Il canto evocativo di Denez, principe del gwerz moderno, è acciaio forgiato su incudine sonora, poi passato sulla roccia al rullo musicale del martello dell'antichità, infine adornato da onde oceaniche in notti di paziente fatica, con gli emblemi lirici di un popolo a lungo silenzioso ma vivo. Nei suoi gwerz tradizionali dimorano glorie, amori e tutti i tipi di disperazioni umane possibili, in forma di fantasticherie, romanticismi e cantici liturgici, quasi si trattasse di un hidalgo medievale sopravvissuto senza consolazione alla sua epoca. I gwerz bretoni sono in grado di accoppiare corde di chimere favolistiche con le urla epiche di soprusi crudelissimi e marziali. La loro lingua, sconosciuta ai più, vale un tesoro. È composta di parole fini, agilissime, lucidate e scintillanti che mentre vorticano vertiginosamente nell'aria, brillano con l'esplosione fugace della meteora e afferrano stelle a mani nude. Denez Prigent, come prima di lui Erik Marchand e Yann-Fanch Kemener, ha inizialmente effettuato nei confronti della voce e delle parole il lavoro primordiale del crudo ritorno all’essenziale, poi nel fare i conti con l'allora giovane età, ha incorporato la sua contemporaneità sonora ma, con rigore encomiabile, non ha tradito per un attimo la propria onestà e la sacrale riconoscenza verso la tradizione che l'aveva generato e cresciuto. I gwerz originali di Denez continuano a manifestare che fuori Bretagna sono in esilio, che esistono sentimenti profondi che vivono solamente nei paesaggi naturali tradizionali d'origine ma con altrettanta convinzione lanciano le loro passerelle universali tra le culture del nuovo secolo.
Lo fanno con lo sguardo intelligente della visione ecologista e mondialista dove il solo bene può risultare quello comune.
Esistessero nel mondo attuale dei politici altrettanto illuminati e appassionati quanto alcuni artisti...uno c'è stato, in Uruguay dal 2010 al 2015, l'ex Presidente Pepe Mujica: “...quando compro qualcosa non la compro con i soldi ma con il tempo della mia vita che è servito per guadagnarli e il tempo della vita è un bene nei confronti del quale bisogna essere avari, bisogna conservarlo per le cose che ci piacciono e ci motivano, questo tempo per sé stessi io lo chiamo libertà...”. Forse ripensava un po’ al secondo libro di “Utopia”, il sogno rinascimentale di Thomas More ispirato da Platone, di una società di pace tra gli uomini dominata dalla cultura e dove l'ingiustizia consista nel premiare gli oziosi e i ricchi, anziché chi lavora per il benessere di stato e comunità. I gwerz contemporanei di Denez sono un viaggio immaginario di passione impegnati a trattare con cura la tecnologia come la tradizione, in modo aperto e credibile. Partono dall'amore per la lingua per ricostruire più che possono i tasselli incastonati tra i ricordi ancestrali e la complessa ricchezza di tutta la diaspora celtica. Che non è solamente quella storica ma anche e soprattutto quella culturale: nel 1981 il consiglio regionale creò Skol-Uhel Ar Vro, l’Istituto Culturale della Bretagna e lo stesso anno il Conservatorio Regionale della Musica Tradizionale Bretone, ebbene nessun allievo giunse a concludere i setti anni necessari all’apprendimento! Fu proprio da quel fallimento che il suo ideatore Jean-Pierre Pichard dirottò le energie a creare il Festival Interceltico di Lorient che oggi è diventato punto di riferimento musicale europeo. In Bretagna, Denez Prigent, come il personaggio di Raffaele Itlodeo, marinaio di Vespucci che narrava degli incredibili utopiani di “Utopia”, isoletta d’oltre Atlantico, con i suoi nuovi gwerz ha proposto un'etica della speranza. Ha parlato d'amore assorbendo le pene e condensando le emozioni di una generazione che cerca la sua voce in mezzo ai disastri e ai veleni che intossicano le cronache mondiali della sua contemporaneità. Ha composto salmi bretoni partendo da genocidi africani e disastri ambientali d’est Europa. Denez, navigante simbolico compone gwerz capaci di far montare una tensione che fa appello all'incosciente, di far rivivere antiche gesta dove la ragione non rappresenta più il centro.
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