compositori in tutto il mondo. Nel 2010 la stessa organizzazione le ha conferito il Premio Freemuse. Con Atabak Elyasi hanno lavorato tre anni a questo progetto: ha composto le melodie per la voce solista, mentre Atabak Elyasi ha scritto le poesie che sono state musicate, gli arrangiamenti e le parti per il coro. Il produttore Erik Hillestad ha tradotto i testi delle poesie dal farsi all’inglese, le due lingue che si intersecano lungo i nove brani. Due propongono testi di Rumi: 
“I came free” (Ero un uccello immortale / Hai visto come sono diventato mortale? / Non ho visto la trappola, ma all'improvviso / mi sono trovato intrappolato) e “Home of the Moon” (Io sono la casa della luna / sono lo spazio che sempre ruota e cambia fase).  Già dodici anni fa Mahsa Vahdat aveva registrato (“I vinens Speil”) e tenuto concerti con SKRUK, coro fondato nel 1973, sempre a suo agio sia nell’ambito delle musiche popolari, sia di quelle spiritual e jazz. Ad apire l’album sono gli arpeggi dell’arpa di Ellen Bodtker su cui ricama in farsi la voce di Mahsa Vahdat: “Centinaia di uccelli / aprono le loro ali nel cielo sospinte dai nostri canti del domani”. Se la voce della cantante è, come sempre, intensa ed espressiva, il modo in cui Atabak Elyasi ha arrangiato le voci del coro contribuisce, in modo diverso in ogni brano, ad “aprire” la melodia creando profondità con le armonie vocali ed emozionando con giochi di luci ed ombre che sanno alternare in modo selettivo i registri alti e bassi delle voci a diposizione. L’album si chiude con una promessa, saranno i tiranni ad essere sconfitti: “The tyrants will loose”.


Alessio Surian

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