Sulla scia del primo disco, che le aveva conquistato il premio per il migliore album della rivista “Songlines”, Maya Youssef torna con un fantastico album che ridefinisce i confini del qanun, della musica siriana, e di ciò che può voler dire suonare strumenti tradizionali nel mondo contemporaneo. Il titolo “Finding Home” evoca sentimenti comuni probabilmente a troppi siriani, ma, pur essendovi legata, la ricerca di cui parla la musicista non si definisce attorno all’esperienza migratoria. Maya Youssef si spinge oltre, cercando le coordinate dove far fiorire le proprie radici musicali, guardando al passato ma rimanendo libera di creare nel presente. Il dialogo, il connubio, e le contraddizioni tra due dimensioni temporali, geografiche ed estetiche sono particolarmente evidenti in questo disco, dove Maya utilizza il qanun e la musica araba come trampolino di lancio per esplorare sonorità più occidentali e contemporanee. Lo zither, tradizionalmente suonato in un vorticare ornato di note che saltano da un maqām all'altro, si ritrova protagonista di brani più calmi, dove può mostrare invece la sua affinità tonale all’arpa o alla kora. L’ensemble che accompagna Maya non può che contribuire alla creazione di questa identità ibrida. Personalmente non conoscevo tutti i musicisti, ma il lavoro di Shirley Smart al violoncello e soprattutto quello di Al McSween – una delle menti creative di Kefaya e altri ensemble – alle tastiere riflettono con grande chiarezza la volontà di mescolare estetiche orientali e occidentali.
Che condividano questa attitudine o no, Il contrabbassista Mikele Montolli, la percussionista Elizabeth Nott, e la cantante Hamsa Mounif si dimostrano non solo egregi musicisti ma anche versatili sperimentatori. L’espressività melodica del qanun è il fiore all’occhiello di quest’album, abilmente ricamata attorno ai chiaroscuri tipici del maqāmat. Nonostante ciò, mi son trovato particolarmente intrigato dai momenti strumentali dove l’ensemble partecipa collettivamente alla messa in scena del brano e alla sua crescita dinamica ed emotiva. Nonostante l’artista tenda a preferire una certa staticità armonica, è impossibile astenersi dall’associare questi momenti alla sempre più ingombrante scuola di jazz mediterranea. Delicatissimo il momento in quartetto di “Walk with Me (Quartet Version)”, dove la musica respira un’aria più europea e folklorica, come fa in qualche modo “My Homeland”, guidato invece dal piano. Il disco crea un mosaico impressionista di sapori e sonorità che collidono e si susseguono abbozzando muri di una casa che è rifugio e non gabbia. L’ascoltatore è invitato a perdersi in questi corridoi, a sognare ad occhi aperti proprio come suggerisce l’estatica “An Invitation to Day Dream” che apre il disco. Si gioca poi con gli umori contrapponendo pezzi leggeri e sognanti come
“Samai of Trees”, brani ballabili come “Jasmin Bayati: To an Earth Angel” o “Soul Fever” – jam aperte su groove ripetitivi che dettano il passo dell’esplorazione solistica – ed altri più riflessivi come “Silver Lining (Ensemble Version), un lento malinconico ed espressivo che sboccia inaspettatamente in un finale energico. Si dà anche spazio alla memoria e ai ricordi, alla casa più importante rievocata con “In my Mother’s Sweet Embrace”, brano lento e contemplativo dove spicca la voce di Hamsa Mounif. In “Finding Home” Maya Youssef ricrea l’elaborato viaggio, fisico e metaforico, del cercarsi, trovarsi e accettarsi. La varietà stilistica sottolinea perfettamente le contaminazioni e contraddizioni che caratterizzano l’esistenza umana e il suo oscillare tra stabile sicurezza e e incessante ricerca. Il suo qanun, in qualche modo, si ritrova come lei catapultato in un nuovo mondo di identità musicali da scoprire mentre ridefinisce la propria. A identificare la casa sono gli incontri che questa facilita, una scatola di persone e idee che parlano lingue diverse ma si intendono perfettamente. https://mayayoussef.com
Edoardo Marcarini
https://www.youtube.com/watch?v=NKKFfkPi4Fk
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Medio Oriente