Nato in Iran, Kiya Tabassian è giunto a Montreal a quattordici anni seguendo la famiglia, e lì, nel 1998, ha dato vita a Constantinople, spazio sonoro di incontro per apporti musicali da diversi ambiti musicali, dai manoscritti medievali ad estetiche contemporanee, fra Europa, tradizioni orientali e barocco del Nuovo Mondo. Mowlana Djalaleddin Rumi è un autore ideale per attraversare e leggere attraverso lingue diverse alcune delle aree musicalmente più rilevanti per questo ensemble. Ma come e cosa scegliere tra gli oltre centomila versi scritti da Rumi? Kiya Tabassian ha cominciato a leggerlo fin da ragazzo, in persiano. Ripercorrere le sue orme significa immergersi in un periplo che, nel XIII secolo, collega il natio Khorasan (oggi in Afghanistan) a Baghdad, a Damasco. È in quest’ultima città che, nel corso di quattro anni, Rumi divenne studente del suo primo maestro, il filosofo Ibn Arabi che qui morì nel 1240, dopo esservi migrato da Murcia. Trasferitosi a Konya (oggi in Turchia), nel 1244 Rumi divenne amico e discepolo di Shams-e Tabrîzi con cui condivise 16 mesi di eremitaggio e cui dedicò i versi in forma di ghazals contenuti in “Divan-i Shams”. Rumi rifiutò sempre di dichiarare appartenenza a un solo Paese o a una nazione specifica.
Una lezione che rimane attuale e che l’ha portato ad affermare: “Non sono né d'Oriente né d’Occidente”. Insieme alla cantante tunisino-belga Ghalia Benali, Kiya Tabassian ha scelto una serie di scritti di Rumi, alcuni in persiano, altri in arabo, risalenti agli anni vissuti a Damasco e a Baghdad, fra le poesie meno conosciute e raramente musicate. Inoltre, hanno voluto includere nel repertorio legato a Rumi anche due poesie, “Mawlay” e “Fatwa for Love”, di Mohamed Zein, poeta contemporaneo che segue a modo suo le orme di Rumi, attento anche all’attualità. Ad accompagnare Ghalia Benali (voce) e Kiya Tabassian (voce e setar) in questo percorso è un sestetto che comprende Didem Basar (kanun) e Neva Özgen (kemence) dalla Turchia, Nazih Borish (oud) dalla Siria, Reza Abaee (geychak) e Hamin Honari (percussioni) dall’Iran, e Nasser Salameh (percussioni) dalla Giordania. I loro primi concerti risalgono al giugno del 2019 ed hanno subito convinto per la qualità delle composizioni e delle interpretazioni, oltre che per la coesione del gruppo.
Registrato a Montreal ad aprile 2021 nel Le Lab Mastering da Marc Theriault, l’album raccoglie nove brani, sette cantati e due strumentali, e il libretto plurilingue riporta, oltre ai testi, anche splendide miniature d’epoca a colori. Alcune delle composizioni sanno legare con maestria nello stesso brano versi di Rumi a testi composti dagli stessi Benali e Tabassian. Nel brano di apertura, le prime parole di Rumi vengono pronunciate da Benali nel silenzio, per trasformarsi poi in una sorta di mantra ritmico su cui si inseriscono gli altri strumenti e la voce solista di Tabassian, prima di offrire un passaggio all’unisono e di tornare alla sola voce di Benali.
Ogni brano mostra un profondo rispetto e attenzione per le qualità ritmico-melodiche delle parole, così come dell’andamento narrativo delle poesie, dando corpo ad una magistrale unità fra scansione ritmica, testi, note musicali. I due brani strumentali sono composti da Kiya Tabassian: a metà disco, la breve “Synapses” introduce un cambio di passo sospinto dallo zarb di Hamin Honari che aggiunge energia all’album e fa librare liricamente il kemence di Neva Özgen; prima dei due brani finali, “Dreams behind the dune” disegna, invece, un evocativo momento meditativo.
Alessio Surian
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