Femina Ridens – Kalenda Maya (Radici Music, 2022)

La vocalità versatile e la cifra artistica a tutto tondo di Francesca Messina (voce e chitarre), con il suo partner Massimiliano Lo Sardo (synth e armonium indiano), sono al centro del progetto Femina Ridens, realizzato in collaborazione con Alice Chiari (violoncello) e Nicola Savelli (percussioni). Nel terzo capitolo discografico, “Kalenda Maya” (Calendimaggio, un propiziatorio richiamo primaverile adatto ai tempi scuri che abbiamo attraversato negli ultimi due anni), la fonte della musica per la formazione toscana – come la conterranea, storica label Radici Music – sono musiche profane provenienti da manoscritti medievali, cantate in latino, italiano volgare, occitano, lingua d’oil, gallego e portoghese, e rimodellate con spirito libero e visionario, seguendo il “se vuoi vedere, ascolta” di Bernardo di Chiaravalle. La strumentazione, incentrata sulla combinazione di strumenti elettronici e acustici, esprime l’intenzione di non volere misurarsi con la dimensione filologica, ma di connettere temi e poetiche che sanno ancora parlare alla contemporaneità. In copertina i Femina Ridens mettono un divertente coniglietto con scudo e spada e fissano un repertorio che copre un arco temporale che va dal X al XIV secolo. La voce di Messina resta centrale in questa fascinazione per l’antico, ed intorno al suo “recercare” i suoni delle lingue sono costruiti gli arrangiamenti improntati a una minimale essenzialità. Così è colto appieno il lirismo di “Mandad‘ei Comigo”, motivo proveniente dal canzoniere di Martin Codax, brano composto in galiziano-portoghese. “Chanterai Por Mon Corage”, invece, è una chanson de femme attribuita a Guiot de Dijon, troviero borgognone, in cui l’ambientazione musicale segue la connotazione fortemente emotiva dello stato d’animo di una donna in pena per il destino del marito in pellegrinaggio nella Terrasanta, dove imperversano le crociate, nonché per il suo futuro, deciso dalla famiglia che intende darla in sposa a un altro uomo. Sempre nell’antico idioma francese del centro-nord è cantata “Douce dame jolie” del celebre Guillaume de Machaut, resa con un confliggere di timbri che narrano l’amore dell’ormai anziano poeta per una donna che si prende gioco dei suoi sentimenti. Seguono le energiche trame folk progressive della title track, che è in lingua provenzale: una composizione di Raimbaut de Vaqueiras, trovatore cavaliere vissuto presso la corte del Monferrato (siamo nel XII secolo). Il cantus firmus, contornato da ritmica decisa, un tappeto di synth e archi in crescendo, espone “Liement me déport”, proveniente ancora dall’influente Guillaume de Machaut. Sorprendono “Orientis Partibus” e “Bache, Bene Venies”, dalla fisionomia indie-folk con cui entriamo nell’esuberante corpus dei “Carmina Burana”. Si finisce in volgare italiano con il proverbiale e metaforico rammarico racchiuso in “Non posso far bucato che non piova”, salterello trecentesco anonimo dal suggestivo tratto psichedelico. Operazione di bella e incisiva creatività. 


Ciro De Rosa

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